CORA - Coordinamento Radicale AntiproibizionistaGIURISPRUDENZA RADIKALE
di Giorgio Inzani
Introduzione.
C'è un mondo underground che non ha ancora trovato il suo Kerouac, ma bisogna ringraziare Roberto Spagnoli per averne almeno dissotterrato i materiali (vedi cronologia in questa stessa pubblicazione). E il mondo della giurisprudenza on the road dei radicali, un mondo "vieto perché vietato" e di cui nessuno parla, ma che ha un'influenza enorme sulla vita quotidiana di centinaia e centinaia di cittadini farmacodipendenti da eroina o utilizzatori di derivati dalla cannabis. E ha sicuramente ragione Marco Pannella ad affermare, durante uno dei tanti processi: "Abbiamo avuto sicuramente, subito dopo, l'effetto che carcerazioni in quelle condizioni non si sono più verificate" (si riferiva agli arresti di Rimini dell'agosto 1995). Perché, anche se le sentenze arrivano con molti anni di distanza, le azioni nonviolente da un lato, la conduzione dei processi dall'altro, inducono alla riflessione carabinieri e magistrati troppo "premurosi", che hanno poi modo, sulle sentenze, di formarsi convinzioni non scontatamente
proibizionistiche. Questa "giurisprudenza radikale" cambia allora profondamente le prospettive di vita di questi soggetti (eroinodipendenti e consumatori di cannabis), perché delinea una via alternativa a quella del carcere o della morte così com'era implicitamente previsto dalla legge 309/90 (la legge Jervolino-Craxi-Vassalli). Una breve epitome per Vassalli, già insigne giurista e massacratore di referendum alla cupola costituzionale: assomiglia molto al giudice Ernst Janning1, relatore della Costituzione di Weimar e già ministro della giustizia del Reich, che finisce per divenire (pur disprezzandolo per la sua rozzezza) uno dei più zelanti esecutori della volontà criminale di Hitler.
1 In Vincitori e vinti, film di Stanley Kramer del 1961.
A) Megapremessa.
1. Il 9 Congresso del CORA (tenutosi a Parigi dal 5 al 7 giugno 1998) è stato uno dei più alti momenti di elaborazione teorica sul proibizionismo. La pubblicazione di quegli atti sarebbe quindi non solo auspicabile, ma indispensabile per capire a fondo com'è che un epifenomeno emergenziale inventato di sana pianta da Harry Anslinger negli USA2 a partire dall'innocuo consumo della cannabis da parte dei chicanos, sia divenuto - a differenza di quel che successe per l'alcool, sempre negli USA, negli anni '20 - escrescenza totalizzante consolidata in buona parte del mondo all'alba del duemila.
2. L'aver aperto quel Congresso con lo slogan "IL PROIBIZIONISMO E UN CRIMINE" (inizialmente doveva essere, e certo in modo più pregnante, "crimine contro l'umanità") ha significato, come bene riassume Roberto Spagnoli3, porre l'accento sulla natura criminogena del proibizionismo che:
- ogni anno provoca la morte di migliaia di consumatori;
- mette in pericolo la vita di migliaia di altre persone;
- favorisce, consapevolmente, la diffusione di malattie mortali;
- consente che le reti internazionali del crimine organizzato realizzino immensi guadagni che vanno a finanziare altri traffici illeciti;
- fonda e giustifica tutte le politiche repressive delle dittature e di alcune pseudo-democrazie (ma non solo);
- presuppone che decine di milioni di consumatori di droghe illegali di tutto il mondo siano lasciati nelle mani della criminalità, mentre, a causa delle leggi proibizioniste, tutti i cittadini, consumatori o no, sono esposti a violenze evitabili;
- infine, la "war on drugs" richiede una mostruosa e irresponsabile macchina burocratica in grado, con la forza dell'ideologia, di diffondere sistematicamente violenza e di ricorrere a leggi speciali che negano, se necessario, la libertà d'espressione e i diritti politici.
