di Franco Corleone - Sottosegretario alla Giustizia(Avvenimenti, 28 novembre 1999, pag.5)
Il passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale trova la sua ragione nel voler meglio garantire il diritto alla salute del cittadino detenuto. Poche righe del Progetto Obiettivo relativo all'assistenza ai tossicodipendenti rischiano di innescare reazioni scandalizzate, laddove si parla di .Nulla di nuovo. Da troppo tempo nel nostro paese il dibattito in tema di politiche sulle droghe si svolge sui binari dell'ideologia più ipocrita. Ignorando che interventi di questo tipo sono già in atto in molti paesi europei, dall'Olanda alla Svizzera, alla cattolicissima Spagna. La proposta di avviare nel carcere una politica di riduzione del danno va sostenuta con decisione, perchè può rispondere efficacemente ai problemi che nascono in una istituzione totale che si caratterizza come contenitore di ogni marginalità sociale.
Si deve innanzitutto evitare che nel carcere si continui a morire di overdose o di Aids e ci si contagi di epatite C o di Tbc. Per questo è necessario prevedere modelli di interventi anche farmacologici che evitino le inutili e dolorose sindromi astinenziali e le assurde disparità di trattamento rispetto alle prestazioni che i Sert assicurano sul territorio: in particolare si dovrà superare il paradosso dei soli 650 detenuti tossicodipendenti (su 15.000) che godono attualmente di trattamenti con metadone, quasi unicamente a scalare. Finché la legge penalizzerà la tossicodipendenza, dovremo almeno sviluppare con coraggio politiche di sperimentazione, proprio a partire dal carcere.