CORA - Coordinamento Radicale AntiproibizionistaI RADICALI E LE DROGHE
Sintesi cronologica di trentacinque anni di antiproibizionismo
di Roberto Spagnoli
"Di tutte le campagne politiche del Partito radicale sulle grandi scelte delle nostre società, per l'affermazione del Diritto e contro la concezione etica dello Stato la più peculiare è forse quella contro l'attuale regime proibizionista delle droghe".
(Emma Bonino, allora segretaria del Partito radicale transnazionale al consiglio generale di Sofia nel 1993)
La battaglia per la legalizzazione delle droghe rappresenta uno dei tratti distintivi della storia e dell'immagine stessa dei radicali. Essi sono stati tra i primi a comprendere che il proibizionismo, invece di risolverlo, aggrava il problema della diffusione delle droghe illegali e scarica sull'intera società gli altissimi costi sociali causati dal mercato nero e dall'emarginazione dei tossicodipendenti e hanno saputo porre la "questione droga" in termini politici, legando la difesa delle libertà individuali all'elaborazione di soluzioni per governare il fenomeno. Per questo l'iniziativa militante è sempre stata intrecciata a quella condotta in ambito istituzionale. Da qui, dunque, i referendum e le proposte di legge, ma anche le disobbedienze civili, le denunce e le autodenunce, i processi, gli scioperi della fame e della sete, sempre secondo il metodo della nonviolenza, in difesa del Diritto e dei principi di libertà, autonomia e responsabilità individuale.
L'iniziativa dei radicali per la legalizzazione delle droghe si dipana lungo oltre un trentennio della storia italiana e ha segnato profondamente il dibattito sulla questione droga che si è sviluppato nel nostro Paese giungendo, in taluni momenti, a incidere sulla scelte legislative positive che ne sono derivate e riuscendo anche a portare la battaglia politica antiproibizionista nelle maggiori istituzioni sovranazionali.
Nel 1965, con una serie di "contrainaugurazioni" dell'anno giudiziario, i radicali denunciarono per la prima volta l'incapacità delle leggi proibizioniste di contrastare il consumo di droghe che cominciava a diventare un fenomeno diffuso. La legge del 1954 allora in vigore era stata concepita essenzialmente per reprimere il traffico di cui l'Italia era uno dei principali nodi internazionali. Il legislatore non era andato molto per il sottile preferendo colpire ogni minima forma di "spaccio" trascurando gli aspetti medici e sociali. In quell'epoca il consumo di droghe illegali non era ancora un fenomeno di massa, ma un decennio dopo la situazione stava rapidamente mutando e i radicali lo compresero chiaramente.
All'inizio degli anni '70 migliaia di persone, quasi tutte appartenenti alle classi popolari o ad ambienti politicizzati e "underground", erano finite in carcere, la maggior parte per detenzione di modeste quantità di hashish e marijuana. Il mondo giuridico, con molte incertezze cominciò ad interrogarsi, mentre in Parlamento ci fu chi chiese che la legislazione tenesse conto delle conoscenze scientifiche. Erano però gli anni della "contestazione" e della "controcultura" e la legge si rivelò utile per colpire i movimenti giovanili, le organizzazioni libertarie, gli hippies, i "capelloni".
Alla vigilia di Natale del 1972 il consiglio dei ministri approvò il disegno di legge Gonella-Gaspari, un provvedimento frutto di incompetenza e dilettantismo. L'11 congresso del Partito Radicale decise di lanciare la battaglia per l'abolizione delle norme autoritarie che colpivano i consumatori di droghe, sia "leggere" che "pesanti", equiparandoli agli spacciatori. In quel periodo, dopo la vittoriosa battaglia per il divorzio e l'approvazione della legge sull'obiezione di coscienza, i radicali elaborarono e misero a punto la strategia referendaria come strumento di democrazia diretta capace di aggregare i cittadini scavalcando il potere dei partiti. A metà gennaio del '73,sul quotidiano Il Messaggero, Marco Pannella apri' la campagna per la decriminalizzazione delle "non-droghe". Diciassette giovani romani erano stati arrestati per aver fumato hashish e con loro erano cinquecento le persone arrestate in tutta Italia in otto giorni (seimila in cinque anni): per Pannella era ora di dire basta. Fu la prima pr
esa di posizione pubblica sul tema: in essa erano evidenti il richiamo alla responsabilità individuale e la convinzione che la legge non deve sindacare i comportamenti privati. Nel giugno di quello stesso anno il Partito radicale e Stampa Alternativa organizzarono un convegno il cui titolo, "Libertà e droga", era insieme una provocazione ed un programma politico.
Il 1975 fu per l'Italia un anno ricco di cambiamenti: il voto ai diciottenni, il nuovo diritto di famiglia, la fine del monopolio Rai, dopo la legge sul divorzio, furono le nuove conquiste nella battaglia per i diritti civili a cui i radicali diedero un fondamentale contributo. Per i radicali quello fu soprattutto l'anno della battaglia sull'aborto con il successo della campagna per il referendum, per il quale vennero raccolte 750 mila firme, e con le autodenunce e gli arresti di Emma Bonino, Adele Faccio, Giorgio Conciani, Gianfranco Spadaccia per l'attività del Cisa (Centro informazione sterilizzazione e aborto). Ciò che non riusciva a trovare un esito era la discussione su di una nuova legge sulle droghe di cui tutti avvertivano la necessità, ma che rimaneva bloccata dalle esitazioni e dai veti delle forze politiche. Le cifre del fenomeno avevano intanto acquistato dimensioni considerevoli. Pannella decise che occorreva passare alla disobbedienza civile. Il 2 luglio avverti' le forze dell'ordine e i giorn
ali che avrebbe fumato pubblicamente dell'hashish, cosa che avvenne nel corso di un'affollata conferenza stampa presso la sede del Partito radicale. Pannella venne arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e restò in carcere due settimane, rifiutando di firmare la richiesta di libertà provisoria fino a quando il Parlamento non avesse fissato la discussione delle proposte di legge. Contemporaneamente alla disobbedienza civile di Pannella, il segretario radicale Gianfranco Spadaccia intraprese un digiuno che si protrasse per venticinque giorni. I radicali non furono i soli a mobilitarsi in quel periodo, ma la loro iniziativa fu quella più evidente e clamorosa e anche quella più organizzata ed efficace. Le poemiche si accesero furibonde: il mondo politico si divise, personalità della cultura e dello spettacolo espressero solidarietà al leader radicale, il quotidiano "Momento sera" lanciò un'appello in suo favore, dal mondo cattolico giunsero inaspettati sostegni e lo stesso quotidiano Avvenire criticò
il disegno di legge Gonella-Gaspari. Alla fine di settembre si avviò finalmente l'iter parlamentare che avrebbe portato all'approvazione della nuova legge nel dicembre successivo.
