Contrariamente a quanto si e' creduto finora, anche hashish e marijuana provocherebbero assuefazione e "dipendenza". La notizie e' stata diffusa il 18 agosto dall'agenzia ANSA che citava uno studio pubblicato sull'autorevole rivista dell'accademia delle scienze degli Stati Uniti. La ricerca e' stata condotta da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell'Universita' di Sassari e dal Dipartimento di Neuroscienze dell'Universita' di Cagliari, diretti dal professor Gian Luigi Gessa.
Lo studio ha riguardato le cellule dopaminergiche, cioe' le "cellule del piacere", quelle che si attivano in occasione di uno stimolo piacevole, e ha rilevato una riduzione della loro attivita' sotto l'effetto del Delta9THC, il principio attivo della cannabis.
Qui di seguito la trascrizione dell'intervista di Roberto Spagnoli al professo Gessa.
PROFESSOR GESSA, PUO' SPIEGARCI, PER SOMMI CAPI, CHE TIPO DI ESPERIMENTI AVETE CONDOTTO?
Mentre per le altre droghe - cocaina, nicotina, eroina, ecc. - era noto che sia gli uomini che gli animali sviluppano una dipendenza e che quando smettono di assumere la sostanza insorge una sindrome d'astinenza visibile, per i derivati della cannabis questa sindrome non si vedeva e, naturalmente, la conclusione possibile era che non ci fosse.
Con uno studio appropriato di esplorazione del cervello degli animali da laboratorio, abbiamo scoperto che i neuroni che potremmo definire del desiderio e del piacere, negli animali trattati cronicamente con il principio attivo della cannabis (Delta9tetraidrocannabinolo), soffrono quando si smette di somministrare il farmaco dal quale sono diventati dipendenti. Questi neuroni hanno un'attivita' elettrica normale che smette di essere presente durante la crisi di astinenza da marijuana, come se questi neuroni si fossero abituati a "parlare" sotto l'effetto del farmaco e fossero invece silenti in assenza del farmaco.
Dunque, la crisi di astinenza da marijuana si puo' "vedere", basta andarla a cercare nella giusta zona del cervello, ed e' caratterizzata del "silenzio" dei neuroni del piacere. In conclusione possiamo dire che un consumatore cronico di marijuana prova uno stato di malessere se smette di assumere la sostanza.
I GIORNALI HANNO PARLATO DI MODIFICAZIONI DEL CERVELLO. DI CHE TIPO SONO QUESTE MODIFICAZIONI? SONO PERMANENTI, A LUNGO TERMINE O RIGUARDANO L'ATTIVITA' CEREBRALE?
Lei ha ragione a precisare. Mentre le modifiche prodotte dall'assunzione cronica di alcool, sono a lungo termine, magari irreversibili, le modifiche prodotte dalla cannabis sono, come dicevo, di natura bioelettrica. Significa che questi neuroni subiscono una riduzione delle funzioni, ma non e' detto che non possano ristabilirsi nel tempo. Nel nostro stesso lavoro si nota che dopo ventiquattr'ore d'astinenza l'attivita' di questi neuroni ritorna normale. Dunque non e' irreversibile, ma e' un qualcosa di funzionale che nel tempo regredisce.
LEI HA PARLATO DI "CONSUMO CRONICO". A QUALI DOSAGGI SONO STATI SOTTOPOSTI GLI ANIMALI OGGETTO DELLA SPERIMENTAZIONE?
Abbiamo impiegato delle dosi paragonabili a quelle di un forte fumatore di cannabis, con ripetute somministrazioni per un periodo di dieci giorni che negli animali da laboratorio equivalgono a molti mesi nell'uomo, ammesso che cio' abbia un significato per l'uomo, tutto da dimostrare. Fumare cronicamente vuol dire fumare continuativamente grosse quantita' di derivati della cannabis e cio', presumibilmente, non fa bene all'umore. Ricordo che un altro degli effetti negativi del fumare intensamente - tra l'altro interessa le ricerche che stiamo svolgendo - riguarda anche la memoria e la capacita' di apprendimento.
Bisogna chiaramente dire che chi fuma marijuana, durante l'assunzione e probabilmente per alcune ore dopo, subisce degli effetti negativi. Pero' anche questi, dall'esperienza che abbiamo sugli animali e dall'esperienza clinica, sono effetti reversibili. Cioe', per le conoscenza che abbiamo dalle ricerche condotte finora, nulla rimane quando uno decide di smettere di fumare.
STIAMO PARLANDO DI RICERCHE CONDOTTE SU ANIMALI DA LABORATORIO. COME SI APPLICANO I RISULTATI DI QUESTE RICERCHE AGLI ESSERI UMANI?
Infatti, nell'estrapolare dal ratto all'uomo, bisogna avere la stessa cautela che dovrebbe avere un giudice quando interroga un pentito. Bisogna vedere se ci sono dei riscontri. Tuttavia, per quanto riguarda le funzioni fondamentali del cervello (desiderio, piacere, memoria, apprendimento, ecc.), i meccanismi dell'animale da laboratorio, quelli primitivi, sono simili o sono gli stessi dell'uomo. Quindi abbiamo delle buone ragioni per dire che queste ricerche sull'animale hanno un significato valido anche per l'uomo. Naturalmente l'onere della prova e' nostro, noi dovremo dimostrare che vale anche per l'uomo.
IN OCCASIONE DEL 7 CONGRESSO DEL CORA, DURANTE UN CONFRONTO CON MARCO PANNELLA, LEI SI ESPRESSE A FAVORE DI UNA "PAN-LEGALIZZAZIONE" DELLE SOSTANZE PSICOATTIVE OGGI PROIBITE, ACCOMPAGNATE DA ADEGUATE CAMPAGNE DI INFORMAZIONE SUGLI EFFETTI E LE CONSEGUENZE CONNESSE ALL'USO DI QUESTE SOSTANZE. QUELLA DELLA LEGALIZZAZIONE E' UNA BATTAGLIA STORICA DEI RADICALI. ALLA LUCE DEI RISULTATI DI QUESTA RICERCA, LEI CONFERMA QUELL'OPINIONE?
Sono ancora un "pan-legalizzatore" non pentito. Aggiungerei, e forse lo avevo gia' detto in quell'occasione, che oltre all'informazione andrebbe attuato un severo controllo esteso anche alle droghe legali, come l'alcool ed il tabacco.
(L'intervista e' stata trasmessa da Radio Radicale il 20 agosto)