2 Cfr Giancarlo Arnao, Tutte le droghe del Presidente, Sperling & Kupfer, 1996 Milano.
3 Vedi Diritto e Libertà n 2, pag. 64.
3. Messi così, uno dopo l'altro, i sintomi della grave malattia integralista chiamata proibizionismo potrebbero apparire come la solita litania - apparentemente inconcludente (e che si può fare contro questo "monstrum"?) - degli antiproibizionisti radicali. Ma è davvero così? Ritengo di no, e cercherò di dimostrarlo nella seconda parte; ma, intanto, a conclusione di questa premessa, aggiungo due citazioni che assolvono a una funzione di sintesi:
a) "La 'socialburocrazia', che è il fondamento teorico-pratico della narcoburocrazia, è stato elemento costitutivo di tutte le burocrazie (quella fascista, quella nazista, quella stalinista) che, nel corso del secolo, hanno metodicamente distrutto gli spazi effettivi delle libertà individuali, contrapponendo all'individuo responsabile delle proprie azioni l'uomo-massa, le 'masse'"4;
b) "La lotta antiproibizionista viene rafforzata dal collegamento con una più generale lotta contro la gestione socialburocratica del potere e delle istituzioni, che va sempre più affermandosi come metodo e forza di governo a livello internazionale"5.
4 Marco Pannella, intervento al 9 Congresso del CORA - Parigi 6 giugno 1998.
5 Dalla Mozione conclusiva del 9 Congresso del CORA.
B) Considerazioni sul concretismo radicale.
1. All'interno di questo contesto generale sfavorevole, che cosa fanno i radicali? Percorrono con rigore due strade, che sono i presupposti della nonviolenza gandhiana: da un lato quella della disobbedienza civile (distribuzione di hashish in numerose occasioni pubbliche); dall'altro la richiesta intransigente dell'applicazione della legge da parte dei SERT (presentazione di esposti in 60 Procure), e, in particolare, dell'attuazione della stessa dopo le opportunità offerte dal referendum del '93 (prescrizione di farmaci sostitutivi agli eroinodipendenti).
Il presupposto comune delle due azioni è il tentativo, molto concreto, di riagganciare le leggi alla realtà cui si riferiscono, mettendo nelle mani di alcuni magistrati la possibilità di usare il criterio della ragionevolezza al posto della rigidità ideologica presente nella legge e consolidata dalla giurisprudenza della Cassazione, che prescinde totalmente, in buona sintonia con la prassi partitocratrica ultradecennale, dal risultato referendario.
2. Per comprendere appieno l'importanza della giurisprudenza radikale, bisogna tenere bene a mente (come sottolineato in premessa) che la "megamacchina narcoburocratica" è una macchina schiacciasassi micidiale perfino nei confronti dei suoi alti magistrati. Ne sa qualcosa il Procuratore Generale della Cassazione, Galli Fonseca, il quale, avendo detto in occasioni ufficiali come quelle dell'inaugurazione dell'anno giudiziario (nel gennaio '97 e '98) che "le leggi proibizioniste sono inadeguate ad affrontare il problema della microcriminalità perché quest'ultima non è il risultato del consumo delle droghe, ma della negazione del diritto alle cure, alla salute e all'assistenza dei tossicodipendenti, e dell'assegnazione del monopolio sulle sostanze alla criminalità organizzata", viene sfregiato moralmente dalle sezioni unite penali della sua stessa Corte di Cassazione, che depositano (il 21/9/1998) una sentenza iperideologica nella quale si afferma "non ha importanza se la dose ceduta (si trattava di hashish, ch
e il Procuratore Generale aveva chiesto al legislatore di legalizzare, NdA) contiene una quantità di principio attivo insufficiente a produrre "l'effetto drogante", perché ciò che conta è la salute pubblica, la salvaguardia delle giovani generazioni, la sicurezza e l'ordine pubblico, che sono beni tutelati dalla legge e che sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della dose drogante". Con queste affermazioni allucinanti (degne di un Hitler o di uno Stalin e del loro epigono Arlacchi), questi illustri ayatollah-giuristi liquidano la ragionevolezza di Galli Fonseca.
3. All'interno di questo micidiale ingranaggio, alcuni magistrati "non ci stanno", e colgono le occasioni loro offerte dai radikali per fare giurisprudenza con sentenze che, se saranno utilizzate adeguatamente nelle migliaia di processi "comuni", potrebbero davvero inceppare la megamacchina.
