CORA - Coordinamento Radicale AntiproibizionistaALCUNE MODESTE PROPOSTE DI "RIDUZIONE DEL DANNO LEGISLATIVO"
di Augusto Magnone
1. Richiesta di abrogazione dell'art. 83 della legge 309/90
Si chiede l'abrogazione di tale articolo perché le interpretazioni, restrittive e clinicamente scorrette, del termine terapeutico, fornite da una parte anche importante della magistratura, inducono molti medici a operare non secondo scienza e coscienza, bensì secondo giurisprudenza, negando ai propri assistiti, per il fondato timore di incorrere in sanzioni penali anche gravi, trattamenti ritenuti efficaci dalla scienza medica e consentiti dalla legge italiana.
Articolo 83 (prescrizioni abusive)
Le pene previste dall'articolo 73, commi 1,4 e 5, si applicano altresì a carico del medico chirurgo o del medico veterinario che rilascia prescrizioni delle sostanze stupefacenti o psicotrope ivi indicate per uso non terapeutico.
A seguito di questo articolo, un uso non ritenuto terapeutico può essere punito con le stesse pene applicabili allo spacciatore: per farmaci quali il metadone, la codeina e la morfina le pene sono uguali a quelle applicabili allo spaccio di eroina (reclusione da 8 a 20 anni e multa da 50 a 500 milioni); per la buprenorfina, invece, sono quelle applicabili allo spaccio di cannabinoidi (2-6 anni e multa da 10 a 150 milioni). Nei casi in cui i fatti siano ritenuti di lieve entità, la pena della reclusione è da 6 mesi a 4 anni e la multa da 2 a 20 milioni.
Da una attenta e corretta lettura dell'art. 83, risulta evidente che:
a) la legge intende punire il rilascio di prescrizioni di sostanze psicotrope o stupefacenti per un uso non terapeutico di malattie umane o animali, senza espliciti riferimenti alla tossicodipendenza;
b) non viene predeterminato e circoscritto il termine "uso terapeutico" a uno dei diversi significati possibili in uso nel linguaggio clinico e più in generale nella lingua italiana. A tutti è noto, ad esempio, che la terapia può essere mirata alla guarigione di una malattia o, più comunemente, finalizzata a eliminare o ridurre l'intensità di alcuni sintomi. Da tale considerazione deriva che devono considerarsi lecite tutte le prescrizioni dirette a un uso, quale che sia, curativo.
I problemi maggiori, riscontrati in passato e anche di recente, si sono registrati nell'ambito della cura della eroinodipendenza con metadone o con buprenorfina, terapie che numerosi magistrati considerano penalmente lecite esclusivamente se effettuate con dosaggi decrescenti in tempi brevi e se finalizzate all'eliminazione della tossicodipendenza. Una siffatta interpretazione dell'articolo 83 è del tutto arbitraria, in quanto tale articolo non esplicita il "divieto dell'uso terapeutico non diretto alla disintossicazione in tempi rapidi", bensì un generico divieto di uso non terapeutico.
Nonostante che, dai dati periodicamente pubblicati sia dal Ministero della Sanità sia dal Ministero degli Interni, emerga il continuo aumento del numero dei trattamenti effettuati con metadone a tempo protratto, noto anche con il termine "a mantenimento", a scapito di altri tipi di trattamenti (metadone "a scalare", farmacologico non sostitutivo, ecc.), ritenuti dalla letteratura medica scientifica internazionale di minor efficacia o inefficaci per la maggior parte degli eroinodipendenti, la Suprema Corte di Cassazione, nelle sue sentenze (Sez. VI 14/7/89, Sez. VI 29/11/89, Sez. IV 29.9.95) nega in modo categorico la liceità dei trattamenti sostitutivi a lungo termine, ritenendo legittimi solo i trattamenti a "scalare" e per brevi periodi, arrogandosi di fatto competenze del tutto proprie delle capacità e della deontologia del medico.
Sulla base di tale orientamento, sentenze di condanna sono state espresse dai Tribunali Italiani. In altri casi, pur essendo stato favorevole l'esito della vicenda giudiziaria, numerosi sono stati i danni subiti sia di immagine (titoli di giornali del tipo "medico accusato di spaccio") sia economici (sospensione dalla professione, spese per la difesa, ecc.).
Si ritiene opportuno menzionare 3 vicende giudiziarie che hanno di recente coinvolto alcuni medici operanti in Lombardia.
Nel marzo 1996, il tribunale di Brescia condannava 3 medici per violazione dell'articolo 83, a pene, rispettivamente, di:
- mesi 7 di reclusione e 2,5 milioni di multa per aver prescritto (gratuitamente), tra il 1989 e il 1992, plegine e temgesic a pazienti tossicodipendenti "nella assoluta mancanza del criterio della scalarità";
- anni 1 e mesi 3 di reclusione e 4 milioni di multa per aver prescritto la somministrazione di pastiglie di temgesic talora, addirittura, in crescendo, con l'aggravante del fine di lucro in quanto veniva richiesta dal medico, per la propria prestazione, inizialmente la somma di 25.000 lire e successivamente di 50.000 lire;
- mesi 6 di reclusione e 2 milioni di multa per aver prescritto a tossicodipendenti alcune ricette di plegine e temgesic (quest'ultimo per un totale di 17 ricette in 2 anni), pretendendo la somma di lire 20.000 a prestazione e limitandosi a semplici colloqui informativi e alla raccomandazione di non mettersi alla guida dopo l'assunzione del farmaco.