Il provvedimento mantenne un'impostazione proibizionista e repressiva, ma nello stesso tempo prese atto dell'esistenza di un problema medico-sociale connesso all'uso e abuso di droghe, introdusse la distinzione tra spacciatore e consumatore e classificò le sostanze secondo criteri più scientifici. L'annunciata "depenalizzazione" mantenne però contorni assai vaghi. La legge conteneva, insomma, non pochi aspetti negativi e contraddittori, ma segnò comunque un cambiamento nonostante le ambiguità. I radicali, non senza polemiche all'interno del partito, diedero infine un giudizio moderatamente positivo basato sul fatto che l'iniziativa politica di Pannella aveva reso possibile l'approvazione di una legge che altrimenti avrebbe rischiato di attendere altri anni nei cassetti del Parlamento. La disobbedienza civile di Marco Pannella, infatti, non aveva avuto tanto l'obiettivo di ottenere una legge "radicale", quanto il rispetto delle regole e degli impegni parlamentari.
I '70 furono gli anni del terrorismo e delle leggi speciali con il quadro politico caratterizzato dal "compromesso storico" e dalla "solidarietà nazionale" con la quale il Pci entrò nell'area di governo. In questo clima pesante l'iniziativa sulle droghe passò in secondo piano ma non venne accantonata e tutti i congressi radicali di quegli anni produssero documenti e proposte. Il 17o congresso, per esempio, decise di promuovere iniziative nonviolente e di disobbedienza civile per modificare la legge del 1975 nel senso di una completa depenalizzazione del consumo personale. Il consiglio federativo del partito, lanciando una nuova campagna di dieci referendum, denunciò la drammatica inadeguatezza della normativa sulle droghe a contrastare il fenomeno del mercato clandestino e le inadempienze nella creazione delle strutture di cura e riabilitazione dei tossicodipendenti. Nella seconda metà degli anni '70, all'interno del mondo radicale, la discussione sulla legalizzazione delle droghe prosegui' in maniera assai
articolata. Se sulle droghe leggere la posizione favorevole alla legalizzazione era ormai acquisita e condivisa, sull'eroina la situazione restava più problematica. La divisione era fra chi sosteneva una riforma radicale della legge e chi mostrava disponibilità ad una maggiore mediazione, tra chi chiedeva forme di distribuzione sotto controllo medico e chi affermava il principio dell'autodeterminazione. Anche all'interno del gruppo parlamentare il dibattito fu assai vivace e Massimo Teodori venne incaricato di studiare l'intera questione.
Dopo l'ingresso in Parlamento per la prima volta nel 1976, nel 1979 i radicali ottennero un inatteso successo elettorale e un folto gruppo di parlamentari. In quello stesso anno i morti per eroina ufficialmente accertati furono 126, mentre le stime parlavano ormai di centomila tossicodipendenti. In ottobre tre esponenti radicali furono protagonisti di nuove disobbedienze civili. La scelta di essere "delinquenti", se delinquente è chi non obbedisce a leggi ingiuste e violente, era una scelta di metodo che disegnava, nella prassi, un progetto politico libertario. Jean Fabre, un obiettore di coscienza francese allora segretario del partito, durante una conferenza stampa fumò uno spinello per sollecitare una reale depenalizzazione delle droghe leggere, mentre Angiolo Bandinelli, consigliere comunale a Roma, nel corso di una seduta offri' spinelli ai colleghi. Entrambi arrestati e processati, alla fine vennero condannati ad una pena irrisoria con una sentenza che equivalse ad un'assoluzione. Forse per la prima v
olta un tribunale fu costretto a mettere discussione la politica sulle droghe e le sue conseguenze: i periti incaricati dai giudici di rispondere alle questioni poste dalla difesa, in base alle conoscenze scientifiche e alle esperienze di laboratorio, esclusero che la cannabis potesse produrre assuefazione e dipendenza fisica, parlarono della possibilità di una non meglio definita "dipendenza psichica" e conclusero che l'uso della cannabis non provocava mutamenti del carattere, nè danni permamenti ai consumatori. Grazie all'azione dei radicali, quindi, nel campo giuridico potè manifestarsi una delle prime aperture alle acquisizioni scientifiche in materia di droghe. Un'altro processo per la disobbedienza civile compiuta a Milano da Emiliano Silvestri, anche lui arrestato dopo aver fumato uno spinello in una conferenza stampa e trattenuto in carcere per una settimana, si concluse con l'assoluzione dell'imputato a cui furono riconosciute le motivazioni sociali particolarmente rilevanti dell'azione.
Nell'autunno del '79 i parlamentari radicali presentarono una proposta di legge per la legalizzazione delle droghe leggere, composta di soli due articoli, che cancellava dalla normativa ogni riferimento alla cannabis e ai suoi derivati. Un'ulteriore proposta di legge più articolata prevedeva l'eliminazione delle norme relative alle droghe leggere e l'introduzione di un sistema di somministrazione controllata delle sostanze stupefacenti per i tossicodipendenti. Il testo, frutto di un lungo lavoro preparatorio, puntava alla radicale riforma della legge del 1975 con l'obiettivo di colpire il business criminale delle droghe, combattere le morti per overdose e sottrarre i tossicodipendenti al mercato nero dando loro la possibilità di condizioni di vita non marginalizzate e non legate all'affannosa ricerca della sostanza. Il progetto venne presentato da dieci deputati radicali e da dieci deputati socialisti tra i quali Franco Bassanini, Giacomo Mancini, Claudio Martelli e Valdo Spini e raccolse le adesioni della
Uil, della Federazione giovanile socialista e di Lotta Continua, mentre i giovani comunisti vennero di fatto bloccati dai vertici del partito. Il Pci, infatti, accentuò l'impostazione moralista contraria alla legalizzazione della cannabis e alla distribuzione controllata dell'eroina e preannunciò una propria iniziativa legislativa. Per sostenere la loro proposta i radicali, nel gennaio 1980, lanciarono anche l'appello "Subito una legge per non morire" e si rivolsero alle forze politiche perchè si assumessero le loro responsabilità e discutessero rapidamente il progetto. L'appello venne sottoscritto da decine di politici, sindacalisti, magistrati, giornalisti, personalità della cultura e dello spettacolo. Per tre mesi, ad ogni seduta della Camera, i parlamentari radicali presentarono interrogazioni che riportavano nomi, cognomi e circostanze dei morti di overdose. Quella radicale, comunque, non fu l'unica proposta: in febbraio il Pdup presentò un suo progetto di revisione della legge caratterizzato però da u
n'impostazione ideologica che puntava l'attenzione più che altro sulle cause sociali del fenomeno.