Passiamole in rassegna:
a) sentenza O. Massara, G. Paoloni, G. Masi del 18/1/2000 (Tribunale di Roma) sulla distribuzione di hashish effettuata da Marco Pannella il 29/12/1995 a Piazza Navona6. In questo caso, le motivazioni sono più importanti della sentenza (condanna a due mesi), perché nelle motivazioni si trovano affermazioni di questo tenore: "non può non affermarsi che un orientamento favorevole a una legalizzazione delle droghe leggere è ampiamente diffuso in larghi strati della popolazione [...] si può affermare, ad avviso del Collegio, che i motivi ampiamente rappresentati da Marco Pannella, per i quali lo stesso ha con piena consapevolezza posto in essere azioni la cui inevitabile conseguenza sarebbe stata per le concrete modalità esecutive l'applicazione delle sanzioni penali, corrispondono oggettivamente e non solo soggettivamente a valori di elevato significato ampiamente diffusi nella coscienza sociale"; per cui la condanna fa a pugni col semplice buonsenso. Desinit in piscem, dicevano i latini. E, quindi, ha pienamen
te ragione Pannella quando afferma "condannandomi al minimo della pena, i giudici hanno manifestamente tenuto ad applicare la legge, non a fare giustizia";
6 Vedi Diritto e Libertà n 2, pag. 191.
b) sentenza del GIP Fabio Paparella del 10/12/1999 (Tribunale di Milano) sulla distribuzione di hashish effettuata da Rita Bernardini e Lucio Berté in Piazza della Scala il 20/10/1997 (Pannella viene giudicato come "mandante"). La sentenza è di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. La decisione è basata sul fatto che nella sostanza ceduta era presente un principio attivo molto basso, privo di effetto drogante, e pertanto è stato configurato il "reato impossibile". Come si vede, quindi, il giudice ha fatto giustizia non accettando il diktat delle Sezioni unite della Cassazione (vedi allegato n 1);
c) sentenza del GIP P. Bernardini del 27/1/1997 (Tribunale di Biella) sulla prescrizione di Temgesic (nome commerciale della Buprenorfina) effettuata da diversi medici, tra cui chi scrive, negli anni 1995-96. La Sentenza è di archiviazione e di trasmissione degli atti agli Ordini provinciali dei medici. La sentenza è importante, perché in quegli anni le pagine locali de La Stampa avevano montato una vera e propria campagna terroristica (durata anni) contro i medici di base locali che prescrivevano il Temgesic come farmaco sostitutivo agli eroinodipendenti (vedi allegato n 2);
d) sentenza del GIP Castelli del 10/4/2000 (Tribunale di Milano) sulla prescrizione di metadone effettuata a Milano dal gennaio 1995 da chi scrive (vedi allegato n 3). E una sentenza importante per almeno due motivi:
- capovolge la giurisprudenza della Cassazione, che prescinde totalmente dai risultati del referendum del 1993;
- afferma, in modo inequivoco, che le modalità della terapia non possono essere oggetto di censura da parte del giudice penale, che altrimenti si arrogherebbe una competenza del tutto propria della capacità e della deontologia del medico;
e) esposti del CORA in 60 Procure sul funzionamento dei SERT. Questa lodevole iniziativa, coordinata da Giulio Manfredi (vedi intervento in questa stessa pubblicazione), dimostra non solo che il proibizionismo è un crimine (qui si parla molto concretamente dei meccanismi non messi in atto per salvare decine di migliaia di vite umane), ma anche che le Procure di tutta Italia sono complici di questo crimine per omissione.
Chiudo allora questo sommario excursus con un'affermazione apodittica: il proibizionismo è un crimine che si ammanta di buone intenzioni e che, per ciò medesimo, finisce per divenire un mostro che divora se stesso. E la giurisprudenza radikale, svelandone l'ipocrisia, accelera questo processo entropico.
Allegato n 1
Sentenza del GIP Fabio Paparella (Tribunale di Milano) del 10/12/1999
TRIBUNALE DI MILANO
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEI POPOLO ITALIANO
Il Giudice per le indagini preliminari dr. Fabio PAPARELLA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di :
BERNARDINI Rita, [...], difesa dall'avv.to Gian Domenico CAIAZZA
BERTE' Lucio, [...], difeso dall'avv.to Gian Domenico CAIAZZA e dall'avv.to Franca ANGIOLILLO
PANNELLA Marco Giacinto, [...], difeso dall'avv.to Gian Domenico CAIAZZA
IMPUTATI
del reato di cui agli artt. 110 C.P. e 73 comma IV DPR 309/90, per aver illecitamente detenuto, in concorso fra di loro ed a scopo di cessione a terzi a titolo gratuito, n. 12 confezioni di hascisc, sostanza stupefacente di cui alla tabella II del citato DPR, di cui una cedevano a SACCHI Mauro.
