I progetti di politica sanitaria: la risoluzione di Francoforte e l'agenzia comunale di Torino.
Nel corso della I conferenza internazionale "European Cities at the Center of Illegal Trade in Drugs" (Francoforte, 20-22 novembre 1990), promossa dal Consiglio Comunale di Francoforte sul Meno (Germania), è stata approvata un'importante risoluzione proposta dai rappresentanti delle città di Amsterdam, Francoforte, Amburgo e Zurigo e aperta alla firma di tutte le città europee.
Si tratta di uno dei primi documenti in cui sono state denunciate le difficoltà delle politiche proibizioniste di molti paesi europei.
Durante la conferenza, i rappresentanti delle città partecipanti hanno concordato uno scambio di esperienze e di collaborazione riguardo alle strategie sulla droga.
I delegati erano rappresentanti di città europee al centro del commercio illegale di droga - comandanti di polizia, medici del servizio pubblico, autorità - che si sono incontrati per affrontare il problema dell'abuso di droga e tutto ciò che esso comporta, e per formulare alcune proposte.
Partendo dalla constatazione che il tentativo di eliminare le droghe e il consumo di droga è fallito, la dichiarazione afferma che "l'uso di droga ha il suo fondamento nelle carenze della società e non può essere prevenuto da specifiche politiche sulla droga. Nella migliore delle ipotesi, queste politiche sono in grado soltanto di regolamentare e limitare le conseguenze del consumo di droga. Per la maggioranza dei suoi consumatori, la droga è un periodo temporaneo dell'esistenza, che può essere superato attraverso un processo di maturazione che liberi dalla dipendenza. Le leggi sulla droga non debbono essere di ostacolo a questo processo, ma devono costituirne un sostegno" [cit. in Barenghi, 1992, p. 50].
Poiché la situazione nelle città si presenta drammatica, la dichiarazione così prosegue: "la richiesta di droga esiste ancora, i disagi sociali e medici dei consumatori crescono sempre più velocemente, un numero sempre maggiore di tossicodipendenti è contagiato dall'HIV, il numero dei morti aumenta, il narcotraffico si estende e fa profitti sempre più grandi, nelle città la paura della gente per lo spaccio di droga e i reati ad esso collegato cresce sempre di più" [Ivi, pp. 50-51].
Nella dichiarazione vengono denunciate le difficoltà per la polizia e per il sistema giudiziario a sopportare la crescente ed indotta criminalizzazione dal consumo illegale di droga.
A partire da queste premesse la risoluzione arriva alla conclusione che "bisogna modificare radicalmente le priorità nelle strategie relative alla droga. L'assistenza ai tossicodipendenti non deve più essere minacciata dalla legge penale. Anzi, deve diventare un obiettivo alla pari delle strategie sulla droga, a fianco della prevenzione dell'educazione. Per quanto riguarda i problemi collegati con la droga, è necessario porre l'accento sulla riduzione dei danni. E le forme di intervento repressivo devono essere ridotte al minimo assolutamente necessario. La repressione deve essere limitata a combattere il traffico illecito di droga.
Chiunque voglia ridurre la criminalità, i danni, le sofferenze e la morte deve liberare i tossicodipendenti dalla pressione delle incriminazioni legate al consumo di droga e non deve collegare l'aiuto al solo obiettivo di una totale astinenza" [ivi, p. 52].
Sul piano strettamente operativo, la risoluzione propone una serie di misure da adottare che rientrano nella logica della riduzione dei danni: "Di fronte alle morti, la terapia antidroga può essere un'offerta tardiva, e l'aiuto a sopravvivere può rappresentare il primo passo per uscire dalla dipendenza. All'interno della politica sulla droga deve esserci una separazione tra la cannabis e le altre droghe illegali, il cui potere di provocare assuefazione, la cui pericolosità e la cui integrabilità sociale differiscono enormemente l'una dall'altra. La distribuzione di siringhe e aghi sterili e il trattamento col metadone sono passi importanti per la riduzione dei danni.