Nella primavera del 1980 i radicali lanciarono una nuova campagna referendaria, la quarta in sei anni: dieci quesiti "contro i partiti dell'ammucchiata" tra cui c'era anche quello per la legalizzazione dei derivati della cannabis. La situazione era ben diversa da quella del decennio precedente: l'eroina era divenuta una tragica realtà che produceva morti e crimini. Attaccando l'immobilismo del Parlamento i radicali volevano ottenere norme capaci di colpire il traffico mafioso delle droghe e di dare risposte adeguate al problema della tossicodipendenza. Francesco Rutelli, ancora lontano dalla poltrona di sindaco di Roma e dalle frequentazioni vaticane, compi' una disobbedienza civile seminando cannabis nel parco romano di Villa Borghese. Parallelamente all'iniziativa referendaria e militante, i deputati radicali chiesero alla Camera la procedura d'urgenza per la discussione della proposta di legge e provvedimenti d'urgenza al ministro della Sanità Aldo Aniasi. Il ministro però si mostrò titubante, preoccupato
più che altro dell'imminenza delle elezioni amministrative. La Camera approvò la procedura d'urgenza, il Pci annunciò nuovamente un suo progetto e così fece la Dc, ma tutto rimase come prima. Il 2 dicembre la Cassazione dichiarò valide e sufficienti le firme raccolte per il referendum sulla legalizzazione delle droghe leggere, ma il 12 febbraio la Corte Costituzionale bocciò il quesito giudicandolo in contrasto con gli obblighi imposti dalle convenzioni internazionali.
L'8 agosto del 1984 Marco Pannella sul Corriere della Sera tornò a denunciare il regime proibizionista che garantisce profitti immensi rispetto a quelli di qualsiasi altra impresa legale o criminale al punto che l'intero sistema finanziario, politico e sociale rischia di esserne inquinato. La cosa si ripetè a Ferragosto del 1987 dalle colonne del quotidiano Il Tempo. Nei primi sei mesi dell'anno, i morti per eroina erano stati 209, il 40 per cento in più dell'anno precedente, ma altre cifre parlavano chiaro: la spesa complessiva per i derivati della cannabis era valutata 17.000 miliardi, 7.900 miliardi quella per l'eroina e 2.800 quella per la cocaina, tutti soldi destinati alle mafie della droga. Pannella rilanciò le sue accuse alle norme vigenti e propose la creazione di una lega antiproibizionista contro la droga e la criminalità.
L'articolo di Pannella, in un clima politico e sociale assai mutato rispetto agli anni '70, può essere considerato il punto di partenza di una nuova fase dell'iniziativa antiproibizionista radicale, quello dell'organizzazione politica. Il 34 congresso del partito, tenutosi a Bologna nel gennaio del 1988, decise di riprendere e sviluppare con forza la lotta contro il proibizionismo. In febbraio fu fondato il Cora (Coordinamento radicale antiproibizionista) con lo scopo di promuovere la riforma delle politiche sulle droghe. Nel luglio successivo un gruppo di radicali milanesi decise di riprendere l'iniziativa diretta nonviolenta, fondò una cooperativa e coltivò pubblicamente un campo di marijuana. Un mese dopo i deputati radicali depositarono una nuova proposta di legge per legalizzare la produzione, il commercio e l'uso della canapa indiana in quanto "non droga". I radicali, anche sulla base delle conoscenze scientifiche, ritenevano ormai non più rinviabile la revisione della disciplina stabilita dalla legge
del 1975 e intendevano compiere un primo passo nell'adeguamento della legislazione all'evoluzione sociale del Paese, convinti dell'inutilità di continuare a considerare delinquenziali o devianti comportamenti rientranti nella sfera dei diritti individuali. Dal 28 settembre al 1 ottobre del 1988 il Partito radicale ed il Cora organizzarono a Bruxelles un convegno internazionale sui costi del proibizionismo a cui parteciparono economisti, sociologi, criminologi, magistrati, medici e politici provenienti da Europa, Stati Uniti, Australia e Canada. Il convegno segnò l'avvio di una concreta prospettiva politica di riforma delle politiche sulle droghe: nell'arco dei quattro giorni si confrontarono posizioni anche assai distanti sulle misure da adottare, ma la discussione indicò alcuni punti fermi attorno ai quali lanciare una campagna antiproibizionista internazionale.
Il 1988 fu l'anno in cui il Psi di Bettino Craxi diede il via alla crociata contro "la droga", diventata improvvisamente la nuova emergenza nazionale. Forse preoccupato da possibili iniziative giudiziarie che avrebbero potuto coinvolgere il partito, e contraddicendo una lunga tradizione garantista e libertaria, Craxi importò in Italia i dettami della "war on drugs" reaganiana. I radicali furono tra i primi a mobilitarsi contro quello che si andava preparando ed in dicembre presentarono una proposta di legge per la regolamentazione legale delle sostanze psicoattive alternativa sia alla normativa in vigore, sia alla proposta del governo. Il progetto era incentrato su misure capaci di eliminare il mercato illegale senza entrare nelle questioni relative alla prevenzione ed alla cura delle tossicodipendenze sulle quali fu annunciata una seconda apposita proposta. Questa scelta fu una precisa risposta al riemergere di concezioni illiberali ed autoritarie che volevano assegnare allo Stato compiti "etici". I punti q
ualificanti erano: la legalizzazionee di tutte le sostanze psicoattive, la loro riclassificazione con l'inclusione degli alcoolici superiori a 20 gradi, dei tabacchi e della canapa indiana, l'introduzione nella farmacopea dell'eroina e della cocaina, la disponibilità delle sostanze psicoattive in farmacia dietro prescrizione medica (esclusi alcoolici, tabacchi e canapa indiana), la somministrazione controllata e protratta ai tossicodipendenti. Gli obiettivi erano di stroncare il traffico di droghe e le organizzazioni criminali che vi prosperano, creare condizioni tali per cui i tossicodipendenti non dovessero ricorrere a reati ed atti di violenza per reperire il denaro necessario all'acquisto delle sostanze, migliorare le loro condizioni di vita e di salute, ridurre drasticamente le morti per overdose, affrontare il problema della diffusione dell'Aids.