In Milano il 20.10.1997
MOTIVAZIONE
Dalla comunicazione di notizia di reato in data 21.9.1997 del Commissariato di P.S. Centro QUESTURA di Milano emerge che, nel corso di una conferenza stampa organizzata dal Partito politico "Lista Pannella - Antiproibizionista e Referendaria", in Piazza Scala, adiacenze Palazzo Marino, il giorno 20.9.1997, BERNARDINI Rita, nel prendere la parola, estraeva dalla borsa delle bustine sigillate con nastro adesivo recanti il simbolo della Lista Pannella con dicitura di "Antiproibizionista e referendaria" contenenti dei frammenti di sostanza solida colore marrone dalle caratteristiche dell'hascisc e le mostrava ai giornalisti; analogo comportamento teneva altresì BERTE' Lucio; dopo qualche minuto i due offrivano bustine a coloro, fra i presenti, che le avessero volute; gli operanti intervenivano nel momento in cui la BERNARDINI consegnava a tale SACCHI Mauro una bustina contenente la suddetta sostanza.
La polizia procedeva al sequestro di 7 bustine a carico della BERNARDINI, di 4 bustine a carico di BERTE' e di 1 bustina al SACCHI.
Peraltro, a seguito delle analisi effettuate sulla sostanza in sequestro, è emerso che nella sostanza in sequestro era presente un principio attivo, in grammi, inferiore allo 0.1%.
Orbene, la percentuale del principio attivo è presente in misura così irrilevante da permettere di escludere che la sostanza ceduta abbia effetto drogante e da indurre a ritenere che detta sostanza non sia stupefacente.
Pertanto ricorre la figura del reato impossibile (art. 49 c.p.) (Cass. Sezione VI penale sentenza in data 9.2.1996, nonché Cass. Sez. VI penale sentenza 7.11.1996).
Pertanto nei confronti dei tre imputati soprageneralizzati, va dichiarato non luogo a procedere in ordine al reato loro ascritto perché il fatto non sussiste.
Peraltro va ordinata la confisca e la distruzione della sostanza in sequestro, perché unita ad altra potrebbe assumere effetto stupefacente.
P.Q.M.
Visto l'art. 425 c.p.p.
DICHIARA
non luogo a procedere nei confronti di BERNARDINI Rita, BERTE' Lucio e PANNELLA Marco sopra generalizzati in ordine al reato loro ascritto perché il fatto non sussiste.
ORDINA
la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro.
SI RISERVA
il termine di giorni 90 per la redazione della sentenza.
Milano, 10.12.1999.
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
Fabio Paparella
N. 9748/97 RGNR
N. 880/99 RGGIP
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Allegato n 2
Sentenza del GIP P. Bernardini (Tribunale di Biella) del 27/1/1997
UFFICIO DEL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI
rilevato che dagli atti raccolti dagli inquirenti non emergono elementi per ritenere avvenuta la prescrizione abusiva di sostanze stupefacenti;
rilevato che dalle prescrizioni esaminate emerge che le stesse siano disposte a scopo terapeutico (cura del dolore);
considerato che quand'anche i farmaci fossero prescritti in ossequio a una terapia di mantenimento ad avviso di chi scrive non sussisterebbe il reato di cui all'art. 83 D.P.R. 309/90 giacché il fine di evitare crisi di astinenza ovvero di alleviare le condizioni di non salute del tossicodipendente "cronico" può farsi rientrare nel concetto di terapia;
osservato che in tale ipotesi, anche la violazione dei decreti ministeriali in ordine al tipo di farmaco adottato, non abbia nessun rilievo penale giacché, come osservato in dottrina, ciò che conta è il fine curativo nel rispetto delle regole della professione avendo i decreti del ministero della sanità il solo scopo di regolare l'attività degli organismi pubblici, non incidendo sul principio della libertà di iniziativa e di scelta nel rispetto delle regole deontologiche professionali;
osservato che il rispetto delle regole suddette debba essere accertato dal competente ordine professionale;
P.Q.M.
ordina l'archiviazione del procedimento e dispone la trasmissione del presente provvedimento e della richiesta del PM all'Ordine Provinciale dei medici per le proprie determinazioni in ordine alla posizione di O. G., P. P., B. U., N. M., Inzani Giorgio e C. G.
Biella, 27.1.1997
Il GIP dr. P. Bernardini
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Allegato n 3
Sentenza del GIP Claudio Castelli (Tribunale di Milano) del 10/4/2000
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
REPUBBLICA ITALIANA
In nome dei Popolo italiano
il Giudice dott. Claudio Castelli, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale contro
INZANI GIORGIO - nato a Cremona il 21.9.1941, residente a Lacchiarella
via Salvo D'Acquisto 6:
Difeso di fiducia dall'Avv. Franca Angiolillo via Sismondi 5 Milano.