L'opzione delle "Shooting Galleries", che forniscono aiuto e distribuzione di droga sotto controllo medico ai tossicodipendenti, deve essere sperimentata in condizioni di imparzialità e in maniera scientifica.
La prescrizione di droga sotto controllo medico ai tossicodipendenti deve essere presa in considerazione senza pregiudizi in maniera da minimizzare i danni già fatti e da rendere possibile una verifica scientifica" [ivi, p.53].
La preoccupazione di un possibile fallimento di queste proposte è legata al fatto di muoversi comunque in un regime complessivamente proibizionista, per cui diventa necessaria una stretta collaborazione e coordinamento tra le città colpite dal fenomeno della droga, con il Consiglio dei Comuni d'Europa e la sezione europea dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, anche al fine di assicurare un regolare scambio di esperienze tra le città. A tal proposito si afferma che: "Se ci sarà solo un numero limitato di città che seguono una politica sulla droga che ammette la tossicodipendenza e offre un sistema di aiuto a basso livello, esse attireranno i tossicodipendenti come calamite e saranno sopraffatte dai conseguenti problemi" [ibidem].
La richiesta agli Stati è quella di avere un appoggio concreto a questa impostazione in materia di droga. In questa prospettiva, occorre che:
"a) La depenalizzazione dell'acquisto, del possesso e dell'uso di cannabis (come ad Amsterdam). Il commercio dei prodotti della cannabis dovrebbe essere controllato legalmente.
b) Il consumo di droga, vale a dire l'acquisto, il possesso e il consumo di piccole quantità di droga, deve essere dichiarato libero da conseguenze penali.
c) Deve essere costituita la struttura legale, organizzativa e finanziaria per il necessario aumento della prescrizione di metadone.
d) La legislazione e i governi nazionali devono preparare il terreno per una prescrizione più vasta di metadone (come ad Amsterdam) e per una verifica orientata terapeuticamente, e scientificamente guidata, della distribuzione di droghe. Deve essere assicurata la possibilità di assistenza psico-sociale" [ivi, pp. 53-54].
Dopo il primo incontro di Francoforte, altri incontri si sono tenuti in varie città europee durante i quali sono stati approfonditi i temi e le modalità di attuazione di politiche di riduzione dei danni a partire da un quadro normativo che in Europa è sostanzialmente proibizionista.
A seguito delle esperienze delle città europee che si ritrovavano attorno alla "Risoluzione di Francoforte", venne elaborato dal Cora, fin dal 1992, un programma sulla droga per le metropoli italiane.
Il programma, sottoposto a tutte le amministrazioni comunali delle grandi città italiane, ebbe una sostanziale assenza di riscontri positivi.
Gli antiproibizionisti configuravano una struttura municipale ad hoc di tipo nuovo, una Agenzia Comunale in grado di realizzare un programma, anche attraverso deleghe speciali, in collaborazione con le Circoscrizioni comunali.
L'Agenzia sarebbe dovuta essere finanziata anche con stanziamenti del Fondo Nazionale di Intervento per la lotta alla droga, ai sensi del comma 2 art.106 legge 162/90, e riunire competenze sparse in assessorati, servizi e uffici diversi [cfr. Palma, 1996a, p.13].
Si sottolineava infatti la necessità di una convergenza nell'Agenzia di tutte le competenze che nei comuni sono generalmente sparse tra diversi assessorati e che rendono difficile la progettazione e la realizzazione dei progetti di prevenzione (cfr. Testo Unico Leggi sulle tossicodipendenze, Legge sulla Prevenzione del disagio giovanile, Legge sulla Formazione - Lavoro).
In particolar modo, veniva data importanza, da una parte, al coordinamento e alla gestione delle iniziative del settore socio-assistenziale e della Sanità e, dall'altra, ad altri soggetti che operano nel settore e alla gestione delle competenze di studio e ricerca, di impulso e di organizzazione della formazione e dell'aggiornamento del personale.
Alcune possibili iniziative che si sarebbero dovute realizzare da subito, compatibili con la legislazione in vigore erano:
"a) istituzione di un numero verde al quale il cittadino possa rivolgersi per avere informazioni sulle strutture esistenti (sia pubbliche che private), sulla legislazione in materia di tossicodipendenza e AIDS. Massima pubblicizzazione di tale numero verde, da ripetere periodicamente;
b) istituzione di unità di strada (street-walker) per il contatto con i "tossicodipendenti sommersi", quelli che non vengono in contatto con i servizi pubblici e privati;
c) installazione di una rete di distributori automatici per la vendita e lo scambio di siringhe, con il coinvolgimento delle Circoscrizioni ed eventualmente delle farmacie;
d) formazione ed aggiornamento del personale socio-assistenziale dell'Amministrazione comunale e del personale sanitario delle USSL sulle cosiddette politiche di "riduzione del danno" per quanto riguarda l'emergenza AIDS;
e) creazione di centri diurni per tossicodipendenti attivi che offrano servizi essenziali e la possibilità di entrare in contatto con le strutture di recupero;
f) un'opera di informazione capillare sulla possibilità di utilizzare sostanze sostitutive nella cura dei tossicodipendendenti, possibilità che la stessa legge 162/90 e gli esiti del referendum non escludono;
g) l'instaurazione di uno scambio di informazioni con città all'avanguardia nel campo della politica di riduzione del danno e partecipazione qualificata della città alla "Conferenza delle Città al centro del traffico delle droghe"" [cfr., ivi, pp.15-16].
Queste iniziative avrebbero avuto un carattere pragmatico di intervento tale da non ricreare strutture burocratiche e si sarebbero mosse all'interno dei margini di sperimentazione consentiti dalla legislazione.
Si mirava a governare il fenomeno della tossicodipendenza, attraverso forme di relativa normalizzazione del comportamento e attraverso interventi di prevenzione dei rischi e di riduzione dei danni (sociali e sanitari) connessi al consumo di sostanze illegali. Per il rinnovo del consiglio comunale di Torino del 1993, fu stipulato un accordo elettorale tra gli Antiproibizionisti e Valentino Castellani, candidato a Sindaco, per la costituzione di una Authority comunale sulle tossicodipendenze che riprendeva gran parte del programma del CORA per le metropoli italiane.
Scrive Carmelo Palma, presidente della sottocommissione tossicodipendenze del Comune di Torino ed animatore dell'Agenzia: "Si compie una relativa e positiva trasformazione di due concetti propri dell'intervento in materia di droga: a) del concetto di prevenzione; b) del concetto di riabilitazione" (ivi, p. 19).
Per quanto riguarda la prevenzione, Palma sottolinea come essa non debba più esclusivamente intendersi come il complesso di pratiche e interventi a vario livello effettuati (psicologico, culturale, economico) volto a dissuadere dal consumo di sostanze psicoattive, ma come l'insieme degli interventi capaci di contrastare almeno alcuni degli effetti (sociali e sanitari) connessi all'uso di sostanze. Si pensi ad esempio alla diffusione del virus dell'Hiv, per cui forme di educazione al "buco pulito" possono essere considerate una forma di prevenzione
Continua Palma a proposito di riabilitazione: "non può più semplicemente intendersi il complesso delle pratiche mediche e socio-assistenziali miranti al risultato della completa e assoluta cessazione del consumo di sostanze psicoattive. Tale risultato (che rimane comunque l'obiettivo ultimo di ogni trattamento delle tossicodipendenze) non è sempre e comunque immediatamente conseguibile e le vie per ottenerlo non sono sempre praticabili.(...)
Una strategia puramente "disintossicazionista" è tale da essere inservibile, per tutti coloro - e sono la nettissima maggioranza - che non riescono a finalizzare il contatto terapeutico alla cessazione dal consumo di droga. Davvero, terapeuticamente, non è possibile assistere una dipendenza attiva, migliorando in modo decisivo lo stile e la qualità della vita del consumatore di droga?
E più logico, laico, ed intelligente pensare che una strategia integrata e differenziata di trattamento delle tossicodipendenze comprenda, innanzitutto, pratiche o interventi volti a riabilitare i consumatori di droga, prima che dagli stati di tossicodipendenza, dagli stati o dai comportamenti rischiosi (oltre la misura del rischio implicito nell'assunzione di droghe) per i tossicodipendenti e per l'intera società.
Un uso accorto, anche a mantenimento, dei farmaci sostitutivi non è anche a tutti gli effetti una strategia di sicurezza sociale?" (ivi, pp. 20-21).
L'approccio alle tossicodipendenze non deve dunque essere rigido, ed il complesso degli strumenti deve essere estremamente integrato.
In questo senso dovrebbe essere favorito e promosso l'utilizzo prudente, non dogmatico e ideologico, dei farmaci sostitutivi e la sperimentazione di forme di trattamento farmacologico innovative, laddove la scienza le renda possibili e la legge le consenta.
Inoltre, dovrebbero essere favoriti e promossi i programmi di reinserimento, reintegrazione e formazione dei cittadini tossicodipendenti in contesti sociali - siano essi educativi, lavorativi o di altro tipo - in cui è opportuno che essi non siano vincolati, in forma rigida, ad una già avvenuta e totale cessazione dal consumo di droghe illegali e/o di farmaci sostitutivi. Infine, dovrebbero essere promossi e favoriti interventi specifici di "riduzione del danno" di tipo assistenziale e sanitario, in grado di rappresentare strumenti di contatto quotidiano e di azione efficace nei confronti di quella parte della popolazione tossicodipendente che, non volendo e non potendo sospendere il consumo di droga, rischia di vedere affidato il governo della propria condizione alla strada (alla droga di strada, all'equilibrio criminale della strada). Questi concetti furono ripresi nella relazione della sottocommissione tossicodipendenze del Comune di Torino, inviata alla Giunta Comunale al termine del giro di audizioni di
una cinquantina di soggetti che, direttamente o indirettamente, "hanno a che fare" con le tossicodipendenze e le droghe: Magistratura, Prefettura, Carcere, Unità Sanitarie Locali, Circoscrizioni cittadine, privato sociale. Dal resoconto del lavoro della sottocommissione che ne ha fatto Palma, si capisce che, nel complesso e tranne rarissime eccezioni, non sono stati opposti rifiuti di tipo ideologico all'introduzione di criteri o indirizzi di "riduzione del danno" nelle politiche locali sulla droga. Per quasi tutti gli interlocutori, l'esigenza di mutare in qualche modo "Registro" è stata riconosciuta urgente e motivata. D'altra parte, la situazione della diffusione della droga a Torino nel 1993 non lasciava troppi margini di scelta. Infatti, l'ufficio di coordinamento degli interventi per le tossicodipendenze stimava per quell'anno circa 8.500 consumatori abituali di eroina. Di questi, nel corso dell'anno, circa 4.100 erano entrati in contatto con i servizi. Meno di 1/3 aveva usufruito di trattamenti metad
onici; di questi solo il 3% aveva seguito programmi metadonici a mantenimento superiori a 60 giorni. Questi pochi dati, anche se dicono poco da un punto di vista epidemiologico, dimostrano abbastanza bene come la "riduzione del danno" in ambito sanitario fosse completamente da inventare. La relazione della sottocommissione individua con precisione gli interventi da realizzare (cfr. ivi, p. 23).
Si affermava infatti che:
" - il patto terapeutico e "sociale" preliminare e decisivo non è quello fondato sulla disponibilità, più o meno presunta od accertata nel tossicodipendente, ad astenersi dal consumo di sostanze, ma sulla sua determinazione ad avanzare domande di salute, integrazione, ruolo sociale, anche in presenza di una tossicodipendenza attiva;
- le strategie miranti ad indurre coattivamente l'accesso a percorsi terapeutici (in parte sostanziale "disinnescate" dal referendum) sono, al di là del merito, perdenti dal punto di vista politico e sanitario, perché, selezionano in modo abnorme e irragionevole fra la popolazione tossicodipendente una parte, comunque marginale e minoritaria, destinataria di tutto il complesso di interventi e prestazioni" [ivi, p. 25].
Ma è sulla "riduzione del danno" che si concentrano le aree di intervento e gli strumenti in grado di realizzare concrete riforme delle politiche sulla droga.
"E bene definire le aree di intervento verso le quali l'attività dell'ACT dovrà primariamente indirizzarsi, promuovendo e coordinando azioni capaci di realizzare vere innovazioni e concrete riforme delle politiche sulla droga. A tal fine è opportuno chiarire quali siano le "aree scoperte" ed i bisogni insoddisfatti della popolazione tossicodipendente e consumatrice di droghe.
Esiste, innanzitutto, l'area costituita dai tossicodipendenti attivi, che non accedono, per scelta o impossibilità personale, a programmi di disintossicazione e riabilitazione. Essa è composta da una percentuale della popolazione tossicodipendente che - dati un periodo ed un'area di riferimento - è sempre eccedente rispetto a quella dei tossicodipendenti che intraprendono programmi terapeutici propriamente detti.
Bisogna dunque riconoscere l'esigenza di definire programmi di intervento per quella quota maggioritaria della popolazione tossicodipendente che, pur essendo virtualmente in grado di mutare il proprio rapporto con la sostanza, non è in grado di portare a termine programmi riabilitativi.
Per politiche di riduzione del danno intendiamo, quindi, il complesso degli interventi sanitari, sociali e assistenziali capaci di ridurre i rischi e di contenere i danni individuali e sociali connessi all'uso di sostanze psicoattive" (ivi, pp. 27-28). I programmi di riduzione del danno non possono essere esclusivamente sanitari, per quanto siano essenziali misure di prevenzione, profilassi ed educazione sanitaria diffuse ed efficaci.
Tali programmi devono, innanzitutto, mirare a considerare ed a rendere il tossicodipendente come un soggetto attivo e passivo di diritti, con il quale, in sede terapeutica od in altra forma, è possibile stringere un patto: un patto "debole" fondato sul riconoscimento di responsabilità individuali e sociali, prima che sull'effettiva disponibilità a sospendere l'uso delle sostanze.
Al di là dei singoli strumenti che le legislazioni nazionali ed internazionali mettono e metteranno progressivamente a disposizione (ivi compreso quello della somministrazione controllata di oppiacei che alcune realtà europee stanno sperimentando), è evidente che una strategia che non riconoscesse l'opportunità di forme d'intervento sulla quota maggioritaria della popolazione tossicodipendente è da considerarsi in se stessa assurda prima ancora che fallimentare [cfr, ivi, pp. 27-28].
Le politiche di riduzione del danno sono quindi intese alla stregua di tutti gli interventi (di profilo sociale o sanitario) di prevenzione, cura o riabilitazione delle tossicodipendenze che affrontano con particolare attenzione i fattori di rischio sanitario, sociale e criminale connessi al consumo di droghe proibite all'interno del mercato illegale, e che promuovono forme di relazione con la popolazione tossicodipendente sufficiente a contenere la gestione di emergenze di ordine pubblico [cfr, ivi, p. 33].
In questo quadro, veniva ribadita la necessità di una serie di interventi, gran parte dei quali evidenziati in precedenza, ma che alla luce dell'esperienza acquisita dalla sottocommissione veniva arricchita di ulteriori significati.
Vale quindi la pena riprendere il passaggio della relazione:
"- una rete di distributori automatici e di scambio delle siringhe, diffusa e capillare, valida, oltre che come misura di prevenzione, come elemento di richiamo alla responsabilità nei confronti della propria e dell'altrui salute;
- unità mobili, come strumenti riconoscibili di contatto informale, in zone della città che il mercato criminale delle droghe sembra relegare in una sorta di extraterritorialità rispetto alla comunità urbana;
- programmi di distribuzione di farmaci sostitutivi, per garantire forme di normalizzazione della condotta individuale dei cittadini tossicodipendenti, oltre che per arginare il rischio di un'ulteriore diffusione dell'AIDS e delle altre patologie correlate all'assunzione di droghe per via endovenosa;
- "centri crisi" fissi e aperti sulla strada, per favorire un contatto diretto con le esigenze dei tossicodipendenti, eliminando qualunque grado di mediazione burocratica;
- centri di accoglienza "a bassa soglia", capaci di assicurare forme di assistenza della tossicodipendenza attiva, rappresentando uno strumento di ridefinizione del rapporto con la sostanza, con la dipendenza, con la volontà di remissione, con la strada;
- programmi di auto-aiuto, di "relazione orizzontale" fra tossicodipendenti, come elemento di responsabilizzazione e di modifica delle dinamiche socialmente e individualmente più distruttive connesse alla dipendenza (illegalità), violenze, incuria ed imprudenza nel rapporto con il corpo" [ivi, pp. 28-29].
Infine, vediamo il problema della comunicazione con la città: nella relazione veniva ribadita la necessità di un'opera d'informazione affinché i cittadini comprendessero il senso, la logica ed il valore delle riforme e non diventassero vittime di allarmismi ingiustificati.
Veniva opportunamente sottolineato che la percezione del fenomeno droga in una realtà urbana complessa e problematica come quella torinese influiva in maniera determinante sul rapporto che la cittadinanza finisce per avere con le scelte dell'Amministrazione.
"E evidente che, perché la cittadinanza comprenda e magari collabori a forme di sperimentazione nel campo delle tossicodipendenze, l'Amministrazione deve mobilitarsi insieme agli organi preposti, perché vengano al più possibile soddisfatte quelle esigenze di ordine pubblico e sicurezza sociale che la cittadinanza avverte, minacciata da fenomeni che non coincidono, ma, per la stessa natura del mercato illegale delle sostanze psicoattive, s'intrecciano con i fenomeni di dipendenza.
Sono infatti del tutto giustificati a questo riguardo la preoccupazione e l'allarme dei cittadini" [ivi, p. 30].
Veniva quindi sottolineata la necessità di un "dialogo" con la città.
A questo proposito, si proponeva anche un intervento sulla popolazione tossicodipendente "con iniziative di comunicazione (numero verde, giornali "di strada"), mirate ad innescare dinamiche, solo apparentemente marginali, di autoriconoscimento e definizione del ruolo sociale, che condizionano in modo positivo le aspettative ed i comportamenti dei tossicodipendenti rispetto alla domanda di salute, all'uso ed alla cura del corpo, ed alle relazioni che essi intrattengono con i soggetti di riferimento (la scuola, la famiglia, la società nel suo complesso" [ivi, p. 31].
Il Consiglio comunale di Torino, il 18 marzo 1996, approvò la delibera istitutiva dell'agenzia comunale sulle tossicodipendenze, organismo per il coordinamento delle attività di Sert, associazioni di volontariato, Usl, Circoscrizioni. La delibera fu approvata dopo un dibattito che ebbe anche risonanza nazionale, con i voti favorevoli dei gruppi PDS, Alleanza per Torino, Verdi, Alleanza Verde per Torino, Rete e Rifondazione Comunista, l'astensione del gruppo Lega Nord e il voto contrario del gruppo CDU.
Per la prima volta in Italia, un Comune si è fatto carico di interventi sulle tossicodipendenze che rientrano nelle politiche di riduzione del danno.
Si trattò del primo caso di superamento dello status quo esistente nel campo della prevenzione e cura delle tossicodipendenze: scarso coordinamento degli interventi, difficoltà dei rapporti fra servizi pubblici e comunità, riduzione del danno.
L'Agenzia comunale sulle tossicodipendenze doveva diventare, a partire da luglio del 1996, lo strumento per il cambiamento di tale situazione, per affrontare adeguatamente l'emergenza a Torino, che nel 1995 registrò un raddoppio del numero delle overdose rispetto all'anno precedente, e la prima massiccia invasione di sempre nuove droghe sintetiche [cfr. Palma, 1996b].
Purtroppo, però, l'agenzia non funzionò subito al meglio, ma quel dibattito aprì la strada ad una analoga esperienza in corso fin dal 1997 a Roma. Interessante è notare che, comunque, l'approvazione da parte del consiglio comunale di Torino dell'ACT concluse un percorso iniziato nel 1992 e all'epoca considerato eversivo ed offensivo, ma che, nel corso degli anni, divenne una scelta politica assunta da un'intera città.
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