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Conferenza droga
Radio Radicale Roberto - 7 luglio 1998
GLI APPLAUSI DI ARLACCHI A TEHERAN
di Carmelo Palma - L'Opinione, 4 luglio 1998

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Perche' Arlacchi, assistendo allo spettacolo raccapricciante del rogo di piu' di 50 tonnellate di oppio a Teheran - con tanto di manichino gigante a rappresentare il "Satana" della droga -, si e' sentito in dovere, oltre che in diritto, di ringraziare il regime iraniano a nome dell'intera comunita' internazionale per l'impegno profuso nella lotta alla droga?

Noi non siamo cosi' ingenui da non comprendere che un vicesegretario Onu che si occupa dei problemi della criminalita' internazionale e' costretto a "relazioni pericolose", ne' pretendiamo che, ogni volta, sia costretto a pagare dazio all'ipocrisia con una qualche stiracchiata giaculatoria sui diritti umani. Esigiamo, invece, che non creda, ne' dia mostra di credere, a politiche di repressione e di sicurezza internazionale (sulla droga, come su altro) completamente ancorate a partnership politiche inattendibili; che non si affidi - ne' sembri volersi affidare - ad una strategia che conta sulla diplomazia della war on drug; che non confidi - ne' dichiari di confidare - nell'impegno o nell'interesse reale dei paesi "produttori" o "di transito" a far saltare il mercato della droga.

Con Kabul, e, a maggiore ragione, con Teheran si deve trattare e negoziare, ma riscattarne l'immagine con attestazioni pubbliche di stima e di fiducia e', prima che agghiacciante, del tutto sbagliato. Oltre al denaro sporco - che e' pericoloso proprio perche' e' sporco, e perche' e' affidato agli interessi ed al controllo di chi "gioca sporco" - bisognerebbe impedire, e non favorire, anche il riciclaggio dei regimi sporchi - che sono, in quanto politici, doppiamente pericolosi.

Ma come e' noto - e non da oggi - Pino Arlacchi non crede nel diritto; crede nell'ordine. Crede in cio' che Sciascia chiamava - paventandone gli effetti ed i significati politici - "terribilita'". E crede che, per riconvertire le culture di droga, per ottenere successi nella lotta alla criminalita', sia sufficiente riconvertire, ri-indirizzare" questa "terribilita'" verso obiettivi condivisi dall'intera comunita' internazionale. Arlacchi non confida nella forza, nella ragionevolezza, nel primato delle leggi. Non crede al 'potere' ed all'efficacia delle liberta' politiche e personali, come condizioni di sicurezza, di ordine e di benessere pubblico. Crede nell'imperativo morale della "sicurezza", con uno zelo che neppure i suoi predecessori italiani ai vertici dell'UNDCP avevano dimostrato. Non sono del resto di oggi, le sue attestazioni di fiducia nell'integralismo islamico come argine morale e politico al mercato delle droghe proibite.

Arlacchi si oppone alla legalizzazione perche' non crede "ideologicamente" alla possibilita' di disciplinare i comportamenti individuali senza ricorrere all'arma della repressione. Per la stessa ragione, non confida dell'opportunita' di legalizzare le politiche di "sicurezza" dei paesi "benefattori" verso la "war on drugs".

Eppure, mentre Arlacchi presenziava alla parata di regime di Teheran (di un regime, ricordiamolo, pesantemente sospettato di azioni terroristiche), continuava a Roma la conferenza diplomatica dell'ONU che dovrebbe istituire il Tribunale penale internazionale sui crimini di guerra, di genocidio e contro l'umanita'. Diciamo dovrebbe, perche' iniziano a registrarsi, oltre alle previste opposizioni di alcuni paesi (e fra i primi, ovviamente, l'Iran di Khatami) anche preoccupanti ritardi, che rischiano di pregiudicare la conclusione dei lavori, prevista per il 17 luglio. Se il Tribunale fosse istituito, molti di coloro a cui Arlacchi continua a dichiarare la propria riconoscenza per gli impegni profusi nella lotta alla droga, potrebbero finire, di filato, sul banco degli imputati. E non vorremmo che mentre la comunita' internazionale iniziasse a contestare i crimini dei responsabili di regimi sanguinari, il vicesegretario dell'ONU continuasse a illustrarne gli assai discutibili "meriti di guerra".

 
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