IMPUTATO
del reato di cui agli artt. 81 cpv. C.P. e 83 DPR 9.10.90 n. 309,- con riferimento all'art-73 comma 1 DPR 9.10.90 n.309 perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, quale medico chirurgo rilasciava a X, X2, X3, X4, X5, X6, X7, X8, X9, X10 ed altre persone non identificate, prescrizioni di metadone per uso non terapeutico. metadone sostanza stupefacente di cui alla tabella 1 prevista dall'art. 14 della legge medesima.
Commesso in Milano e dintorni dal gennaio 1995.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con segnalazioni 21.12.95 e 1.7.96 il Direttore Amministrativo e il responsabile dell'Ufficio Farmaceutico dell'U.S.S.L. n.36 di Milano riferivano di frequenti prescrizioni di sostanze stupefacenti da parte di alcuni medici, allegando venticinque fotocopie di ricette di sostanze stupefacenti. Il P.M. investito del caso disponeva di accertare quante ricette fossero state prescritte dai medici coinvolti e di sentire i pazienti.
All'esito di tali accertamenti venivano iscritti nel registro delle notizie di reato G. A., T. G., G. L. e B. M. per il delitto di cui agli artt. 73 e 83 DPR n. 309/90. Successivamente venivano iscritti per lo stesso reato P. F., V. A. Inzani Giorgio. Quest'ultimo risultava essere il medico che secondo la segnalazione iniziale aveva rilasciato il maggior numero di prescrizioni. I successivi accertamenti svolti dalla P.G. portavano a verificare che i soggetti cui il dott. Inzani aveva rilasciato prescrizioni di metadone erano dieci di cui per tre in numero scarsamente significativo (oscillanti tra una e quattro ricette).
Inzani veniva interrogato il 14.10.97 e gli veniva contestato di avere, nella qualità di medico, prescritto metadone per uso non terapeutico. Inzani si difendeva assumendo di avere effettivamente prescritto metadone nell'ambito di una terapia nei confronti di persone che si rivolgevano a lui e che lui riceveva e visitava nello studio di Lacchiarella. Affermava di visitare i pazienti, di accertare lo stato di tossicodipendenza e di valutare la durata temporale della tossicodipendenza da eroina e la quantità di sostanza assunta giornalmente. Aggiungeva dì avere cominciato tali prescrizioni quando aveva inviato due pazienti presso il SERT di Monza, che li aveva rifiutati, invitandolo a prescrivere direttamente con ricettario ministeriale il metadone. Così aveva fatto facendo controllare il dosaggio da un familiare di riferimento e controllando direttamente l'andamento della terapia. Quando c'erano almeno sei mesi di astensione dall'assunzione di eroina ed il paziente era inserito nella società concordava un dis
impegno lento e graduale dalla terapia metadonica. All'esito di tali indagini il P.M. chiedeva l'archiviazione per tutte le posizioni, salvo che per quella di Inzani per cui veniva chiesto il rinvio a giudizio. La richiesta dì archiviazione si fondava sulla constatazione che i medici incriminati avevano prescritto sostanze stupefacenti a scalare onde favorire la disintossicazione del soggetto dallo stato di tossicodipendenza, o nell'ambito di una terapia del dolore. Ciò era anche confermato dal numero assai limitato di prescrizioni.
L'udienza preliminare a carico di lnzani veniva fissata il 22 febbraio 2000. All'esito del suo interrogatorio e della memoria difensiva prodotta veniva disposta ex art.422 C.P.P. l'audizione di alcuni dei soggetti curati, X, X2, e X3.
All'esito di tali deposizioni Pubblico Ministero e difesa chiedevano il proscioglimento dell'imputato, il primo perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e la seconda perché il fatto non costituisce reato.
La tesi difensiva si fonda sulla legittimità e bontà della terapia seguita dal dott. Inzani nei confronti dei suoi pazienti. La cura prevedeva un esame clinico obiettivo per accertare lo stato di tossicodipendenza, la durata temporale della tossicodipendenza da eroina e la quantità di stupefacente assunta giornalmente. Sulla base di detto esame il dott. Inzani rilasciava le prescrizioni, sempre limitate ad un dosaggio previsto per una durata non superiore ad otto giorni, con la condizione che vi fosse un parente di riferimento non tossicodipendente che controllasse il dosaggio giornaliero e custodisse la restante sostanza fino alla nuova prescrizione. Egli controllava periodicamente i pazienti, anche disponendo le necessarie analisi, modificando alla luce di eventuali ricadute la quantità di metadone. In realtà il dosaggio previsto non poteva seguire una linea costante di disimpegno lento e graduale, dovendosi tener conto della quantità di eroina cui il soggetto era abituato e delle eventuali ricadute. Tale
comportamento trova una conferma sul piano scientifico nella documentazione medica prodotta dalla difesa, la consulenza di parte del Dott. Augusto Magnone, già primario medico del servizio per le tossicodipendenze della U.S.S.I. n. 39 di Milano afferma che "il Dott. Giorgio Inzani ha attuato dei trattamenti metadonici scientificamente corretti in base alla letteratura medica scientifica internazionale e nazionale esistente ed all'unico trattato scientifico di medicina delle tossicodipendenze attualmente disponibile in Italia edito dalla Scuola Europea di Medicina Generale su progetto del Ministero della Sanità per migliorare le conoscenze dei medici italiani dì medicina generale in tale materia". In particolare il consulente rileva che due sono i tipi di trattamenti metadonici: quello a scalare e quello protratto o di mantenimento. Il primo, previsto con una durata di alcuni mesi, viene utilizzato per superare la crisi di astinenza fisica. Il secondo, diretto a sostituire il deficit endorfinico causato dall'
eroina, ha l'obiettivo di ridurre la dipendenza psicologica a livelli controllabili con la volontà ed impedire al paziente di avvertire gli effetti dell'eroina in caso di uso, consentendogli una vita normale. Il dosaggio massimo efficace, variabile da paziente a paziente, viene raggiunto progressivamente ed è confermato dalla scomparsa di metabolici nelle urine; una volta raggiunto tal dosaggio è necessario mantenerla per alcuni mesi, successivamente è possibile diminuire gradualmente il dosaggio del farmaco fino alla sospensione dello stesso. La durata va dagli uno ai quattro anni ed anche le eventuali e frequenti ricadute sono superabili in tempi brevi. Ne deriva che pur essendo l'obiettivo dei due trattamenti identico la differenza consta nella ben più ampia lunghezza del secondo e della sua maggiore flessibilità dovendosi adattare non solo al singolo paziente, ma anche alla sua dipendenza psicologica e alle eventuali ricadute.
Le caratteristiche ed i risultati della terapia seguita dal dott. Inzani è stata altresì confermata dall'audizione disposta ex art.422 C.P.P. dei pazienti X, X2 e X3, soggetti cui il dottor Inzani aveva rilasciato il maggior numero di prescrizioni. X ha affermato di essersi rivolto al dott. Inzani in quanto avrebbe dovuto aspettare qualche mese prima di essere preso in carico dal SERT e non essendo gli orari del SERT compatibili con la sua attività lavorativa. Solo dopo insistenze il dott. Inzani lo aveva preso in cura. Su richiesta del medico con lui si era recata la sua convivente, non tossicodipendente. Dapprima era stato curato con farmaci e quindi, continuando a fare uso di droga, era passato alla cura con metadone. La ricetta del dott. Inzani era per otto giorni e la convivente doveva controllare che consumasse solo la dose giornaliera. Dopo tale periodo doveva tornare dal dott. Inzani con il quale aveva un colloquio e che gli prescriveva il dosaggio. Questo variava, diminuendo quando vi erano migliora
menti, ed aumentando quando vi erano state ricadute. Egli pagava le visite £ 50.000 fino a quando ha potuto. X è tuttora in cura dopo quattro anni.
X2 dichiarava di essere stato in cura dal dott. Inzani a cui era arrivato, dopo essere stato allontanato dal SERT a seguito di una ricaduta. Lo stesso era dipendente pubblico e regolarmente sposato e quindi non poteva andare in comunità. Dopo essere stato visitato gli erano stati prescritti dei farmaci. Tale terapia, durata circa un mese, non ha avuto alcun esito e dopo diverse insistenze, è quindi cominciata una terapia metadonica. Tale terapia iniziata nel 1995 è andata avanti per due - tre anni, sia pure con diverse ricadute. La dose di metadone non era fissa, calando in caso di miglioramento e aumentando qualora vi fossero ricadute. La terapia cessava nel 1997 in quanto X2 si trasferiva a Campobasso, dove continuava ad essere curato dal SERT con somministrazione di metadone. Confermava di pagare le visite, almeno quando ne aveva la possibilità.
X3 dichiarava di non essere andato in cura dal SERT in quanto i tempi di tale organismo erano troppo lunghi e dato che tali orari non erano compatibili con la sua attività lavorativa. Sin dall'inizio era stato curato con il metadone avendo già cominciato detta cura. Il metadone gli veniva prescritto per otto giorni e la madre si occupava di ritirarlo e di dosarglielo. E' rimasto in terapia per circa due anni ed ha avuto qualche ricaduta sia durante la terapia che dopo. Attualmente non si droga più né prende metadone da sei - otto mesi.
Tutti e tre i pazienti sentiti hanno affermato di avere sempre lavorato durante la sottoposizione alla terapia e di avere avuto un netto miglioramento della qualità della vita.
Va infine precisato che l'aspetto della regolarità, anche fiscale, dei pagamenti ricevuti dal dott. Inzani per le prescrizioni di metadone appare del tutto superato. La difesa ha prodotto le parcelle sanitarie emesse dal dott. Inzani e l'accusa di avere rilasciato le ricette per motivi di lucro pare tranquillamente cadere alla luce della stessa entità della somma richiesta per ogni colloquio e/o visita (£ 50.000) e delle dichiarazioni dei pazienti che hanno fatto presente di avere pagato il medico solo quando potevano.
La questione che occorre affrontare è se il comportamento tenuto dal medico integri il reato di cui all'art. 83 DPR n.309/90.
E' noto che la prevalente giurisprudenza della Suprema Corte e di merito ritiene legittimo l'uso di sostanze stupefacenti solo se tale uso è mirato ad assistere, curare e recuperare fino alla disassuefazione il tossicodipendente, sulla base di un programma terapeutico individualizzato. Il che viene ritenuto possibile solo con una terapia "a scalare" per brevi periodi, inconciliabile con terapie dirette al mero mantenimento dello stato di tossicodipendenza (Cass. Sez. VI 14.7.89, Cass. Sez. VI 29.11.89, Cass.Sez. IV 29.9.95, Trib. Genova 20.6.80, Trib. Genova 9.3.82, Trib. Milano 3.4.84, Trib. Milano 8.2.96, G.I.P. Tribunale Biella 27.1.97). Tale interpretazione si fonda sull'art. 122 del DPR n.309/90 che assegna al servizio pubblico per le tossicodipendenze il fine della riabilitazione e del recupero del tossicodipendente, attraverso la definizione di un programma terapeutico e riabilitativo personalizzato, tale da mirare alla disintossicazione del tossicodipendente. Gli interventi del sanitario che intenda
assistere e curare le persone dedite alle sostanze stupefacenti debbono quindi adeguarsi ai medesimi principi e possono prevedere l'uso terapeutico di sostanze stupefacenti, ma tale uso presuppone che la terapia non ecceda le necessità della cura in relazione alle particolare patologia del soggetto, e che la stessa si proponga la disassuefazione e la guarigione.
I parametri normativi al riguardo sono dati dagli artt.43 e 122 del DPR n. 309/90. Il primo impone precisi obblighi per i medici che prescrivono sostanze stupefacenti: un particolare ricettario, l'indicazione delle generalità del beneficiario, della dose prescritta e delle modalità e dei tempi di somministrazione, il limite nel dosaggio non superiore agli otto giorni, la specificazione del medico rilasciante e la sua firma. La seconda norma disciplina i programmi terapeutici e riabilitativi prevedendo che il servizio pubblico definisca con la partecipazione dell'interessato un programma personalizzato nel cui ambito possono essere previste terapie dì disintossicazione, nonché trattamenti psico-sociali e farmacologici adeguati. Detto programma deve tener conto delle esigenze di vita e di lavoro del soggetto e può essere attuato oltre che dal servizio pubblico da un medico di fiducia. L'obiettivo chiaro che si ricava dal resto della legge è il recupero del tossicodipendente e l'abbandono dalla dipendenza da so
stanze stupefacenti. Ciò va perseguito con terapie inevitabilmente differenziate la cui bontà e validità è lasciata alla piena discrezionalità del servizio pubblico o del medico curante. Non è casuale che l'art. 122 parli esplicitamente di trattamento personalizzato e che l'art. 94 preveda un trattamento concordato con l'interessato. Di fronte a ciò e alla libertà terapeutica di cui inevitabilmente gode il medico pare incongruo ed in contrasto con lo stesso scopo della legge limitare gli interventi possibili ad una terapia "a scalare", caratterizzata dalla brevità dei tempi e dalla rigidità dell'approccio (quasi che lo scalare debba tradursi in una applicazione matematica e non in una generale tendenza perseguita). Una soluzione diversa che ritenga che unica lecita sia una terapia a scalare per brevi periodi non solo non trova alcun riferimento nella normativa, ma porterebbe all'assurdo di condannare all'abbandono e quindi all'inevitabile ricaduta nella droga tutti quei tossicodipendenti che necessitano di t
rattamenti personalizzati di lunga durata e che non possono essere presi in carico da strutture pubbliche. Mentre pare perfettamente conforme alla ratio dell'art. 122 DPR n.309/90 qualsiasi terapia che si ponga come obiettivo il recupero e la disassuefazione del tossicodipendente, al di là del tempo necessario per raggiungere questo difficile risultato. Del resto ciò risulta anche da pubblicazioni scientifiche e da indicazioni provenienti da autorità pubbliche quale il Se.Ce Das. Nella nota di tale organo edita sul n.3-4 dei Bollettino per le farmacodipendenze e l'alcoolismo del Ministero della Sanità si legge: Il decreto (n.445/90) non impone lo "scalaggio" come unica modalità consentita di impiego del metadone, né la disintossicazione in tempi brevi, né dosaggi prestabiliti, ma la disintossicazione come finalità ultima da conseguire, a seconda del caso, nei tempi e con le modalità necessarie. La durata del trattamento ed il dosaggio dovranno in sostanza essere motivati esclusivamente da esigenze cliniche e
non da protocolli amministrativo-organizzativi, purché l'obiettivo finale del trattamento sia quello di un graduale e totale svincolo della sostanza sostitutiva e durante il trattamento si ottenga l'allontanamento dalla sostanza illecita (disintossicazione), pur tenendo presente alcune possibili ricadute."
Del resto la differenza tra terapia "a scalare" e terapia "protratta o di mantenimento" rischia di essere modulata sull'unica variabile del tempo necessario, quando invece proprio la necessità di personalizzazione del trattamento e del perseguimento del recupero impongono inevitabilmente tempi differenziati, anche lunghi. Unico discrimine per definire la legittimità del comportamento pare quindi essere la presenza di una terapia e il perseguimento attraverso di essa del recupero del tossicodipendente ed in definitiva la sua disassuefazione. Le modalità della terapia. la sua lunghezza, una volta che siano rispettati i parametri di cui all'art. 43 e 122 del DPR n.30/90 non possono essere oggetto di censura da parte del giudice penale, che altrimenti si arrogherebbe una competenza del tutto propria della capacità e della deontologia del medico. I requisiti ora indicati, ovvero la presenza di una reale terapia, che non possa in alcun modo essere scambiata con atteggiamenti strumentali che agevolino la cessione d
i sostanze stupefacenti, la sua personalizzazione e il perseguimento dell'obiettivo del recupero e dei superamento della dipendenza a sostanze droganti, sono tutti presenti nell'operato del dott. Inzani. E va ulteriormente aggiunto che la bontà del suo comportamento è ulteriormente provata dalla dichiarazione dei tre pazienti sentiti che tutti hanno affermato di avere potuto vivere una vita normale, e di cui uno ha aggiunto di avere abbandonato da alcuni mesi l'uso di droghe o di sostanze sostitutive.
Né è pensabile che ulteriori elementi possano subentrare in dibattimento: la completezza dell'indagine svolta dal P.M. e le ulteriori integrazioni probatorie assunte direttamente in sede di udienza preliminare non fanno ritenere acquisibili ulteriori elementi che debbano imporre, in una valutazione prognostica, il vaglio dibattimentale.
Tali complessivi elementi portano a prosciogliere l'imputato perché il fatto non costituisce reato.
I ricettari, le ricette ed i fogli in sequestro vanno restituite a Inzani Giorgio.
P.Q.M.
visti gli artt. 424 c.p.p.
DICHIARA
non luogo a procedere a carico di INZANI GIORGIO dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato.
ORDINA
la restituzione dei ricettari, delle ricette e dei fogli in sequestro a INZANI GIORGIO.
Cosi deciso in Milano, il 10 aprile 2000.
L'AUSILIARIO
Dott.sa Michela Castaldo
IL GIUDICE
Claudio Castelli
proc. n. 6493/97 R.G.N.R
pm, n. 4827/97 R.G. G.i.p.