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Conferenza droga
Partito Radicale Silvja - 24 novembre 2000
IL PROIBIZIONISMO E' UN CRIMINE (4)
CORA - Coordinamento Radicale Antiproibizionista

IL FALLIMENTO INTERNAZIONALE DELLA GUERRA ALLA DROGA CREA NUOVI MERCATI, NUOVI PRODUTTORI, NUOVE NARCOMAFIE

di Marino Busdachin

La guerra è perduta ma la battaglia continua.

Gli Stati Uniti stanno preparando un rilancio senza precedenti della politica di eradicazione forzata delle colture, e vogliono che l'Europa continui ad assicurare la sua complicità in una guerra perduta da tempo. L'impostazione della campagna contro la droga rimane la stessa nonostante i disastrosi fallimenti sul campo e i gravi danni prodotti.

Il campo di battaglia per il rilancio della campagna dovrà essere, come al solito, la Colombia. La novità è rappresentata dal coinvolgimento dell'Europa. Alla politica "hard" degli USA dovrebbe far da contraltare, con 1 miliardo di dollari, il "soft" dell'aiuto umanitario europeo. L'Europa, però, fa orecchio da mercante, e contesta l'approccio militare del piano, nonché la decisione di Clinton di venir meno alle clausole di rispetto dei diritti umani.

Il programma costerebbe 7.500 milioni di dollari, da spendere in dieci anni. Gli americani metterebbero 1.300 milioni, al resto dovrebbero pensarci gli altri. Intanto, in Europa e in America latina, molti protestano, sostenendo la necessità di aprire alle politiche di riduzione del danno in contrapposizione al sempre più evidente fallimento della "guerra alla droga". Ma se i risultati sono ovunque così negativi, perché insistere?

Nonostante il continuo incremento dei mezzi investiti per ridurre la domanda e tentare di contenere la produzione, il consumo di droga nel mondo continua a crescere. Nel contempo, il business legato alla droga è largamente il più vantaggioso per il crimine internazionale organizzato. Le interrelazioni fra consumo e crimine organizzato sono alla base delle politiche e delle legislazioni proibizioniste, a livello sia nazionale, sia internazionale. Espandendosi, il sistema proibizionista incrementa i guadagni del mercato nero e del crimine organizzato, e ne promuove una maggiore professionalità. E noto che aumentando la repressione aumenta anche il prezzo della droga, rendendo il commercio più redditizio e moltiplicandone gli addetti.

Nell'ultimo decennio la produzione di oppio e marijuana è raddoppiata, quella della cocaina triplicata; l'ecstasy e le nuove droghe sintetiche hanno una diffusione capillare. Sono dati inequivocabili ma incredibilmente non sufficienti per cambiare politica. Quello che si discute a Vienna all'UNDCP, o a Washington, non è se la politica proibizionista funziona o meno, ma come dare maggiore potere e più risorse alle polizie di tutto il mondo per sopprimere il mercato. Si è generato un perverso meccanismo per il quale il mondo del crimine organizzato e le agenzie governative di lotta alla droga vanno di pari passo con profitti e spese vertiginosi. E una dinamica che ricorda molto la guerra fredda: l'escalation di potere dei complessi militari-industriali sovietico e americano che ha dilapidato immense quantità di denaro, promosso la produzione di enormi quantitativi di armi e bloccato lo sviluppo politico della democrazia per decenni. In questo senso può avere valore la teoria sulle profonde interdipendenze fra

l'industria della droga e il complesso repressivo del proibizionismo di Stato.

Geopolitica e Industria delle droghe.

Il commercio illegale di droga si avvia a essere - se non lo è di già - il più grande business transnazionale. L'industria della droga occupa milioni e milioni di addetti tra coltivazione, raffinazione, trasporto, distribuzione, riciclaggio dei proventi e nuovi investimenti finanziari. Ogni passaggio produce dei profitti illegali che a loro volta producono varie illegalità per poter essere proficuamente utilizzati, generando nuova criminalità organizzata. Questo processo spiega la divisione internazionale del lavoro, l'identificazione di nuove aree di produzione e di sempre nuovi canali di diffusione.

I centri di produzione delle droghe classiche come marijuana, oppio e coca si trovano nel "Golden Triangle" del sud-est dell'Asia, nel "Golden Crescent" nell'Asia Occidentale, nel Medio Oriente, nel Maghreb e nell'America latina. Queste regioni sono in competizione fra loro, assieme alle nuove aree di produzione nei paesi ex-comunisti, e con i produttori nel mondo occidentale delle droghe sintetiche. A queste regioni di produzione e raffinazione si aggiungono le zone di traffico e di distribuzione all'ingrosso dominate dalle narcomafie.