Il disegno di legge del governo, sostenuto da una massiccia campagna di propaganda, era al contrario quanto di peggio si potesse pensare: punibilità anche per i semplici consumatori, "dose media giornaliera" come discrimine rigido tra consumatori e spacciatori, limitazione della potestà terapeutica dei medici con l'obbligo di segnalazione dei pazienti tossicodipendenti, restrizione delle terapie farmacologiche, introduzione del concetto di "illiceità" del consumo di droghe. Il meccanismo insensato e privo di basi scientifiche della "dose media giornaliera" liquidava uno dei capisaldi del diritto penale, e cioè che l'onere della prova spetta all'accusa. In base a questa norma si poteva rischiare la galera per ventimila lire di marijuana e finire davanti al prefetto con duecentomila lire di eroina. Odiose erano poi le norme che limitavano la libertà terapeutica dei medici, i quali non erano più liberi di curare i loro pazienti tossicodipendenti secondo "scienza e coscienza", ma venivano assoggettati all'autori
tà del ministro della Sanità che stabiliva le modalità e i limiti per l'impiego dei farmaci.
Di fronte ad una tale proposta, illiberale, ingiusta, pericolosa e illusoria divenne urgente dar vita ad una iniziativa politica che riunisse un vasto schieramento in grado di opporsi alla sua approvazione. All'inizio del 1989 i radicali lanciarono, dunque, una campagna contro il disegno di legge del governo e organizzarono una manifestazione alla Camera dei Deputati con la partecipazione di parlamentari, magistrati, medici, studiosi ed operatori del settore. In marzo, per iniziativa del Partito radicale e del Cora, al termine di un convegno internazionale ospitato dalla Camera, con l'incoraggiamento ed il sostegno del premio Nobel Milton Friedman, nacque la Lega internazionale antiproibizionista. Al convegno presero parte esperti provenienti da Europa, Canada, Stati Uniti e Sud America. In aprile, sette mesi prima della caduta del muro di Berlino, sisvolse a Budapest il 35o congresso del Partito radicale che approvò la scelta "transnazionale" e "transpartitica" già indicata l'anno prima dal congresso di Bol
ogna. I radicali dovettero prendere atto di come Craxi ed il suo Psi fossero divenuti i paladini del più intransigente proibizionismo dopo che negli anni passati, in molte occasioni, in tema di diritti civili e di ordine pubblico i socialisti erano stati interlocutori privilegiati e spesso alleati. In giugno si tennero le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo: per la prima volta dal '76 il Partito radicale, divenuto "transpartito", non si presentò "in quanto tale" con il proprio simbolo ad una competizione elettorale. La "Lista antiproibizionista contro la criminalità politica e comune" ottenne l'elezione di Marco Taradash, allora segretario del Cora, mentre alle elezioni regionali del maggio 1990 le liste antiproibizioniste conseguirono un insperato successo che si aggiungeva all'elezione di Marco Pannella, nell'ottobre precedente, al consiglio comunale di Roma. Durante la campagna elettorale per le amministrative il Cora diffuse una "Carta degli impegni comuni delle Regioni e della Amministrazioni
locali" per dimostrare la possibilità di impiegare con successo le proposte di politica antiproibizionista attiva. Il documento chiedeva, infatti, l'attivazione di unità di strada, l'apertura no-stop dei servizi pubblici per le tossicodipendenze, la disponibilità di tutti i farmaci sostitutivi, l'avvio di centri-pilota per la somministrazione controllata di eroina, interventi immediati nelle carceri.
I radicali si opposero risolutamente alla nuova legge sulla droga, dentro e fuori il Parlamento, tentando di organizzare convergenze con chi, tra i cattolici e i comunisti, non ne condivideva l'impostazione repressiva. In Parlamento il Pci non riuscì e non volle prendere una posizione netta contro la nuova normativa sostenendo il rafforzamento delle misure punitive nei confronti del traffico di droga. L'estrema sinistra, d'altra parte, grazie anche ai suoi vizi ideologici, non seppe fare molto oltre l'organizzazione di "spinellate di massa" poco concludenti sul piano politico e di tutt'altro spirito rispetto alle disobbedienze civili dei radicali. I democristiani misero da parte la loro tradizione solidaristica, anche sulla spinta delle comunità terapeutiche che miravano alle sovvenzioni previste dal progetto di legge governativo. I laici furono una volta di più assai poco influenti, incapaci di elaborare una linea autonoma schiacciati com'erano sull'asse Dc-Pci. Il dibattito fu schiacciato soprattutto sull'
alternativa fra punibilità e cura, senza considerare i consumatori che non hanno alcun problema di dipendenza, come la quasi totalità dei fumatori di droghe leggere. Craxi riuscì così a far prevalere il suo diktat proibizionista sulle altre forze politiche le quali, nei fatti, imposero al Paese con cinismo quella demagogica e dissennata campagna.
Il 10 giugno, infine, la Camera approvò la nuova legge che entrò in vigore il 26 successivo, giornata mondiale contro "la droga" che fu trasformata in un tutto indistinto intrinsecamente e oggettivamente diverso dalle sostanze psicoattive legali. I sostenitori della legge avevano giurato sul carattere umanitario e salvifico della nuova normativa, ma, com'era facile prevedere, appena sei mesi dopo l'entrata in vigore essa già manifestava tutti i vizi, i limiti e le contraddizioni ampiamente descritti, previsti e denunciati dai suoi oppositori. A fine '90 i decessi furono 160 in più dell'anno precedente, l'anno della pretesa "emergenza droga". I detenuti, che nel 1990 erano trentamila, solo tre anni divennero cinquantamila.
