CORA - Coordinamento Radicale AntiproibizionistaIL PROIBIZIONISMO SULLE CURE MEDICHE IN ITALIA IN TEMA DI TOSSICODIPENDENZE
di Ignazio Marcozzi Rozzi
Nella attuale legislazione le proibizioni normative riguardano:
a) il divieto dell'utilizzo di farmaci presenti nella farmacopea internazionale;
b) il divieto di prescrivibilità di farmaci presenti nella farmacopea italiana;
c) la limitazione alla prescrivibilità di farmaci autorizzata esclusivamente ad alcune figure mediche;
d) il divieto da parte del Ministero della Sanità ai comitati etici, alle aziende sanitarie, agli istituti di cura delle tossicodipendenze, agli istituti universitari di poter avviare sperimentazioni con nuovi farmaci sostitutivi nella terapia delle tossicodipendenze non presenti nella farmacopea italiana;
e) le norme di prescrizione, di detenzione e di custodia di farmaci stupefacenti nel circuito sanitario, oggettivamente disincentivanti l'utilizzo;
f) le indagini e gli interventi di settori della magistratura e di organi di polizia tendenti alla generica intimidazione dell'azione medica;
g) le normative di stampo monopolista e statalista circa i presidi sanitari per le cure delle tossicodipendenze autorizzati a utilizzare farmaci sostitutivi (SERT);
h) l'inadeguatezza, l'insufficienza quando non proprio la fatiscenza, dei luoghi fisici statali di diagnosi e cura delle tossicodipendenze (SERT), cronico deficit di organico di tali servizi socio-sanitari. Disattesa delle leggi vigenti su tutto il territorio nazionale riguardo gli orari di apertura e di operatività degli stessi;
i) la carenza di sufficiente formazione nella medicina delle tossicodipendenze e di quella di base, l'assenza di adeguati incentivi per gli operatori che a diverso titolo intervengono sulle cure delle tossicodipendenze;
j) il divieto di creazione di servizi di riduzione del rischio e dei danni che agiscano, in luoghi autorizzati, per la prevenzione e la riduzione dei decessi da overdose;
k) la negazione delle cure negli istituti di pena.
Analizziamo alcuni dei punti sopra enunciati.
A) Il divieto di utilizzo di farmaci presenti nella farmacopea di altri Paesi
Due esempi:
- il L.A.A.M. (L- Acil- Acetil- Metadolo), farmaco sostitutivo usato nelle dipendenze da oppiacei, attivo a lunga azione (72 ore), tripla rispetto a quella del metadone. Il farmaco è utilizzato negli USA e in altri Paesi dal 1993 con il nome di Orlaam. Il 28 giugno 1995 i parlamentari del gruppo radicale riformatore con specifica interrogazione, chiesero al Ministro della Sanità di introdurre il farmaco in Italia. A sei anni di distanza il farmaco è ancora sconosciuto tra i medici italiani e il suo uso è impedito.
- La Di-Acetil-Morfina (eroina-farmaco) è presente nella farmacopea della Gran Bretagna ed è prescrivibile e somministrabile da specialisti per la cura sostitutiva della dipendenza da oppiacei illegali (eroina di strada). E attualmente utilizzata ordinariamente nella Confederazione Elvetica, dopo aver superato una lunga e articolata fase di sperimentazione (Progetto P.R.O.V.E.). Il suo utilizzo è destinato a tossicodipendenti che hanno fallito altre cure e la sua somministrazione viene effettuata in centri socio-sanitari sotto controllo medico e inserita in programmi di cure psicologiche e di aiuto sociale.
Programmi analoghi sono avviati, o in corso di avvio, in altri Paesi (Olanda, Germania, Australia). In Italia il CORA, il 26 maggio 1994, presentò una proposta di legge di iniziativa popolare per la somministrazione di oppiacei sotto controllo medico; tale proposta è stata ereditata dalla presente legislatura, ed è stato nominato un relatore per la discussione in commissione.
L'On. Marco Pannella, durante la campagna elettorale che lo vide eletto consigliere al comune di Roma nel 1997, proponeva il trattamento sperimentale di somministrazione sotto controllo medico con eroina farmaco per mille tossicodipendenti della capitale. Negli anni successivi alti magistrati e altre forze politiche hanno aderito, sebbene con diverse modalità, alla proposta antiproibizionista.