Secondo le recenti stime dell'ONU l'industria illegale della droga ha raggiunto l'8 % del commercio internazionale, per un giro d'affari di circa 1000 miliardi di dollari, con profitti altissimi; senza considerare che l'industria della droga è anche l'asse portante dell'economia di Paesi come Bolivia, Marocco, Messico, Colombia e Afganistan. Più cresce la repressione internazionale sulle droghe, più finisce per alzare il prezzo dei prodotti illegali e coinvolgere nuove aree di produzione e di scambio.

L'estendersi dei recenti conflitti nei Balcani, nell'area del Caucaso, nell'Asia centrale ex-sovietica, in Asia e in Africa, hanno evidenziato come il traffico di droga sia alla base degli acquisti di armi e come queste aree destabilizzate siano diventate in un tempo brevissimo nuovi centri di smistamento e di insediamento del crimine organizzato. E altresì dimostrato - vedi l'Afganistan - che spesso gli sforzi per sradicare la produzione di droga hanno invece portato nuova linfa alla produzione.

Ma il fenomeno più preoccupante è l'incredibile, quanto repentino, sviluppo del sistema criminale organizzato delle narcomafie, e della potenza di cui dispongono, che è certo pari a quella di molti Stati "deboli", tanto da far dire a un relatore di un simposio internazionale sulle droghe: "Non gli manca che il protocollo". In un senso generale le narcomafie non mancano mai occasione per infiltrarsi e divenire parte dei poteri dello Stato, o di controllarne i suoi rappresentanti. Come non mancano di ampliarsi ed estendersi anche lì dove "culturalmente" o economicamente non hanno mai avuto ragione di esistere. E questo succede ovunque, sia con le mafie russe o italiane, turche o kosovare, sia con le triadi cinesi o le yakuza giapponesi; ovunque il controllo mafioso è uscito dai suoi confini e occupa nuovi mercati.

Globalizzazione e proibizionismo sulle droghe.

La globalizzazione, le riforme liberali e la fine della guerra fredda hanno accelerato una diminuzione dei poteri nazionali. Una maggiore integrazione regionale ha ridotto le capacità di intervento nazionale sui singoli problemi. Le normative degli Stati nazionali devono sempre di più integrarsi alle risoluzioni di organi internazionali e sovranazionali.

L'internazionalizzazione della cooperazione di polizia - in funzione del problema transnazionale del crimine organizzato, dei traffici di droga, di persona, di organi umani e di armi, dell'immigrazione - rende difficile a uno Stato sottrarsi alle strategie politiche predefinite, come ad esempio la guerra alla droga. Va da sé, quindi, che la teoria proibizionista sulle droghe diviene parte fondamentale nell'ambito dei problemi di sicurezza interna ed esterna dei singoli Stati, che con l'obiettivo della lotta alla droga finiscono per essere parte di disegni geopolitici ed economici a loro estranei.

Ma ciò che è più importante è l'impatto sovversivo delle organizzazioni criminali internazionali, capaci di minare le fondamenta democratiche degli Stati attraverso la corruzione e la destabilizzazione, che fanno pensare a quanto le teorie proibizioniste e la politica della guerra alla droga finiscano per alimentare il crimine organizzato e ridurre il quoziente di democrazia degli Stati.

Nell'era della globalizzazione appare sempre più evidente il ruolo delle forme criminali di controllo del mercato, e di quanto siano capaci di condizionare lo sviluppo economico e di democrazia di intere aree regionali del mondo intero. In questo caso sembra proprio che le forze contrapposte della repressione e della sovversione tendano a stringere le popolazioni di intere società in una spirale di anarchia che mette a rischio le prerogative costituzionali democratiche e le condizioni di vita dei cittadini.

Le due forze, anche se formalmente contrapposte, di fatto incrementano l'un l'altra la loro crescita e il conseguente impatto sulle leggi e sulla vita delle persone. La criminalità organizzata sulla droga e la forza preposta alla sua repressione, non sono separabili da confini geografici; e più cresce la loro dimensione transnazionale, meno sono disponibili a soggiacere a qualsiasi controllo di legge, o democratico, soprattutto in assenza di un sistema di leggi internazionali che ne regoli l'attività, lì dove il buon senso dell'uomo comune teme che il rimedio sia peggiore del male.

 
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