L'approvazione della nuova legge sulla droga, pur rappresentando un ostacolo, non frenò la battaglia antiproibizionista radicale che cominciò, anzi, ad assumere un carattere transnazionale, nella convinzione che su questa come su altre grandi questioni globali fosse ormai indispensabile agire con una strategia che andasse oltre i confini e le istituzioni nazionali. Anche per questo a novembre del 1990 Emma Bonino e Marco Taradash si fecero arrestare a New York mentre distribuivano siringhe sterili ai tossicodipendenti per attirare l'attenzione sul rischio di diffusione dell'Aids tramite lo scambio di siringhe usate che in molti stati degli Usa non si potevano detenere senza ricetta medica. All'udienza preliminare il giudice propose come pena un servizio sociale consistente in una giornata di pulizia della metropolitana di Roma. Bonino e Taradash rifiutarono dichiarando invece la loro disponibilità a distribuire siringhe sterili ai tossicodipendenti nelle vie di New York. Al processo, il 15 aprile successivo,
il giudice accolse la richiesta di proscioglimento avanzata dall'accusa impedendo un dibattimento che avrebbe dato voce agli esperti provenienti dalle città europee e americane dove da anni le autorità promuovevano e finanziavano programmi sanitari per il contenimento dell'epidemia di Hiv. Conclusa l'udienza Bonino e Taradash ripresero la distribuzione di siringhe, ma al nuovo processo il tribunale, piuttosto di rischiare un dibattimento che avrebbe dimostrato l'insensatezza e la pericolosità del divieto di libera circolazione delle siringhe sterili, decise di non procedere nei loro confronti comunicando che nel caso avessero ripetuto l'azione il procedimento sarebbe stato ogni volta archiviato senza essere preso in considerazione.
Sul finire del 1990 alcune città del nord Europa si erano riunite a Francoforte per definire uno scambio permanente di esperienze e collaborazione: da quel primo incontro scaturì un documento, la "Risoluzione di Francoforte", che rappresenta una sorta di manifesto della strategia di "riduzione del danno". I firmatari chiesero la decriminalizzazione del consumo di droghe, la separazione del mercato della cannabis da quello delle altre droghe illegali, la distribuzione di siringhe sterili per prevenire l'Aids, la somministrazione controllata dell'eroina, l'apertura di stanze dove i tossicodipendenti potessero assumere droghe in condizioni igieniche adeguate e con l'assistenza di personale sanitario: misure compatibili anche con una politica proibizionista capace però di prendere atto che il tentativo di eliminare il consumo di droghe è fallito e che quindi occorre trovare forme di convivenza con il fenomeno diminuendo il più possibile i rischi e le conseguenze per la società. I radicali si impegnarono per diff
ondere il documento in Italia e promuovere l'adesione delle nostra amministrazioni e alla seconda conferenza svoltasi nel novembre del '91 a Zurigo presero parte anche i rappresentanti di alcune città italiane.
A gennaio del 1991 si tenne il convengo internazionale "Proibizionismo e antiproibizionismo sulle droghe" organizzato dal Cora e dalla Libre Universitè di Bruxelles, mentre a marzo il 3o congresso del Cora, svoltosi a Milano, decise di promuovere azioni legali contro la nuova legge sulla droga. Questo impegno ottenne un primo successo a giugno, quando il Tar della Lombardia accolse il ricorso del dottor Giorgio Inzani, della dottoressa Maria Grazia Fasoli e di due cittadini tossicodipendenti, tutti sostenuti dal Cora, contro il decreto del ministro della sanità De Lorenzo che aveva limitato l'impiego dei farmaci sostitutivi dell'eroina. Il tribunale restituì ai medici il diritto di decidere la terapia più appropriata, ma soprattutto per la prima volta due cittadini tossicodipendenti si fecero avanti chiedendo il rispetto dei loro diritti: era un primo importante risultato che apriva la possibilità di ulteriori analoghi ricorsi in tutta Italia.
In settembre il consiglio generale del Cora, convocato a Bologna, a poche settimane dall'assassinio di Libero Grassi, ospitò un convegno dal titolo "Antimafia? Antiproibizionismo!" con la partecipazione di parlamentari, magistrati e giuristi.
Su proposta di Marco Pannella, il consiglio generale decise di promuovere un referendum per abrogare le parti più repressive della legge sulla droga. Pannella insistette sulla necessità di suscitare, come ai tempi delle battaglie sul divorzio e sull'aborto, un grande confronto nel paese dimostrando che i cittadini erano più avanti della partitocrazia che aveva imposto la legge "Jervolino-Vassalli": le forze politiche e i loro leader avrebbero dovuto schierarsi con il "sì" o con il "no" e si sarebbe potuto constatare se davvero le decisioni del Parlamento rappresentavano il volere della maggioranza dei cittadini.
Il referendum, inserito in un nuovo pacchetto di quesiti "contro la partitocrazia", raccolse l'adesione di parlamentari, personalità della cultura, sindacalisti, operatori ed esperti delle tossicodipendenze, esponenti del volontariato e leader di comunità terapeutiche. Non era un'iniziativa antiproibizionista in senso stretto, non puntava alla legalizzazione delle droghe, ma all'abrogazione delle parti più repressive della legge. Una preoccupazione dei promotori, sulla scorta delle esperienze passate, fu quella di evitare di offrire alla Corte Costituzionale il pretesto per bocciare la richiesta perchè in contrasto con le convenzioni internazionali ratificate dall'Italia.