B) Il divieto di prescrivibilità di farmaci sostitutivi presenti nella farmacopea italiana
E il caso della morfina cloridrato in fiale e della morfina solfato in compresse, utilizzate fino al 1984 anche in Italia quali farmaci sostitutivi nelle tossicodipendenze. Nessuna valutazione scientifica è stata mai fatta su quella sperimentazione, pensata male e male realizzata, nell'assenza pressoché totale di preparazione dei medici italiani all'allora nuovo fenomeno delle dipendenze da oppiacei e nella mancanza assoluta di strutture sanitarie adeguate (periodo '75/'85). Essa fu abbandonata più per valutazioni di ordine pubblico che per motivi di ordine scientifico sanitario.
E di quel periodo l'azione di coraggioso impegno professionale di medici antiproibizionisti, radicali e non, in favore dell'assistenza dei t.d. Essi hanno subito lunghi processi e in alcuni casi gravose condanne: tra tutti, ricordiamo il dott. Del Gatto, il Dott. Gaeta, la Dott.ssa Catri. In tale contesto si inserisce la autodenuncia di disobbedienza civile di chi scrive, per la prescrizione di morfina quale farmaco sostitutivo nella cura della tossicodipendenza, e il lungo iter giudiziario, culminato in assoluzione, ma con la dolorosa sospensione del ruolo di dirigente SERT per lunghi anni, del Dott. Valenzi, attuale presidente di FederSERT. Sono decine i medici che sono stati in quel periodo inquisiti e processati per "prescrizioni non terapeutiche" e "spaccio".
Nella cura delle tossicodipendenze, l'uso della buprenorfina (nome comm. temgesic) come agonista-antagonista è consentito solamente da pochi mesi in Italia; occorre ricordare, invece, il suo utilizzo fin dagli anni '80 in USA e successivamente in altri Paesi. Nel periodo della proibizione del temgesic centinaia sono stati i medici indagati. Fra tutte va ricordata una maxi-inchiesta condotta da inquirenti abruzzesi che coinvolse circa 50 medici, di cui la metà rinviati a giudizio per prescrizioni non terapeutiche e spaccio in favore di t.d. in crisi di astinenza. Il procedimento vide l'alternarsi di risibili perizie accusatorie e la contemporanea autorizzazione del Ministero della Sanità all'uso della stessa molecola, per i medesimi fini per i quali erano sotto processo i medici abruzzesi. Numerose sono state le prese di posizione dei radicali a difesa dei medici ingiustamente perseguiti.
C) La limitazione alla prescrivibilità di farmaci autorizzata esclusivamente ad alcune figure mediche
Una inspiegabile limitazione è il recente trasferimento del G.H.B. (nome comm. Alcover) in prima tabella. Questo farmaco si è rivelato utilissimo nella terapia da dipendenza da alcool ma da pochi mesi esso può essere prescritto solo su ricettario speciale degli stupefacenti. Ciò ne ha immediatamente ridotto l'utilizzo.
Il caso attuale più eclatante è però quello della buprenorfina a dosi utili nella cura delle t.d. (2-6 mg), nome comm. Subutex. Non appena introdotta nella farmacopea italiana con la indicazione terapeutica per la cura delle t.d. essa è stata immediatamente riservata al solo uso nei SERT e nei centri specializzati. Le leggi vigenti dichiarano esplicitamente l'esclusività dell'utilizzo del Subutex ai medici del SERT e attribuiscono, in forma larvata a causa degli effetti del referendum del 1993, l'uso del metadone agli stessi. Bisogna ricordare infatti che il referendum restituì al medico di fiducia la possibilità di utilizzo del metadone, il quale era stato fino all'ora riservato ai soli medici dei SERT e dei centri specializzati. Quindi si desume che la scelta governativa non ricade sul medico in quanto possessore di specializzazione specifica del settore, psichiatra o farmacologo o quant'altro, ma su colui che ricopre in quel momento un ruolo, quello di medico del SERT.