I 3 medici venivano, inoltre, sospesi dall'esercizio della professione medica per un periodo corrispondente alla durata della pena inflitta.
In data 30/10/98, la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza impugnata, assolveva i 3 medici perché il fatto non costituisce reato.
Nel 1997, a Milano, venivano iscritti nel registro delle notizie di reato 7 medici per violazione dell'articolo 83; successivamente, veniva richiesta l'archiviazione per 6 di questi, perché le prescrizioni di costoro configuravano trattamenti sostitutivi brevi e a "scalare". Per il settimo veniva richiesto il rinvio a giudizio in quanto - nonostante che le perquisizioni subite (personali, della propria abitazione e del proprio studio) fossero risultate negative e che le indagini avessero dimostrato il buon esito delle terapie effettuate, la legalità formale delle prescrizioni e l'assenza di un illecito arricchimento - le modalità prescrittive configuravano per 7 pazienti trattamenti con metadone a tempo protratto e quindi un uso non terapeutico del farmaco, a giudizio del magistrato, ai sensi dell'art. 83.
Dopo più di due anni (10/4/2000), il G.I.P. del Tribunale di Milano dichiarava il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato - (vedi sentenza in questa stessa pubblicazione).
In data 5 maggio 2000, un P.M. del Tribunale di Milano, a seguito di una indagine iniziata nel 1998, richiedeva la sospensione cautelare di 7 medici dall'esercizio del pubblico servizio presso il SERT. L'accusa comune a tutti era di prescrizione e di cessione di metadone al fine di mero mantenimento della tossicodipendenza e, quindi, per uso non terapeutico, ai sensi dell'art. 83.
La non terapeuticità dell'uso derivava, a giudizio del magistrato, dalla mancata effettuazione dei controlli delle urine (in circa il 15 % dei pazienti in cura), con la frequenza settimanale prevista dall'articolo 8 del D.M.San. 445/1990. Il magistrato non era a conoscenza che tale decreto era stato abrogato dal DPR 171/93, conseguente al referendum del 18/4/1993*.
In data 27/6/2000 il GIP respingeva la richiesta del P.M.
* A seguito del referendum abrogativo del '93 l'impiego terapeutico di qualsiasi farmaco sostitutivo è sempre penalmente lecito e la terapeuticità di tale impiego non può mai dipendere da riconoscimenti formali, quali sono le autorizzazioni ministeriali o i protocolli di registrazione dei farmaci (le finalità terapeutiche individuate nei protocolli di registrazione non escludono per se stesse impieghi terapeutici diversi, sotto la responsabilità dei medici che li adottano), ma solo da indicazioni scientificamente comprovate dalla clinica medica.
La violazione della regolamentazione ministeriale, ove si ammetta che il Ministro ne abbia potere, non comporta per se stessa conseguenze negative di carattere penale, perché non previste dalla legge, ma eventualmente solo di natura amministrativo-disciplinare.
2. Modifica dei commi 2 e 3 dell'art. 43 della legge 309/90
Il comma 2 definisce i criteri generali sulla base dei quali il Ministro della Sanità predispone il ricettario per i farmaci stupefacenti.
Si propone un cospicuo aumento delle ricette contenute o la possibilità di ritirare più ricettari (ad esempio uno per paziente in terapia sostitutiva o antidolorifica) nonché l'abolizione della firma sulla "madre" di ciascuna ricetta all'atto del ritiro.
Il comma 3 limita il dosaggio per cura a una durata non superiore agli 8 giorni di terapia; si propone di portare tale durata ad almeno 30 giorni.
3. Modifica dell' articolo 1 del decreto del Ministero della Sanità del 29/12/1990 n 448 (regolamento concernente le modalità di redazione della relazione sulla verifica del trattamento dei tossicodipendenti in regime di sospensione del procedimento o di sospensione dell'esecuzione della pena)
Tale articolo prevede che la relazione venga redatta dal Coordinatore Sanitario dell'A.S.L. Si ritiene opportuno che invece venga redatta dal medico coordinatore del SERT o da un medico da lui delegato.
4. Trattamento della dipendenza da cocaina, amfetamina, metamfetanina e da altre sostanze di tipo eccitante
La psicosi schizofrenica di tipo paranoide è solitamente presente nei casi di dipendenza da tali sostanze; la mancanza di farmaci in grado di eliminare o diminuire significativamente la dipendenza psicologica, quali ad esempio il metadone, rende necessari modelli di intervento differenti da quelli attualmenti esistenti. Si può ipotizzare la necessità di un percorso-tipo "ospedale, struttura protetta, servizio ambulatoriale", percorribile nelle diverse direzioni. La struttura ospedaliera potrebbe essere rappresentata dalle attuali psichiatrie, o meglio da reparti di psichiatria afferenti al SERT; la struttura protetta potrebbe essere di tipo comunitario, se in grado di fornire programmi mirati e adeguati a tale patologia; il servizio ambulatoriale potrebbe essere svolto dall'attuale SERT.