Nella primavera del 1992 si svolsero le elezioni politiche alle quali, per la prima volta, si presentò la "Lista Pannella", unico partito dichiaratamente e programmaticamente antiproibizionista. Durante la campagna elettorale i radicali ricorsero nuovamente a iniziative di disobbedienza civile: per varie domeniche tennero manifestazioni davanti alle prefetture di venti città italiane dove fumarono spinelli autodenunciandosi alla polizia. Queste azioni suscitarono molte polemiche e riaccesero il dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere e sulla legge Jervolino-Vassalli. Prima della pausa estiva il Parlamento, già scosso dal terremoto di "Tangentopoli", votò a larghissima maggioranza una mozione che impegnava il governo ad aprire, in sede nazionale e internazionale, il confronto sui costi ed i benefici delle politiche sulle droghe. I radicali indicarono le cose che era possibile fare da subito: sperimentare la distribuzione controllata di eroina, rendere disponibili il metadone e gli altri farmaci so
stitutivi, legalizzare la cannabis, abolire il meccanismo della "dose media giornaliera", interventi urgenti per i tossicodipendenti detenuti. Se il documento parlamentare restò lettera morta, alcuni tragici fatti di cronaca, i suicidi in carcere di alcuni giovani arrestati per pochi grammi di "fumo", mostrarono con tutta evidenza la follia della legge approvata solo due anni prima. La polemica si infiammò a tal punto che il ministro della Giustizia Claudio Martelli fu costretto ad emanare un provvedimento d'urgenza che modificava i termini della carcerazione.
Nel novembre successivo il governo presieduto da Giuliano Amato varò una dura manovra economica suscitando la protesta dei sindacati e del Pds. Pannella sostenne invece l'operato del governo e accusò i sindacati di essere i responsabili del dissesto che rendeva necessaria la "stangata" per salvare l'economia nazionale. In cambio dell'appoggio parlamentare Pannella propose ad Amato un accordo che comprendeva anche alcuni provvedimenti in materia di droghe che andavano nel senso richiesto dal referendum. Al termine di un incontro con i deputati radicali Amato, sconfessando la legge fortemente voluta dal suo stesso partito, dichiarò la sua contrarietà alle sanzioni penali e si impegnò a evitare il carcere ai consumatori di drgoghe e ai tossicodipendenti. Il Pds, che aveva aderito alla raccolta di firme (con un impegno che nei fatti fu inferiore alle dichiarazioni ufficiali), attaccò duramente Pannella e i radicali accusandoli di aver svenduto il referendum per un piatto di lenticchie. Nello stesso mese di novem
bre, grazie all'impegno radicale, si tenne a Bologna la conferenza delle città firmatarie della "Risoluzione di Francoforte": al termine dei lavori, svoltisi tra le aspre contestazioni guidate da Vincenzo Muccioli, anche varie amministrazioni comunali italiane sottoscrissero il documento. Nel mese precedente, inoltre, il Cora aveva riportò un nuovo successo nella battaglia contro il decreto De Lorenzo sul metadone. Il tribunale di Milano, infatti, riconoscendo il diritto prioritario alle cure, accolse il ricorso contro la sospensione della terapia farmacologia ad una ragazza tossicodipendente e sieropositiva. Infine, i radicali misero a segno un colpo importante contro la propaganda che continuava a magnificare i successi della nuova legge sulla droga. Fin dalla sua fondazione il Cora aveva dato vita al proprio interno all'Osservatorio delle leggi sulla droga con lo scopo di studiare l'impatto delle leggi sulla dinamica dei fenomeni legati alla diffusione delle droghe. Fu proprio grazie al lavoro dell'Old, d
iretto dalla professoressa Carla Rossi, che verso la fine dell'anno il Cora riuscì a dimostrare la falsità dei dati pubblicati nei rapporti ufficiali del Governo e denunciò l'uso strumentale del numero dei morti per droga. Diversi giornali diedero la notizia con evidenza. Il ministro Jervolino, per bocca del suo portavoce, tentò di accusare i radicali di speculazione politica sui morti, ma non seppe confutare, nè rispondere in maniera convincente alle contestazioni del Cora.
A gennaio del 1993 il Governo Amato emanò il decreto che attenuava le sanzioni penali per i consumatori di droghe. Come i radicali avevano sostenuto, non superò affatto il referendum che infatti la Corte Costituzionale pochi giorni dopo dichiarò ammissibile. Nelle settimane seguenti la campagna referendaria fu segnata dallo scontro acceso tra i promotori del referendum e coloro che si ostinavano a difendere la legge in tutti i suoi aspetti: al di là della sua letteralità il quesito assunse alla fine il significato di un giudizio complessivo sull'intera "filosofia" della legge. Il 18 aprile, infine, segnò la vittoria del "Sì" e quindi l'abrogazione delle parti più repressive e assurde della legge sulla droga.
Dopo il voto nacque una polemica attorno al presunto vuoto legislativo creato dal risultato referendario che occorreva colmare con un intervento parlamentare. La questione, che divise al suo interno lo stesso Governo, fu dibattuta alla prima conferenza nazionale sulla droga che si svolse a Palermo in giugno. Prima di questo appuntamento il Cora incontrò i ministri degli Affari sociali, della Giustizia e della Sanità per chiedere l'attuazione del risultato referendario e scongiurare interventi che ne stravolgessero il significato. I radicali chiesero che l'Italia facesse finalmente propria la strategia di "riduzione del danno" che l'esito del referendum aveva chiaramente indicato e fu proprio l'allora ministro degli Affari sociali Fernanda Contri, nel discorso di chiusura della conferenza di Palermo, a dare pubblicamente atto al Cora di avere lavorato per primo per diffondere anche in Italia questa nozione. Nonostante questo, tre mesi dopo la consultazione il Cora dovette sollecitare il ministro della Sanità
a dar corso al risultato referendario che aveva abrogato le restrizioni alle cure farmacologiche, consentendo finalmente ai medici di base di prescrivere liberamente il metadone senza rischiare conseguenze. I radicali, inoltre, chiesero che fossero al più presto rese disponibili altre terapie farmacologiche, già disponibili in altri Paesi dell'Unione europea ma non autorizzate in Italia, e sollevarono il caso del dottor Ignazio Marcozzi Rozzi, medico da anni impegnato nell'assistenza ai tossicodipendenti, che chiedeva di poter utilizzare morfina per un proprio paziente.