Stante la cronica carenza di personale medico nelle piante organiche dei SERT della maggior parte delle regioni italiane (carenze che vanno fino al 50% nell'intero centro sud), molto spesso il personale medico in parte è costituito da neolaureati, digiuni della materia, che nel SERT trovano collocazione precaria a tempo determinato. Si può anche determinare l'assurdità opposta, vale a dire che il più esperto dei medici di un SERT che decidesse di cambiare lavoro e iniziasse a fare il medico di famiglia, l'ospedaliero o il libero professionista, non potrebbe più utilizzare il Subutex, pur avendone piena esperienza e perizia.
Questa normativa così fatta non riguarda quindi la preparazione del medico in quanto esperto nella cura della t.d. ma ha come unico effetto quello di imporre il monopolio statale sulle cure farmacologiche sostitutive.
A tale proposito è indicativa la realtà che vive la Fondazione Villa Maraini della C.R.I. di Roma. Da un quarto di secolo in questo centro operano e si formano medici molto esperti nelle cure farmacologiche delle t.d. Essi hanno incontrato sempre grandi difficoltà di tipo burocratico-normativo nel poter utilizzare farmaci sostitutivi e non, pur essendo tra i pionieri in Italia nell'uso di buprenorfina, metadone, naloxone, naltrexone, clonidina.
Vale qui ricordare le vessazioni amministrative subite dalla regione Lazio nel passato e le reiterate indagini dei carabinieri su alcuni medici di Villa Maraini prescrittori di metadone. Queste indebite pressioni sono state oggetto di interrogazioni parlamentari dei radicali e di manifestazioni di solidarietà.
Gravissima è altresì la vicenda che ha visto indagato il Dott. Giorgio Inzani (vedi intervento in questa stessa pubblicazione). Medico di lunga esperienza nella cura delle tossicodipendenze, è stato inquisito per spaccio e prescrizione non terapeutica per aver curato con buprenorfina e metadone suoi pazienti t.d. In definitiva egli non ha fatto altro che utilizzare, e anche bene, quegli strumenti che in misura e modalità analoghe vengono abitualmente usati da tanti medici dei SERT. L'attività professionale da lui svolta è rara per l'Italia, infatti sono assai pochi quei medici che non lavorano nei SERT, non lavorano per il sistema sanitario, ma sono scelti come medici di fiducia di cittadini t.d. Figura rara e isolata dagli altri medici che per lo più subiscono le intimidazioni intrinseche esercitate dalle norme suddette di prescrizione, di possesso e di custodia di tali farmaci.
Il monopolio statale delle cure farmacologiche è oggettivamente teso a impedire quel diritto dovere alla autonomia terapeutica esercitata in scienza e coscienza. Pur iscritto nelle leggi, ma disatteso nei fatti e nei comportamenti, l'atto terapeutico deve essere invece pienamente riconosciuto e non essere un circolo chiuso di eventi. I medici, esercitando la dovuta responsabilità, prudenza e perizia, non commettono alcun reato quando si trovassero a prescrivere interventi curativi che prevedono l'utilizzo di mezzi diversi da quelli ordinariamente praticati.
E) Le norme di prescrizione, di detenzione e di custodia di farmaci stupefacenti sostitutivi nel circuito sanitario sono oggettivamente disincentivanti l'utilizzo
La prescrizione di farmaci sostitutivi e non, come il metadone, la morfina, l'alcover, deve essere fatta sullo speciale ricettario degli stupefacenti. Ricettario che pochissimi medici italiani possiedono e utilizzano a causa delle difficoltose modalità di richiesta, utilizzo e custodia. Il ricettario deve essere richiesto nella sede degli ordini dei medici, previa identificazione con duplice documento d'identità, incluso il tesserino dell'ordine. Deve essere compilato uno stampato di richiesta con specifiche del tipo di pazienti a cui è destinato l'utilizzo del ricettario: tossicodipendenti etc ... Il ricettario è costituito per ogni ricetta da tre matrici uguali. In presenza di un addetto dell'ordine viene apposta una prima firma su ogni singola ricetta. Al momento della prescrizione tutte le informazioni vanno ripetute con scrittura a mano a tutte lettere, inclusi i dosaggi numerici (es.: zerovirgolazerouno). La matrice che rimane al medico, poiché le altre due sono rispettivamente destinate al S.S.N. e a
l carico e scarico della farmacia, deve essere conservata per un periodo obbligatorio di due anni.
Da tutto ciò si può facilmente desumere come la estrema macchinosità e lentezza del sistema abbiano come effetto quello di provocare la repulsa dei medici. Inevitabilmente ciò si risolve nel conseguente non utilizzo di questi farmaci così importanti, e in ultima analisi ciò determina mancate cure.
Questa situazione è poi aggravata dalle norme che regolano il detenere a scopo di pronto soccorso "in borsa" o "in ambulatorio" anche solo una fiala di morfina; farmaco, questo, che è indispensabile in sede di primo soccorso per patologie gravissime che mettono a repentaglio la vita di un paziente quale l'infarto cardiaco e l'edema polmonare.
La normativa del possesso prescrive, infatti, un registro di carico e scarico degli stupefacenti numerato e firmato in tutte le sue pagine da una autorità sanitaria riconosciuta (sindaco o suo delegato). Nel registro, per ogni singola fiala utilizzata, va appuntato il malato destinatario, il giorno, l'ora, il quantitativo e la diagnosi.
Drammatica da un punto di vista burocratico diventa l'eventuale restituzione alla autorità sanitaria delle fiale scadute; infatti, ulteriori complicazioni sono dovute al trasporto e alla distruzione. Per quanto detto, si dubita che alcun medico italiano oggi abbia con sé, per il pronto utilizzo, farmaci come la morfina, definiti dallo stesso Ministero salva vita.
I farmacisti hanno, dal canto loro, la vita oltremodo complicata da questa normativa. Infatti il più delle volte fanno di tutto, anche incorrendo in reati di mancato obbligo delle disposizioni, pur di evitare queste enormi "grane".
In una metropoli come Roma, con centinaia di farmacie private e pubbliche, si contano su una sola mano quelle disposte, ancorché obbligate per legge, ad avere il metadone. Tutti i medici, i farmacisti, i parenti di malati terminali, i malati cronici che hanno necessità di questi farmaci sanno quanto difficile e penoso sia reperirli.
Infatti nelle statistiche europee di consumo a fini di analgesia l'Italia è all'ultimo posto, staccata di gran lunga da tutti. A questa normativa così capziosamente restrittiva fa da contraltare il numero di t.d. tra i più alti d'Europa.
Necessario corollario al monopolio statale delle cure farmacologiche è la necessità di mantenere al Ministero della Sanità l'esclusiva decisionalità in tema di sperimentazione di nuovi farmaci sostitutivi. Così i comitati scientifici delle aziende ospedaliere, degli istituti a carattere scientifico, delle facoltà universitarie di medicina, possono sperimentare qualsiasi altro farmaco che abbia il consenso dei comitati etici di riferimento tranne quelli di questa classe. In tema di sanità si regionalizza tutto tranne questo settore che viene evidentemente ritenuto di particolare importanza strategico-politica.
J) Il divieto di attuazione di servizi di riduzione del rischio e dei danni che agiscano in luoghi autorizzati per la prevenzione e riduzione dei decessi da overdose
La legislazione attuale in materia di attività socio-sanitaria è il frutto di una lunga battaglia scientifico culturale e del grave allarme sanitario degli anni ottanta e novanta per il dilagare di malattie correlate alla t.d. e con implicazioni di allarme sanitario pubblico (AIDS, EPATITI, TBC). La maturazione della consapevolezza di dover intervenire con una logica non del "tutto o niente" salvifico, bensì con iniziative aderenti a tutte le pieghe del fenomeno, ha portato in primo piano anche in Italia la politica della riduzione dei danni e dei rischi. Si sono quindi attivati e inventati servizi socio-sanitari quali le unità di strada anti-overdose, lo scambio di siringhe, la distribuzione di preservativi, i centri diurni e notturni di bassa soglia e quant'altro teso al rapporto precoce con il t.d. attivo non disponibile a cure di livello superiore. In questo contesto Paesi come la Germania, l'Olanda, la Spagna, l'Australia hanno sperimentato luoghi di autosomministrazione vigilata di eroina di strada po
rtata con sé dai consumatori. Sono questi luoghi igienicamente più sicuri di quelli abitualmente frequentati dai t.d., dove poter essere prontamente soccorsi in caso di overdose. Questi luoghi (shooting rooms, narcosalas), che noi chiameremmo "presidi di autosomministrazione vigilata", hanno permesso a migliaia di tossicodipendenti di migliorare le loro condizioni di vita, consentendo un loro aggancio precoce ai servizi sanitari con la conseguente possibilità di offerta di percorsi di aiuto.
