Negli ospedali italiani la morfina è ancora tabùLondra: il primo caso di un medico punito per aver ignorato le
sofferenze di un paziente
La Stampa/Tuttoscienze, 29 settembre 1999
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NEL numero del 18 settembre, il »British Medical Journal riporta il caso di un provvedimento disciplinare, il primo di questo genere, nei riguardi di un medico che avrebbe ripetutamente sottovalutato, non trattandolo, il dolore in sei suoi pazienti. La capacità di dare sollievo dal dolore è, in effetti, un dovere per il medico e un diritto per il paziente. Attraverso il commento di uno specialista algologo, la rivista fa notare come la responsabilità del singolo debba essere condivisa dai due organi deputati alla formazione dei medici: le facoltà di Medicina, accusate di non fornire conoscenze adeguate sul trattamento del dolore cronico e acuto, e il ministero della Sanità, che per anni non ha mostrato interesse legislativo su uso, prescrizione e distribuzione di oppioidi, trattamento cardine del dolore forte.
I medici italiani, tranne alcune nicchie di competenza specialistica avanzata e alcune positive, seppur ridotte, realtà territoriali, hanno scarsa conoscenza dell'utilità e dellÆimpiego degli stupefacenti. Purtroppo, questa scarsa conoscenza sembra essere uniformemente distribuita tra medici generali e ospedalieri. In ospedale, il controllo del dolore non può essere di sola pertinenza dell'oncologo, anche perché non esiste solo il dolore oncologico: il dolore post-operatorio è ancora in gran parte "orfano", mentre il chirurgo e l'anestesista si concentrano principalmente sul lavoro intraoperatorio. Da uno studio epidemiologico nazionale (GISAPO) condotto tra il 1992-94, è emerso gli oppioidi sono prescritti nel post-operatorio solo dall'8% degli anestesisti, mentre il 22% dichiara di seguire dei protocolli, ma questi sono da ritenersi personali, non istituzionali o basati sull'evidenza. Uno studio del 1998-99 sul consumo di farmaci antalgici e sulle relative scelte terapeutiche delle chirurgie generali di un
a ASL piemontese, effettuato da Clemente per la Scuola di specializzazione in Farmacia ospedaliera di Torino, ha riportato che i Fans (come l'aspirina) rivestono la quasi totalità di impiego dei farmaci per il dolore; gli altri principi attivi sono richiesti meno del 2% del totale. L'uso della morfina o di altri oppioidi è praticamente assente. Il consumo di ciascun farmaco (antinfiammatorio e oppioidi), per singolo reparto, se rapportato al numero di interventi si attesta su valori estremamente bassi, inferiori a quelli richiesti da uno schema posologico attento, considerando inoltre che una parte dei farmaci richiesti è anche utilizzato per il dolore di varia natura e per la febbre.
Non esiste, da quanto rilevano i dati, la terapia standardizzata, ma uno scarso e discontinuo utilizzo dei farmaci antalgici, associato ad un ingiustificato se non dannoso uso "al bisogno" (pro re nata), che può comportare forti oscillazioni nella concentrazione plasmatica del farmaco e trascinare il paziente in un estenuante spirale di dolore, paura ed ansia. Al 9 Congresso mondiale sul dolore, tenutosi a Vienna ad agosto, è stato ribadito che il dolore persistente (non trattato) aumenta il rischio di sviluppare il dolore cronico. Le prospettive sono quelle già delineate ai primi anni '90 dal neurobiologo americano Allan Bausman, promotore della "preemptive" analgesia (forma di analgesia peri-operatoria utilizzata da molti anestesisti italiani atta a cancellare "la memoria del dolore"): la morfina non solo riduce il dolore, ma ne previene l'insorgenza. Basta usarla. Siamo vicini al nuovo millennio e a 6.000 anni circa dalla prima descrizione delle proprietà analgesiche dell'oppio ritrovata su un testo sume
ro.