Nel luglio del 1993 si riunì a Sofia, in Bulgaria, il consiglio generale del Partito radicale. Risolta la grave crisi economica con la straordinaria campagna che in tre settimane aveva raccolto oltre trentamila iscrizioni e dopo il successo referendario, Emma Bonino, eletta segretaria dal congresso tenutosi in febbraio, indicò le priorità dell'iniziativa transnazionale dei radicali, tra le quali vi erano le droghe e l'Aids, in una situazione in cui si constatava l'incapacità dei maggiori governi di prefigurare un ordine mondiale fondato sulla giustizia, sul diritto e sulla capacità di garantire sicurezza e sviluppo. Il fallimento del proibizionismo e della sua "guerra alla droga" imponeva ai radicali la priorità della battaglia antiproibizionista, ma per far questo occorreva attaccare gli strumenti giuridico-istituzionali che determinano quella politica, cioè le convenzioni internazionali sugli stupefacenti e le sostanze psicotrope. Emma Bonino indicò due possibili linee di intervento tra loro complementari:
da una parte la denuncia delle convenzioni e le proposte di emendamento che gli Stati potrebbero avanzare per aprire una procedura di revisione in grado di portare ad un nuovo negoziato in sede Onu; dall'altra la massima attenzione e il sostegno alle strategie di "riduzione del danno" tenendo presente anche i riflessi positivi che queste hanno sulla lotta contro l'Aids. Secondo Emma Bonino la necessità di modificare le convenzioni era resa necessaria anche dal risultato del referendum che, abrogando le sanzioni penali relative all'uso degli stupefacenti e l'illiceità dell'uso personale, aveva creato una sostanziale incompatibilità con la convenzione del 1961. Il consiglio generale accolse queste proposte e decise di coordinare e sollecitare energie e iniziative per la denuncia o la modifica delle convenzioni internazionali proibizioniste in direzione di una nuova politica di lotta al crimine capace di spezzare la spirale "più polizia, più narcotraffico" e della politica di riduzione del danno come si era an
data definendo nell'esperienza delle città firmatarie della "Risoluzione di Francoforte".
In novembre, il Cora avviò la raccolta di firme su di una proposta di legge di iniziativa popolare per la riforma della legge sulla droga, la legalizzazione della cannabis e la somministrazione controllata di eroina. Il progetto prevedeva, tra l'altro, la tutela della libertà di cura, il controllo sui finanziamenti pubblici alle strutture private e sul loro impiego, la riforma dell'osservatorio governativo sul fenomeno droga e la pubblicità di tutti i dati raccolti, la creazione di sportelli di informazione per i cittadini, la tutela del lavoro degli ospiti di comunità terapeutiche. Una volta di più, dunque, i radicali elaborarono proposte concrete per governare il fenomeno delle droghe illegali offrendo ai cittadini uno strumento di democrazia diretta. La proposta sarà depositata nel maggio '94 alla Camera dei Deputati con le firme di oltre cinquantamila cittadini, ma dopo sei anni e mezzo il Parlamento non ha ancora trovato il modo di discuterle dimostrando il disprezzo della volontà popolare da parte dell
e forze politiche. Nel novembre 1993, invece, in occasione delle elezioni amministrative in cui per la prima volta i sindaci venivano eletti direttamente dai cittadini, il Cora rilanciò ai candidati il progetto per la creazione di agenzie comunali sulle tossicodipendenze.
All'inizio del 1994 l'annuncio di un accordo politico tra Pannella e Berlusconi, in vista delle elezioni politiche anticipate della primavera successiva, provocò un durissimo attacco della sinistra ai radicali che vennero accusati di "tradire" e "svendere" l'antiproibizionismo per ragioni elettorali. In questo clima di isolamento si tenne a Genova il quinto congresso del Cora che rifiutò con decisione questi attacchi settari, pretestuosi e infondati, che indebolivano il fronte antiproibizionista. I radicali decisero di impegnarsi nella denuncia delle convenzioni internazionali sulle droghe, nel sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare, nella difesa del referendum, nella promozione di progetti sperimentali di distribuzione controllata di eroina e di creazione delle agenzie comunali per le tossicodipendenze. La realtà degli anni seguenti ha dimostrato quanto quegli attacchi fossero gratuiti e strumentali, ma la spaccatura del fronte antiproibizionista provocata nel 1994 e mai più ricomposta ha i
mpedito di fare della vittoria referendaria del '93 il volano di una concreta riforma della politica sulle droghe nel nostro paese e di un'iniziativa a livello internazionale per la denuncia delle convenzioni sulle droghe. Al contrario, quattro governi di centro-sinistra, nonostante alcune dichiarazioni ottimiste, oltre a non portare cambiamenti significativi nella politica sulle droghe, si sono caratterizzati per la promesse non mantenute, i ritardi e le ipocrisie.
Nel mese di febbraio 1994, rilanciò l'iniziativa per la piena attuazione all'esito del referendum. L'allora segretario del Cora Maurizio Turco digiunò per diciotto giorni, sostenuto dal digiuno a staffetta di oltre cinquanta tossicodipendenti in tutta Italia, per ottenere dal governo che i tossicodipendenti potessero disporre di tutte le terapie e di tutti i farmaci utili, in tutte le preparazioni esistenti e in tutte le strutture, pubbliche e private. Dopo un incontro con il ministro Maria Pia Garavaglia, gli esperti del Cora furono invitati a partecipare alla definizione delle linee-guida per il trattamento delle tossicodipendenze.
A maggio il Partito radicale, il Cora e la Lega internazionale antiproibizionista organizzarono a Roma un seminario internazionale sulla revisione delle convenzioni internazionali a cui parteciparono esponenti del mondo scientifico, politico e culturale provenienti dall'Europa, dall'ex-Urss, dal Nord e dal Sud America. Al termine dei lavori si costituì un "Comitato internazionale di parlamentari e cittadini" e venne redatta una proposta di mozione parlamentare che chiedeva ai governi di denunciare i trattati in modo tale da provocare la convocazione di una conferenza internazionale per una regolamentazione legale delle droghe capace di porre fine al narcotraffico.