In Italia l'articolo 73 della legge sugli stupefacenti impedisce che si possano organizzare presidi di questo tipo. Infatti, l'articolo 73 non prevede distinzione di finalità tra un presidio socio-sanitario teso alla salvaguardia della vita e della salute - seppure in termini parziali e possibili in quella data fase dell'utente - rispetto a veri luoghi di spaccio e consumo a fini speculativi.
Parlando della mia esperienza personale, posso dire che l'aver solo cercato di stimolare un dibattito aperto a nuove e necessarie soluzioni ha scatenato una violenta campagna giornalistica e un'azione di denotazione squadristica della destra politica italiana.
K) La negazione delle cure negli istituti di pena
a) L'assenza delle strutture idonee previste dalla legge.
Per i detenuti tossicodipendenti, accusati o condannati per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, deve essere prevalente, per dettato costituzionale e per le leggi vigenti, il diritto alla salute e quindi il diritto alla cura rispetto alla prevalenza penale in quanto accusati o condannati.
Questo principio ha ispirato l'articolo 95 del Testo Unico (DPR n. 309 del 1990), che testualmente, al comma I, prevede: "la pena detentiva nei confronti di una persona condannata per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza deve essere scontata in istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi".
A tale fine sono state individuate: all'interno degli istituti di pena le cosiddette case circondariali a detenzione attenuata; lo strumento di decarcerizzazione/affidamento in regime di arresti domiciliari a comunità terapeutiche, accreditate sul territorio, pubbliche o del privato sociale (gli affidamenti assommano a molte centinaia, principalmente nelle comunità residenziali, tenendo presente che, per parere diffuso tra i responsabili delle comunità, il numero degli affidamenti non deve superare la soglia del 30% degli ospiti causa le dinamiche peculiari alla presenza di questi utenti); quindi, il numero dei posti disponibili è sempre molto al di sotto delle richieste...
Sono quattro, invece, le case a detenzione attenuata (Rebibbia, Sollicciano, Rimini, Empoli) su 28 istituti di pena, per un totale di posti disponibili di circa cento unità.
Attualmente sono quindicimila i tossicodipendenti detenuti; da ciò si deduce che diecimila di loro, in piena violazione delle leggi vigenti, non sono destinati alle strutture preposte allo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativo, non ricevendo quindi le cure di cui hanno diritto.
b) La violazione del principio di continuità terapeutica.
Su tutto il territorio nazionale frequentemente vengono ristretti in camere di sicurezza delle forze di polizia, e in quelle dei tribunali per i casi di flagranza di reato e per i processi per direttissima, tossicodipendenti che sono, o entrano in breve tempo, in crisi di astinenza. Essi, tolte meritevoli eccezioni quali quelle di Roma grazie a Villa Maraini e poche altre situazioni, non hanno la somministrazione di metadone, farmaco necessario a ristabilire uno stato psicofisico atto alla cura della crisi di astinenza e alla possibilità di una piena difesa.
Risulta migliorata in alcuni istituti di pena la continuità terapeutica nel momento dell'arrivo in istituto da quando le competenze sanitarie per i reclusi tossicodipendenti sono passate dalla gestione della medicina carceraria, totalmente incapace in questo settore, alla gestione attuale affidata ai SERT delle aziende sanitarie.
Permangono ancora gravissime situazioni di negazione della continuità terapeutica in molti istituti di pena; segnalo, tra tutti, il caso di Poggioreale a Napoli, dove non vengono usati farmaci sostitutivi (vedi anche i dati sui trattamenti metadonici nelle carceri italiane riportati nell'esposto del CORA, inserito in questa pubblicazione).
c) I ritardi per carenze e lentezze burocratiche dei magistrati di sorveglianza.
I giudici di sorveglianza sono in numero di 125 in 29 Tribunali di sorveglianza, per un totale di trentamila detenuti definitivi, dei quali circa diecimila tossicodipendenti.
Decine di migliaia di istanze dei detenuti per ottenere visite mediche ospedaliere, indagini strumentali, decarcerizzazioni legate all'art. 90 della 309/1990, restano senza risposta o con tempi ritardati rispetto al necessario.