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Conferenza droga
Radio Radicale Andrea - 3 marzo 2000
Capitolo II

L'antiproibizionismo: caratteri generali del pensiero antiproibizionista. I costi sociali del proibizionismo

Alla fine degli anni '80, la "questione droga" incominciò ad essere affrontata in Italia in modo sempre più ampio.

Si incominciò a discutere della validità della normativa in vigore, il cui impianto girava intorno alla legge 685 del 1975 e delle possibili modifiche da apportarvi. Ma, nel contempo, crebbe il dibattito, non solo in Italia, anche sugli effetti economici e sui rischi sociali delle legislazioni proibizioniste. Va subito fatta una precisazione: con il termine "liberalizzazione" veniva intesa, fino alla fine degli anni '70, una completa possibilità di uso e consumo delle cosiddette "droghe leggere". Di conseguenza, il consumatore doveva essere sottratto dalla sanzione penale. Nel corso degli anni, però, la strategia antiproibizionista cambia, e la parola d'ordine "liberalizzazione" viene sostituita col termine "legalizzazione" con il quale si intende, come vedremo in seguito in modo più dettagliato, rendere legali la produzione, il consumo e la distribuzione delle droghe sotto il controllo legale dello Stato. Il termine "liberalizzazione" sta invece ad indicare, secondo gli antiproibizionisti, l'attuale situ

azione di mercato proibito all'interno del quale le droghe sono libere di circolare "24 ore su 24", data l'impossibilità, da parte dello Stato, di un controllo efficace a seguito del fallimento delle strategie proibizioniste. C'è quindi una netta differenza tra ciò che si intende per "liberalizzazione" e ciò che invece si auspica per "legalizzazione". L'assunto di fondo degli antiproibizionisti è che il proibizionismo è fallito, in quanto ha prodotto commercio illegale ed internazionale delle droghe e favorito gruppi criminali, i cosiddetti cartelli, le triadi e le mafie che ne traggono profitto.

Questo commercio va sempre più estendendosi, dal Nord America all'Europa al Medio Oriente, all'Asia, al Nord Africa e specialmente all'America Latina. Il fallimento del proibizionismo ha trasformato una questione di scelta personale e di salute in un dramma a dimensioni mondiali. La criminalità che ne deriva mette anche in pericolo i comuni cittadini, la loro sicurezza e le loro libertà civili.

Nella risoluzione politica della Lega internazionale antiproibizionista fondata a Roma il 31 marzo 1989 veniva sottolineato anche che:

"La versione moderna del proibizionismo ha cambiato le nostre grandi città in campi di battaglia senza riuscire a salvaguardare quelli che intendeva proteggere. Chi è tentato dalle droghe pesanti è spinto verso la criminalità e le malattie, di cui l'Aids è la peggiore. I consumatori occasionali si trovano a rischio d'imprigionamento, i consumatori regolari cadono nel crimine per finanziare la loro abitudine, i normali cittadini vengono a trovarsi in pericolo. Il costo del tentativo fallito di proibire alcune droghe, pur permettendo la pubblicità e la vendita di altre, quali l'alcool e il tabacco, è universale e incalcolabile. La libertà stessa è messa in pericolo dall'applicazione delle leggi contro le droghe, senza nessun vantaggio per gli individui o per la società" [Lia, 1989].

Ciò significa che si afferma il principio generale secondo il quale la legge non può reprimere delitti senza vittime.

In una comunicazione tenutasi al convegno "I COSTI DEL PROIBIZIONISMO" tenutosi a Bruxelles alla fine del 1988, Marie Andrée Bertrand, nota insegnante di criminologia all'Università di Montreal, affronta in particolar modo questi temi:

"Quando, quindici anni fa, al termine di quattro anni di studio e di ricerca attraverso tutto il paese e all'estero, ho presentato al governo canadese una relazione di minoranza richiedente l'abolizione del controllo sulle droghe, ero motivata dalle seguenti ragioni:

1. il reato di semplice possesso è un futile strumento di dissuasione;

2. più in generale, l'uso del diritto penale nel caso di crimini senza vittime: a) è inefficace; b) comporta il ricorso a procedimenti contrari ai diritti della persona: ispezioni, perquisizioni senza mandato, delatori, agenti infiltrati; c) è sempre fortemente arbitrario, in quanto gli abituali strumenti di rilevazione sono inadeguati e soltanto una frangia ingenua o sprovveduta è soggetta alla repressione.

D'altronde, sono numerosi i filosofi del diritto e gli statisti ad aver riconosciuto che il ricorso al diritto penale al fine di ridurre i crimini senza vittime è illegittimo;

3. il costo della proibizione, più esattamente i costi, sono enormi: costi sociali, morali, economici; gli Stati vi sperperano il proprio onore e i fondi pubblici, e tali costi sono sproporzionati rispetto all'improbabile e minima efficacia della legge" [Bertrand, 1989, p.177-178].

Subito dopo, Bertrand aggiunge: "La funzione pedagogica del diritto penale, che deve ricordare ai cittadini i valori più importanti per la comunità sociale, risulta deviata dall'inclusione, a casaccio, nella stessa legge, di sostanze a nocività molto variabile, e di comportamenti di estremamente diversa gravità. In effetti, i provvedimenti sulle droghe prevedono ancora, in molti paesi, pene severe, che arrivano fino alla detenzione, per atti privi di reale gravità e non lesivi nei confronti di altre persone, e sanzioni equivalenti per il possesso e lo spaccio da un lato di sostanze prive di tossicità rilevata e dall'altro di droghe che provocano serie intossicazioni; inoltre, gli Stati invocano il loro dovere di tutelare la salute dei cittadini come fondamento del controllo penale di determinate sostanze, e contemporaneamente percepiscono considerevoli entrate dalla vendita di altre droghe giudicate del tutto nocive come il tabacco e l'alcool" [ivi, 178].

Poi, continua: "L'effetto di dissuasione si è rivelato nullo, se non su qualche singolo consumatore, per lo meno sull'insieme delle popolazioni interessate.

Il numero degli utilizzatori è aumentato, il traffico si è raffinato nel caso in cui ciò si era reso necessario, ma più spesso la maggior parte delle transazioni illecite relative a piccole quantità avviene alla vista e alla conoscenza delle autorità di polizia che hanno rinunciato ad intervenire; può darsi che il consumo di certe droghe popolari negli anni sessanta e settanta sia diminuito (LSD, colla, allucinogeni potenti), ma sappiamo che in ciò il diritto penale non ha avuto alcun merito. Sono stati gli utilizzatori stessi e l'opinione pubblica a rendere tali sostanze impopolari, denunciandone efficacemente gli effetti nocivi rilevati" [ivi, 179].

Risulta evidente che "il costo dell'applicazione delle leggi sulle droghe non ha cessato di salire; tali leggi hanno comportato la creazione di reparti speciali di polizia, hanno sovraccaricato i tribunali, le prigioni, i servizi di cura e riabilitazione penale" [ibidem].

"La politica abolizionista ha in effetti, e come previsto, incentivato i mercati illegali; il commercio internazionale si intensifica; i corpi di polizia di tutti i paesi hanno perduto la guerra contro la droga.

Il trattamento forzato e la carcerazione dei tossicodipendenti allo scopo di ridurre la loro dipendenza si sono conclusi con clamorosi fallimenti.

D'altra parte, fatti nuovi sono venuti ad aggiungersi ai motivi che mi spingevano a raccomandare l'abolizione delle leggi sulle droghe.

In numerosi paesi occidentali, si è giunti alla conclusione che molte droghe lecite provocano un danno certo alla salute dei cittadini e che i costi comportati dall'abuso di tali sostanze superano la soglia di tollerabilità.

Tale constatazione ha due effetti. In primo luogo, essa dimostra la netta incoerenza degli Stati che si preoccupano di alcune sostanze per renderle oggetto di divieto nel codice penale, ma contestualmente incoraggiano segretamente e tollerano pubblicamente il consumo di nicotina ed alcool; in secondo luogo, le reazioni sociali ai danni di queste due droghe si rivelano molto più salutari ed efficaci di quelle prevalenti nell'ambito delle droghe illegali.

Gli Stati, sicuramente alcuni, vietano la promozione in trasmissioni del servizio pubblico radiotelevisivo di tali sostanze e impongono che la pubblicità sia accompagnata da avvisi di pericolosità; il pubblico e le associazioni di cittadini si mobilitano per limitare ai soli consumatori, nel caso della sigaretta, i danni derivanti dal consumo.