Le elezioni politiche svoltesi in marzo, le prime con la nuova legge parzialmente maggioritaria, videro la vittoria del centro-destra riunito nel "Polo delle Libertà". In giugno, con il "contratto di maggioranza" firmato dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e da Marco Pannella, il Governo si impegnò a convocare una conferenza internazionale per valutare costi e benefici delle politiche sulle droghe e discutere le ipotesi concrete di revisione delle convenzioni dell'Onu. Quanto poco il Governo Berlusconi intendesse tuttavia rispettare gli impegni lo si capì ben presto e mentre in altri Stati dell'Unione europea si cominciò a prendere in seria considerazione i positivi risultati dell'esperienza svizzera di somministrazione di eroina sotto controllo medico, n Italia il governo Berlusconi, con il suo ministro degli Affari sociali Antonio Guidi, dimostrò giorno dopo giorno tutta la sua inadeguatezza. Nell'estate di quello steso anno a Trieste solo la tempestiva iniziativa del Cora e di alcuni medici ant
iproibizionisti ottenne l'intervento del prefetto per garantire la fornitura di metadone alle farmacie che ne erano rimaste sprovviste scongiurando pesanti ripercussioni sulla salute dei tossicodipendenti in terapia. Qualche risultato i radicali riuscirono però ad ottenerlo. Nel mese di ottobre, infatti, il ministro della Sanità Raffaele Costa emanò le nuove linee-guida per il trattamento dei tossicodipendenti con farmaci sostitutivi che, nonostante aspetti contraddittori e una certa dose di moralismo, accolsero in parte le proposte avanzate dal Cora sulla scorta delle evidenze scientifiche frutto di oltre trent'anni di sperimentazione internazionale. Verso la fine dell'anno il Governo Berlusconi fu infine costretto alle dimissioni dal "ribaltone" provocato dalla Lega Nord che ruppe l'alleanza con il Polo.
Il consiglio generale del Cora che si riunì in dicembre a Napoli in un clima di pesante isolamento e di difficoltà finanziarie fece appello nuovamente a tutte le forze politiche per avviare la discussione delle proposte di legge depositate in Parlamento. Pannella propose di chiedere a Vincenzo Muccioli di ospitare il congresso del Cora alla comunità di San Patrignano, in quel periodo investita da roventi polemiche a causa del processo agli esponenti della comunità responsabili della morte di un ospite in seguito ad un pestaggio. I radicali rifiutarono di entrare nella polemica tra innocentisti e colpevolisti e rilanciarono, invece, la questione delle verifiche sull'uso dei fondi pubblici, sui metodi di recupero e sulla preparazione degli operatori delle comunità terapeutiche. Il Cora chiese inoltre di procedere contro coloro che non avevano controllato l'utilizzo delle centinaia di miliardi stanziati dallo Stato e che avevano avallato metodi terapeutici privi di validità scientifica.
La proposta del congresso del Cora a San Patrignano era solo apparentemente provocatoria: di certo scandalizzò chi dell'antiproibizionismo conserva una visione ideologica e ai cui occhi apparve come la prova della definitiva svendita di una delle più rappresentative battaglie radicali, la cambiale che Pannella pagava per la nomina di Emma Bonino a commissario europeo da parte del Governo Berlusconi. Il congresso, comunque, si svolse regolarmente: decise di promuovere in tempi brevi un referendum per la legalizzazione delle droghe leggere e ribadì l'impegno per la discussione delle proposte di legge depositate in Parlamento, per la difesa del referendum del '93, per la denuncia delle convenzioni internazionali sulle droghe e il sostegno a programmi sperimentali di somministrazione controllata di eroina. Il quesito sulle droghe leggere, inserito in una più articolata campagna referendaria, avrebbe potuto essere l'occasione di una grande iniziativa antiproibizionista, ma i radicali furono lasciati soli.
Nel mese di marzo 1995 i deputati radicali depositarono alla Camera la mozione per la revisione delle convenzioni internazionali sulle droghe che era stata elaborata a seguito del seminario internazionale dell'anno precedente. Vennero depositati, inoltre, vari emendamenti al decreto legge sulle tossicodipendenze, la cui emblematica vicenda meriterebbe un racconto a parte: un provvedimento che dettava varie disposizioni in merito al trattamento delle tossicodipendenze, all'organizzazione dei servizi pubblici ed al finanziamento delle comunità, passato attraverso una ventina di successive reiterazioni e molte modifiche fino a decadere definitivamente alla fine nel 1997 per essere poi ripreso in parte dalla cosiddetta "legge Lumia" approvata nel gennaio del 1999. Il Cora, con la collaborazione dei parlamentari radicali, si impegnò particolarmente contro le disposizioni che, in contrasto con il risultato referendario del '93, limitavano l'utilizzo del metadone e rilanciò la proposta di sperimentare la somministr
azione controllata di eroina sull'esempio svizzero, mentre i senatori Riformatori Sergio Stanzani e Francesca Scopelliti presentarono un progetto di legge identico alla proposta di iniziativa popolare depositata l'anno prima alla Camera.
Nell'agosto del 1995 la riviera romagnola fu teatro di operazioni di polizia contro i consumatori di droghe, soprattutto leggere, in seguito alla quali decine di persone vennero fermate e denunciati. A Rimini, in particolare, gli agenti arrestarono un gruppo di persone perchè una di loro era stata trovata in possesso di 1,8 grammi di hashish. Questi fatti convinsero Marco Pannella che era necessario passare nuovamente alla fase delle disobbedienze civili contro una legge che quotidianamente calpesta il Diritto e i diritti dei cittadini, in particolare contro l'articolo 73 che punisce chi cede o riceve "a qualunque titolo" sostanze illegali. Una norma assurda che colpisce migliaia di consumatori spesso ignari delle conseguenze penali cui vanno incontro per il solo fatto di essersi passati una "canna". Occorreva dunque denunciare questa follia, fare esplodere le contraddizioni delle legge proprio nei luoghi, le aule dei tribunali, dove essa mostra il suo volto più feroce. In un clima politico pesante, nel qual
e una seria discussione sulla politica delle droghe non riusciva ad avere spazio, Marco Pannella ritenne giunto il momento di passare ad una nuova stagione di lotte nonviolente che mettesse all'ordine del giorno del Paese il superamento del regime proibizionista. La prima di queste nuove azioni di disobbedienza civile avvenne a Roma, al mercato di Porta Portese, il 27 agosto 1995 nel pieno della raccolta delle firme per diciotto referendum. Oltre a Marco Pannella, l'azione fu compiuta da altri cinque dirigenti radicali che distribuirono gratuitamente hashish e marijuana, si autodenuciarono, vennero fermati e denunciati: Rita Bernardini, Benedetto Della Vedova, Vittorio Pezzuto, