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Conferenza droga
Radio Radicale Andrea - 3 marzo 2000
Capitolo III

Analisi della legge 162/90. Il referendum del 1993. Il quesito e le conseguenze del sì.

Gli albori della normativa sugli stupefacenti sono caratterizzati in Italia, almeno fino alla metà degli anni '50, da un certo distacco riguardo al problema.

Una sorta di "indifferenza" porta alla legge del 1923, con cui inizia la regolamentazione del settore, a non punire in alcun modo l'uso individuale di droga, mentre ne sanziona "l'uso di gruppo" ed il "traffico illecito".

Tale impostazione non subisce apprezzabili modifiche neanche con il codice penale del 1930, che prevede come reati il commercio clandestino di stupefacenti, l'agevolazione dolosa all'uso e la vendita ai minori di 16 anni, ma non prende in considerazione il consumo individuale se non in casi particolari, per esempio la somministrazione di bevande alcoliche a minori o a infermi di mente [cfr. art. 689 del codice penale].

E con la legge n. 1041 del 1954 (Disciplina della produzione, consumo e commercio delle sostanze stupefacenti) che entra in campo una normativa diversa.

L'aumento del consumo di stupefacenti e dei fenomeni di tossicodipendenza fa sì che si decida di intervenire su due piani: quello sanzionatorio (introduzione di pene elevate per la detenzione di sostanza in qualunque quantità) e quello terapeutico-sanitario (con possibilità di ricovero coatto in ospedale psichiatrico) [cfr. Marafioti, 1994, p.2].

Dalla repressione si arriva alla stagione della "solidarietà" con la legge 685 del 1975, che rimarrà in vigore fino al 1990 e che considera l'uso di droga (indistintamente pesante e leggera) una devianza e la dipendenza una malattia.

I punti fondamentali della 685 sono la netta separazione tra la figura dello spacciatore e quella del consumatore, con la conseguente esclusione della punibilità per la detenzione di "modica quantità" finalizzata all'uso personale.

Tale legge prevede anche la creazione di servizi medici e assistenziali sul territorio.

"Ma a 15 anni dalla sua approvazione, il 30% dei centri di prevenzione e cura previsti non era nato e due regioni non avevano predisposto neanche la legge regionale" [ivi, p. 3].

La legge 162/90 e le successive modifiche.

Arriva poi il momento della legge 162 del 1990, che sancisce il "divieto di drogarsi" e prevede sanzioni amministrative e penali per ogni forma di detenzione di stupefacenti, anche in quantità minima.

Si va dal ritiro della patente e/o del passaporto, al sequestro di veicoli di proprietà, al divieto di allontanarsi dal comune di residenza, per arrivare alla carcerazione.

Tutto l'impianto ideologico prende spunto dalle leggi approvate, alla fine degli anni '80, dal Parlamento degli Stati Uniti, che prevedevano, attraverso modifiche legislative, l'inasprimento delle pene per i consumatori e per gli spacciatori e di altro genere (istigazione allo spionaggio, test antidroga generalizzati, propaganda ideologica), fino alla pena di morte [cfr. Cora, 1989 pp. 7-9].

Secondo gli antiproibizionisti, le modifiche della legge 685 dovevano partire dalla regolamentazione legale di tutte le sostanze psicoattive, con una loro conseguente riclassificazione di rischio e di pericolosità, dalla legalizzazione di hashish e marujuana, dalla "disponibilità per i tossicodipendenti di un ampio ventaglio di opzioni di assistenza e trattamento, ivi incluso quello di mantenimento a base di stupefacenti oggi illegali" [ivi, p. 7]. In particolare, si richiedeva "l'adozione di un sistema di tassazione per le droghe, in proporzione al danno individuale e sociale che possano provocare, devolvendo parte delle entrate a programmi di informazione, prevenzione e riabilitazione" [ivi, p. 7-8].

In questo quadro, si richiedeva la riforma della disciplina pubblicitaria di tutte le sostanze psicotrope, alcool e tabacco compresi e "la promozione di campagne di informazione su droghe legali e illegali, atte a concederne l'uso e sconfiggerne l'abuso, a salvaguardia della libertà e della salute dei cittadini" [ibidem].

Quali sono i punti più significativi della legge 162 del 1990?

L'impianto generale della legge si regge sul principio della punibilità dei consumatori, sia di droghe leggere che di droghe pesanti.

Seppure la legge preveda che in determinate circostanze si possa procedere con sanzioni amministrative o con una semplice diffida, le sanzioni amministrative per il possesso di droga sono limitate.

Viene operata una differenziazione tra le diverse sostanze psicotrope, che vengono raggruppate in sei tabelle di classificazione approvate dal Ministro della Sanità.

La coltivazione, produzione, raffinazione e vendita, ed anche la semplice detenzione di quantità eccedenti la misura definita "dose media giornaliera", di cocaina, sostanze oppioderivate e altre droghe cosiddette "pesanti" è punita con la reclusione da 8 a 20 anni e con la multa da 50 a 500 milioni di lire. Per cannabis e hashish la pena prevista è da 2 a 6 anni e la multa da 10 a 150 milioni. Nel caso il reato - in quanto a mezzi, modalità e circostanze - venga definito di "lieve entità", si applica una pena da 1 a 6 anni ed una multa da 5 a 50 milioni per le droghe cosiddette "pesanti", e da 6 mesi a 4 anni e multa da 2 a 20 milioni per le droghe cosiddette "leggere". Le stesse pene sono diminuite, dalla metà ai due terzi, per l'autore di reato che collabori concretamente con l'autorità giudiziaria. Quando il commercio di sostanze psicotrope è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, con specifico carattere di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, la pena prevista è la r

eclusione non inferiore ai 20 anni, per chi promuove e dirige l'associazione, e non inferiore a 10 anni per chi vi partecipa; tali pene vengono ulteriormente aumentate nel caso l'associazione disponga di armi e se gli associati sono in numero superiore a nove [cfr. Aspe, 1988, p.12].

La legge dichiara vietato l'uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Le sanzioni previste sono di due tipi: uno amministrativo e l'altro penale. Chiunque detenga, per farne uso personale, una quantità di sostanze non eccedenti la quantità di principio attivo, definita "dose media giornaliera" (nel caso di superamento di tale quantità scattano le pene previste per il traffico) e stabilita con apposite tabelle dal ministro della Sanità, è sottoposto alla sospensione della patente di guida, del passaporto, del porto d'armi e del permesso di soggiorno per un periodo da 2 a 4 mesi, nel caso di droghe cosiddette "pesanti" e da 1 a 3 mesi, nel caso di droghe cosiddette "leggere". Se l'Autorità preposta all'emanazione delle sanzioni amministrative - il Prefetto - ritiene che la persona in oggetto si asterrà nel futuro dal consumare droghe, per una sola volta, non commina la sanzione. Il procedimento sanzionatorio è pure sospeso nel caso in cui l'interessato richieda di essere sottoposto a programma terapeutico ed il Prefetto ne ravvisi l'opportunità.

Nel caso l'interessato interrompa per due volte il programma terapeutico o non si presenti innanzi al Prefetto, viene deferito all'Autorità giudiziaria che stabilisce nuovi obblighi (ad es.: divieto di lasciare l'abitazione in certi orari, divieto di uscire dal Comune di residenza, ecc.).

Nel caso di violazione di tali obblighi o in quello di terza segnalazione all'Autorità amministrativa il contravventore è punito con l'arresto sino a tre mesi o con l'ammenda sino a 5 milioni di lire [ivi, p. 22].

Il trattamento terapeutico può essere imposto oppure scelto volontariamente dai soggetti puniti per i vari reati relativi alle sostanze stupefacenti e può sostituire o affiancare la pena.

La legge prevede che le pene detentive per i reati legati allo stato di tossicodipendenza siano scontate in strutture carcerarie idonee allo svolgimento di programmi terapeutici.

Per il soggetto tossicodipendente, trovato in possesso di una quantità non superiore alla cosiddetta "dose media giornaliera", che accetti di essere sottoposto a programma terapeutico è prevista la sospensione della sanzione penale o amministrativa; alla persona tossicodipendente condannata, per reati connessi al proprio stato, ad una pena non superiore a 3 anni l'esecuzione della stessa può essere sospesa per 5 anni, qualora la persona sia sottoposta od abbia in corso un programma terapeutico e socio-riabilitativo. Se il condannato termina il programma e nei cinque anni successivi non commette alcun reato la pena viene estinta [ivi, pp. 26-27].

La legge sulle tossicodipendenze ha ridefinito gli strumenti istituzionali per la formulazione delle politiche e dei programmi di intervento nella lotta alla droga.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri presiede il "Comitato di Coordinamento nazionale per la lotta alla droga" formato dai ministri competenti Sanità, Difesa, Interno, Istruzione, Affari Sociali, Giustizia, Esteri affiancato da un Comitato di esperti e dall'Osservatorio permanente sul fenomeno della droga. La Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome assicura il coordinamento tra il governo centrale e i governi regionali.

A livello locale, alle regioni e alle province autonome è attribuita dalla legge la funzione di programmare ed attuare i piani di intervento in tema di prevenzione e trattamento sanitario e socio-riabilitativo dei tossicodipendenti. I Comuni e le Comunità montane devono svolgere attività di prevenzione, di reinserimento scolastico, lavorativo e sociale del tossicodipendente [ivi, p. 36].

Numerose furono le prese di posizione contrarie alla legge, fin dal lungo dibattito parlamentare.

Da un punto di vista strettamente medico, viene innanzitutto osservato che i criteri di punibilità adottati comporteranno che i tossicodipendenti "per non correre rischi legali, (...) saranno spinti a comprare volta per volta dosi singole: il che li esporrà a più frequenti variazioni del dosaggio di sostanza pura e quindi a maggiori rischi di overdose. In alternativa, verrà incoraggiata nei tossicodipendenti la tendenza (tipica del loro stato) a somministrarsi tutta la dose acquistata anziché frazionare il dosaggio" [Arnao, 1989a, p. 11].

Ma anche il concetto di dose media giornaliera è fortemente criticato da un punto di vista medico o scientifico.

Scrive Arnao: "Il concetto di "dosi medie giornaliere" postula una serie di parametri quantitativi "universali" per le diverse sostanze.

Tale concetto ha un senso soltanto per sostanze che hanno anche un uso medico (come morfina ed eroina), in cui esiste infatti una quantificazione farmacologica delle "dosi massime". Va però considerato che (a causa del fenomeno della 'tolleranza') le dosi medie giornaliere per i tossicodipendenti sono molto superiori a quelle dei soggetti normali: è quindi inevitabile che i tossico-spacciatori (che vendono generalmente ad altri tossicodipendenti) detengano quantitativi superiori a quelli considerati come "dosi medie" in soggetti normali" [Arnao, 1989b], determinando così una forte probabilità per i piccoli spacciatori di incappare nella possibilità di incorrere nei reati che prevedono la reclusione da 8 a 20 anni e di perdere la possibilità di sostituire la pena con il trattamento.

Un altro aspetto critico è l'impostazione data dalla legge al rapporto fra tossicodipendenti e servizi.

Uno dei maggiori ostacoli al contatto fra istituzioni e tossicodipendenti è il timore di questi ultimi di essere comunque segnalati o schedati.

La legge propone al tossicodipendente un percorso obbligato al termine del quale, se il trattamento viene interrotto più di una volta, c'è la condanna penale.

Il rischio per il tossicodipendente di essere coinvolti nell'iter burocratico-repressivo del trattamento costituisce un motivo di diffidenza verso qualsiasi servizio di assistenza e ne accentua la tendenza alla clandestinità, con un effetto anche pericoloso per la salvaguardia sanitaria della collettività, soprattutto se si considera l'alto numero di tossicodipendenti HIV positivi.

Ma, forse, le critiche maggiori riguardano l'impostazione fortemente ideologica della legge.

Secondo Arnao, la legge incarna una "Incongruenza che si concreta nel considerare la "droga" come qualcosa di intrinsecamente e oggettivamente diverso da altri intossicanti sociali legali come l'alcol" [ivi].

E in un saggio molto polemico, Luigi Ferrajoli così sintetizza le critiche alla legge: "La punizione, sia pure con sanzioni atipiche e non detentive, di chi detiene anche solo una dose di stupefacenti "non superiore a quella media giornaliera", le pene severissime previste per chi ne fa spaccio o per chi ne acquista o ne detiene una quantità superiore; la totale indeterminatezza legale dei reati e delle pene; il congegno punitivo, in parte amministrativo e in parte giudiziario, architettato per la detenzione delle dosi giornaliere e consistente in una forma bizzarra di processo pedagogico e intermittente finalizzato alla coazione al trattamento terapeutico. Si tratta di quattro novità che non solo contraddicono i valori liberali del diritto penale nello stato di diritto, sanciti dalla Costituzione repubblicana, ma che al tempo stesso sono in grado di produrre risultati diametralmente opposti a quelli proclamati dai sostenitori della legge." [Ferrajoli, 1991, p.135].

E più avanti: "Ma la legge del 1990 non punisce soltanto un'attività non dannosa per i terzi quale è il consumo di droghe. Punendo il consumo, essa si risolve inevitabilmente nella punizione della tossicodipendenza in quanto tale: cioè di una tragica e infelice condizione personale di dipendenza e di sofferenza che esula in gran parte, nei casi estremi, dalla stessa volontà della persona (...). Ciò che è grave, sul piano giuridico, è precisamente la punizione di una condizione personale in quanto tale, la quale contraddice un altro classico principio dello stato di diritto: quello secondo cui si può essere puniti soltanto per ciò che si fa e non già per ciò che si è, per come si agisce e non anche per la propria identità" [ivi, p.137]. Numerose furono le eccezioni di incostituzionalità sollevate da vari giudici di merito in relazione alla legge del 1990, respinte con la sentenza della Corte costituzionale n. 333/91.

Sarà il referendum del 18 aprile 1993 a cambiare, almeno in parte, il sistema penale previsto dalla legge.

La raccolta delle firme per il referendum fu promossa dai radicali e dal Coordinamento radicale antiproibizionista nel 1991.

Secondo i promotori "questo referendum servirà a due scopi. Primo, più diretto, ad abolire le norme della legge che hanno creato l'unica solidarietà vera che oggi esiste su tutto il territorio nazionale in materia di droga: quella tra consumatore e spacciatore. Non c'è giudice in Italia che non lo possa confermare: oggi colpire gli spacciatori è ancora più difficile di prima. La minaccia del carcere, rivolta contro chi acquista la droga, crea, o quantomeno rafforza, la connivenza con chi la vende. Risparmiando su tribunali e galere avremo più soldi per la sanità, e si potrà fare qualcosa di più per impedire che tanti ragazzi tossicodipendenti o, come sempre più spesso capita, ex-tossicodipendenti, muoiano di Aids.

La seconda questione per cui il referendum è stato presentato è di mantenere la questione droga-mafia-proibizionismo al centro del dibattito politico" [Cora, 1991].

La raccolta delle firme per il referendum iniziò dopo poco più di un anno dalla applicazione della legge e dalle prime diffusioni dei dati ufficiali secondo i quali "nei primi nove mesi del '91, nonostante l'aumento dei controlli e dei sequestri, i morti per overdose sono stati 946: 120 in più rispetto all'intero anno precedente, con un incremento del 14,5 per cento. In questa tragica impennata, vanno compresi i tre suicidi in carcere che durante l'estate avevano già riacceso le polemiche intorno al provvedimento, costringendo il governo a emanare d'urgenza un decreto per attenuare il rigore e correggere l'automatismo punitivo della nuova disciplina, secondo i suggerimenti della stessa Corte di Cassazione" [Valentini, 1991].

Non solo, ma con la nuova legge aumenta il "costo di un'amministrazione giudiziaria ingorgata da processi per consumo di droga (nel primo anno di applicazione della legge gli arresti per droga sono stati oltre 30.000, con un aumento del 25% rispetto all'anno precedente)" [ibidem].

Col referendum sulla legge Jervolino-Vassalli veniva richiesta l'abrogazione delle norme (art. 76) che introducono, direttamente o indirettamente, sanzioni penali per l'uso personale delle sostanze illecite. Venivano invece mantenute in vigore le sanzioni amministrative previste nell'articolo 75, conformemente agli obblighi assunti dal Parlamento italiano con la ratifica, avvenuta nel 1990, della Convenzione ONU di Vienna del 1988 (non è consentito referendum abrogativo delle norme contenute nei trattati internazionali ratificati dall'Italia).

Veniva inoltre richiesta l'abrogazione della cosiddetta dose media giornaliera, vale a dire del criterio meccanico, esclusivamente quantitativo, che (art. 75 e 78) sancisce lo spartiacque fra l'uso personale e lo spaccio, e quindi fra la sanzione amministrativa e quella penale.

Abolendo le norme sottoposte a referendum, l'uso personale viene sanzionato sulla base dell'articolo 75 (che affida al prefetto tutta una serie di facoltà) e lo spaccio sulla base dell'art. 73, rimasto immutato. Il consumatore, insomma, non deve per questo solo motivo finire in galera.

Veniva richiesta anche l'abrogazione del primo comma dell'articolo 72 della legge, dove si afferma: "E vietato l'uso personale delle sostanze stupefacenti e psicotrope".

L'abolizione di questo articolo non aveva alcuna conseguenza pratica, poiché l'uso personale rimane - come vuole la Convenzione di Vienna - un illecito soggetto alle sanzioni previste nell'art. 75, ma espelle un elemento di "morale di Stato" del tutto anomalo all'interno della tradizione giuridica dello Stato di diritto.

Gli altri punti sottoposti a referendum riguardano la libertà del medico.

Si toglie al ministro della sanità la facoltà di stabilire limiti e modalità nell'uso di farmaci sostitutivi (art. 2) e si aboliscono le norme (art. 120 e 121) che impongono al medico di famiglia di comunicare al servizio pubblico per le tossicodipendenze il nome dei loro pazienti consumatori di sostanze proibite [cfr. Spagnoli, 1991].

Le conseguenze pratiche del referendum, quindi, erano l'abolizione delle sanzioni penali per i consumatori, l'abolizione del criterio della dose media giornaliera e la restituzione ai medici della libertà terapeutica. La detenzione di sostanze proibite per uso personale resterebbe illecita, e passibile di sanzioni amministrative (ritiro della patente, del passaporto, avvio al trattamento terapeutico, eccetera), ma in nessun caso i consumatori di sostanze proibite subirebbero - soltanto per questo motivo - una condanna penale. Ovviamente, rimaneva punito, come adesso, lo spaccio e ogni reato commesso per procurarsi le droghe. Con il referendum il giudice dovrà decidere caso per caso se l'imputato è consumatore o spacciatore.

"Si ricrea così anche il rapporto di fiducia fra medico e paziente. Il medico potrà scegliere, senza scontrarsi con disposizioni ministeriali ispirate a criteri non di salute ma di ordine pubblico, quale farmaco e quale posologia è necessaria al paziente tossicomane. Nello stesso spirito, si aboliscono le norme che obbligano il medico di famiglia a segnalare al servizio per le tossicodipendenze chi abbia fatto uso anche occasionale di sostanze proibite" [Maiolo, 1991]

Ecco per esteso il quesito referendario: "Volete voi che siano abrogati gli articoli 2 comma 1 lettera e) punto 4; 72 comma 1, 72 comma 2 limitatamente alle parole "di cui al comma 1"; 73 comma 1 limitatamente alle parole "e 76"; 75 comma 1 limitatamente alle parole "in dose non superiore a quella media giornaliera, determinata in base ai criteri indicati al comma 1 dell'art. 78"; 75 comma 12 limitatamente alle parole "rendendolo edotto delle conseguenze cui può andare incontro. Se l'interessato non si presenta innanzi al prefetto, o dichiara di rifiutare il programma ovvero nuovamente lo interrompe senza giustificato motivo, il prefetto ne riferisce al procuratore della Repubblica presso la pretura o al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, trasmettendo gli atti ai fini dell'applicazione delle misure di cui all'art. 76. Allo stesso modo procede quando siano commessi per la terza volta i fatti di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo"; 75 comma 13 limitatamente alle parole "e n

ell'art. 76"; 76; 78 comma 1 limitatamente alle lettere b) e c); 80 comma 5; 120 comma 5; 121 comma 1; del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, "Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossico-dipendenza?" [Spagnoli, 1991]

Il referendum fu approvato il 18 aprile 1993, con il 52% di sì e il 48% di contrari. Il Presidente della Repubblica il 5 giugno 1993 emanò il decreto che rese effettivo l'esito del referendum sulla legge Jervolino-Vassalli. Il decreto entrò in vigore il 6 giugno. Il testo del decreto fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie generale n.130 del 5-6-1993 (D.P.R. 5 giugno 1993, n.171).

Molti altri sono stati i provvedimenti legislativi in materia di droga emanati negli ultimi anni, che hanno modificato l'impianto iniziale della legge 162/90 e, in qualche caso, hanno anche disatteso gli esiti del referendum.

Vanno innanzitutto segnalate le decine di reiterazioni del decreto legge, la cui prima versione era del 13 gennaio 1993 delle "Disposizioni urgenti per l'attuazione del testo unico sulle tossicodipendenze, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309".

Questo provvedimento ha subìto notevoli cambiamenti nel corso delle varie reiterazioni. Per esempio, si è passato dal primo decreto, che prevedeva la "riduzione del danno" come principio ispirativo di politica sanitaria, a provvedimenti come quelli previsti dalla ventesima reiterazione del 16 luglio 1996, che prevedeva una limitazione dell'uso del metadone ai "progetti ed ai servizi interamente gestiti dalle unità sanitarie locali" (art.1, comma 3).

Altre modifiche significative hanno riguardato la modifica della quantità di "dose media", la previsione di sole sanzioni amministrative per il semplice consumo di sostanze stupefacenti, il rafforzamento dei compiti dell' "osservatorio per la lotta alla droga", la creazione di un nucleo di valutazione sui criteri di verifica delle procedure e dei risultati raggiunti dai progetti finanziati attraverso il fondo nazionale e il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV.

Per quanto riguarda quest'ultimo provvedimento, se ne occupò in modo specifico il cosiddetto "decreto Martelli", che prende il nome dal ministro di Grazia e giustizia Claudio Martelli, e che prevedeva misure alternative al carcere. Per la prima volta se ne occupò il decreto-legge 11 settembre 1992, n.374.

Di tutt'altro tenore è la cosiddetta "Legge Lumia" del 18 febbraio 1999 n. 45, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 53 del 5 marzo 1999 dal titolo: "Disposizioni per il Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga e in materia di personale dei Servizi per le tossicodipendenze".

La legge, oltre ad una riorganizzazione della "burocrazia dell'antidroga" (problemi di personale, ruoli funzionali, stipendi e carriere), ha dato forza di legge alla proibizione dell'uso del metadone nell'ambito dei programmi "privati" finanziati dal Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga. In questo modo, viene limitato il diritto dei medici e dei tossicodipendenti e costituisce perciò un passo indietro rispetto alle disposizioni del referendum che avevano abrogato ogni restrizione per l'utilizzo dei farmaci sostitutivi nella cura delle tossicodipendenze. Viene di fatto reintrodotto il principio del "proibizionismo sulle cure" [cfr. Cora, 1999].

Uno degli effetti della legge è che "ostacola l'integrazione dei servizi pubblici e privati, proprio mentre essa sta producendo risultati favorevoli per la collettività e imporrà la sospensione di interventi o attività intraprese, comportando in questo modo un aumento, anziché - come sarebbe auspicabile - una riduzione dei danni connessi alla diffusione del consumo di droghe" [ibidem].

Nel 1997, gli antiproibizionisti proposero alla Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze alcuni progetti di riforma legislativa che prevedevano innanzi tutto la "piena attuazione del principio (sancito dal referendum tenutosi nel 1993) della non punibilità della detenzione di droghe proibite destinate al consumo personale o di gruppo", l'abolizione delle sanzioni amministrative per il consumo di droghe proibite e la modifica del Codice della Strada per quanto riguarda la guida di autoveicoli sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.

Si richiedeva che i controlli sul consumo di droghe proibite fossero simili alle misure adottate per il consumo di alcolici.

Per quanto riguarda le terapie, si chiedeva la "estensione dell'utilizzo delle terapie farmacologiche sostitutive (metadone) e cambiamento della registrazione del farmaco per morfina e buprenorfina, prevedendone l'uso (di accertata efficacia) nella cura delle dipendenze, l'introduzione nella Farmacopea del LAAM (metadone ad azione prolungata: 72 ore), già presente nella Farmacopea di altri Stati" e l'"inserimento, fra le opzioni terapeutiche, di programmi di somministrazione controllata e sperimentale di eroina cloridrato nel trattamento di particolari stati di tossicodipendenza" [Cora, 1997].

Sui finanziamenti antidroga, la richiesta antiproibizionista andava nel senso di richiedere la riforma dei sistemi di finanziamento dei programmi di intervento, attraverso la definizione di criteri chiari e specifici (finalizzazione diretta alla cura delle dipendenze ed alla prevenzione delle patologie correlate) per l'erogazione dei finanziamenti e il monitoraggio e il controllo dell'efficacia degli interventi.

Sulle droghe legali, la richiesta andava nel senso dell'introduzione del divieto di pubblicità diretta ed indiretta delle bevande alcoliche e proponeva l'indicazione sulle confezioni dei possibili effetti nocivi per la salute.

Sul piano internazionale, si richiedeva all'Unione Europea di predisporre le "strategie di riduzione del danno, nell'ambito del processo di revisione dei trattati e delle misure di armonizzazione delle legislazioni sulla droga elaborate in seno al Consiglio dei Ministri dell'UE" e "la promozione, da parte del Governo italiano, di un'adeguata indagine conoscitiva internazionale sul bilancio costi/benefici di trent'anni di politiche proibizioniste. in vista della Conferenza ONU sulle droghe del 1998" [ibidem].

Per quanto riguarda la libertà di cura, in attuazione del referendum del 1993, gli antiproibizionisti, dopo 4 anni dalla vittoria del sì, richiedevano: 1) il riconoscimento del diritto di ogni medico a curare un cittadino tossicodipendente attraverso l'utilizzo dei circa 50.000 medici di base e liberi professionisti, esclusi dalle linee guida del Ministero della Sanità - Circ. n.20/94 - per motivi pratico-organizzativi. Al medico deve essere riconosciuto ovviamente questo diritto anche quando opera all'interno di un servizio privato che attua programmi (anche con impiego di metadone) finanziati con denaro pubblico del Fondo Nazionale di intervento per la lotta alla droga (abrogazione della norma di cui all'Art. 1, comma 3 del D.L. 375/96).

2) Garantire la libertà di scelta del medico (anche dello psicologo) e del luogo di cura da parte dei cittadini tossicodipendenti.

3) Garantire al cittadino tossicodipendente la possibilità di scelta del medico (e dello psicologo) anche all'interno del SERT.

4) Garantire il diritto a qualsiasi terapia, accettata e condotta secondo protocolli convalidati in Italia o in altri Paesi [cfr. Berté, 1997, p. 10].

Anche attraverso queste proposte, che in gran parte dovevano essere attuative degli effetti abrogativi del referendum, si voleva realizzare un modello di politica sanitaria alternativo a quello previsto dalla legge 162/90.

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