Con riferimento all'alcool, la reazione è altrettanto interessante. Dato che è la guida in stato di ebbrezza a rappresentare un pericolo sociale, è questa ad essere sanzionata e non il consumo; alcune campagne intelligenti permettono all'utilizzatore tale consumo senza mettere a repentaglio la vita degli altri cittadini" [Ivi, 179-180].

Emergono quindi una serie di contraddizioni da parte dei proibizionisti: si vuole eliminare un pericolo sociale, ma le conseguenze sono, allo stato dei fatti, negative: carceri piene di tossicodipendenti, "ingolfamento" della giustizia, incapacità della polizia a risolvere i problemi della sicurezza legati ai reati derivanti dalla diffusione delle droghe.

La conclusione di Bertrand: "Analizzando le origini di tali resistenze alla modifica delle leggi sulle droghe mi si sono chiaramente rivelate l'immoralità, l'ipocrisia e la illegittimità della proibizione.

Queste resistenze si collocano a livello nazionale e internazionale. Tutti coloro che hanno a cuore la modifica delle leggi attuali devono farsi carico di analizzarle per combatterle" [ivi, 180].

Altro aspetto analizzato dagli antiproibizionisti è quello relativo alla trasformazione della democrazia in "narcocrazia".

Non è soltanto la salute dei tossicomani ad essere in gioco, ma anche quella dell'intera società ed in particolare dell'economia del "denaro sporco".

Secondo gli antiproibizionisti, la legalizzazione del mercato delle droghe è resa urgente dalla pericolosità della narco - criminalità e dall'esigenza di sollevare la polizia e la magistratura da una guerra perduta in partenza.

Si libererebbero così risorse da utilizzare per combattere le altre forme di criminalità.

Nel più recente rapporto dell'Organo internazionale di controllo degli stupefacenti si legge che "L'uso delle droghe illegali, tanto naturali che sintetiche, ha conosciuto una crescita così rapida negli ultimi vent'anni che minaccia oggi tutti i paesi e tutti gli strati sociali. Il fenomeno non è proprio né dei grandi centri urbani, né degli intellettuali o degli analfabeti, dei ricchi o dei poveri: si è diffuso ormai dappertutto, nelle scuole, sui luoghi di lavoro, nel tempo libero, nello sport". E si aggiunge: "La produzione e la fabbricazione clandestina di droghe tocca un numero crescente di paesi, in numerose regioni del mondo. Tali attività, che raggiungono proporzioni allarmanti, sono finanziate e dirette da organizzazioni criminali che hanno ramificazioni internazionali e beneficiano di complicità nel sistema finanziario. I grossi trafficanti di droga utilizzano spesso dei canali impiegati da importanti società multinazionali assolutamente legali. Avendo a disposizione fondi pressoché illimitati, i t

rafficanti corrompono i funzionari, diffondono la violenza e il terrorismo, influenzano l'applicazione delle convenzioni internazionali per la lotta contro la droga e esercitano nei fatti un vero e proprio potere politico ed economico in molte regioni del mondo.

E la descrizione di una nuova forma di governo, la peggiore mai immaginata, la Narcocrazia" [cit. in Taradash, 1989, pp.172-173].

Esiste quindi un meccanismo di integrazione dei narcotrafficanti nel circuito legale.

Va sottolineato a tal proposito la stretta correlazione tra il traffico della droga e quello delle armi.

"La maggior parte dei movimenti terroristici, di qualsiasi appartenenza ideologica essi siano, e persino ufficiali di alto livello, sarebbero impegnati in questo 'scambio' secondo rapporti ufficiali della CIA. L'importanza delle somme da riciclare costringe poi il trafficante ad inserirsi nel settore economico legale" [Robert, 1995, p. 23].

E più avanti: "Ormai sono settori chiave dell'economia ad essere investiti: la costruzione e l'edilizia, il settore del turismo e quindi anche le catene alberghiere e i trasporti, senza dimenticare la finanza.

Garantendo l'anonimato, i titoli di Stato, emessi dalla maggior parte dei governi europei per lottare contro il deficit, offrono un metodo molto comodo per il riciclaggio. In generale, il denaro sporco sarà reinvestito in tutti i settori dell'economia legale che necessitano della manipolazione di somme notevoli di denaro liquido" [ivi, p. 23-24].

Nel concreto, le misure alternative al proibizionismo si presentano sotto diversi modelli di legalizzazione che possono essere racchiusi in tre categorie principali, che non sono però tra loro incompatibili: il modello medico, il commercio passivo ed il modello liberale.

Gli obiettivi che gli antiproibizionisti vogliono raggiungere attraverso ciascuna di queste proposte di legalizzazione del mercato sono essenzialmente la diminuzione drastica del prezzo delle droghe; la messa fuori gioco delle organizzazioni criminali, con la conseguente scomparsa della delinquenza indotta; un miglioramento della qualità dei prodotti, grazie ai controlli dello Stato oppure ai meccanismi della concorrenza, secondo i modelli di riferimento.

Inoltre, tutti i sostenitori della legalizzazione credono che la prevenzione e la deterrenza si attuino meglio attraverso l'educazione che la repressione.

1) Il modello medico è quello che si allontana di meno dal regime attuale, in quanto prevede che si rimpiazzi la penalizzazione di un comportamento con la sua medicalizzazione.

"La medicalizzazione è generalmente presentata come una fase di passaggio dal sistema proibizionista a quello di legalizzazione, un momento di informazione e prevenzione la cui durata può variare a seconda del grado di consapevolezza acquisita dalla società sui rischi delle nuove droghe ad accesso legale" [Taradash, 1991, p. 171].

2) Il modello del commercio passivo prevede la creazione in ogni paese di un monopolio di Stato che si occupi della produzione, della trasformazione, dell'importazione e della commercializzazione delle sostanze attualmente proibite.

Mira a garantirne la disponibilità per gli utilizzatori, vietando completamente ogni forma di promozione del mercato.

"Anche se ciascuna droga presenta delle caratteristiche particolari che richiedono una regolamentazione specifica, il commercio passivo si basa su alcuni princìpi comuni: discrezione nell'uso, divieto di propaganda, produzione e distribuzione strettamente controllati" [ivi, p.180].

E il modello che più si avvicina al proibizionismo perché mira a sostituire alla guerra armata alla droga una "lotta civile contro l'abuso delle sostanze".

3) Il modello liberale assegna alle leggi del mercato - precisamente a quelle dell'offerta e della domanda - il compito di regolamentare la disponibilità, il prezzo e la varietà delle sostanze.

"Generalmente i sostenitori della tesi del "libero mercato", vale a dire: regole ridotte al minimo, non sono contrari all'educazione e alla prevenzione, al contrario: le risorse oggi impegnate nella repressione potrebbero essere utilizzate a questo fine" [ivi, p.175].

Una versione prudente del libero mercato è quella che va sotto il nome di "tasse e controlli", perché si propone di creare progressivamente un mercato legale con cui il mercato nero non possa competere.

"Legalizziamo e tassiamo le sostanze attualmente controllate. Le tasse sarebbero usate per l'educazione contro la droga e per pagare i costi sociali e medici dell'abuso di droga. Una commissione dovrebbe essere istituita col compito di decidere questi costi separatamente per ogni droga, e la percentuale di tassazione sarebbe adeguata periodicamente per riflettere questi dati. Così il governo riconoscerebbe l'impossibilità di eliminare del tutto l'uso di droga e impiegherebbe il suo potere di tassare e la sua autorità educativa per incoraggiare un uso più sicuro delle droghe. Le droghe che sono legali oggi, alcool e tabacco, non si distinguerebbero dalle altre" [Grinspoon, 1989, p.236].

Questi tre modelli non sono di per sé rigidamente incompatibili: infatti costituiscono delle ipotesi che possono essere modulate in base, per esempio, alle sostanze trattate.

L'obiettivo dichiarato è infatti quello di avere un equilibrio tra l'esigenza di dissuasione dal consumo e l'esigenza della non induzione del mercato parallelo.

Il modello di riferimento analizzato è quello medico che, a partire dalle iniziative sulla riduzione del danno, è stato maggiormente dibattuto dal movimento antiproibizionista italiano, perché forse può in una prima fase essere attuato anche in un regime proibizionista.

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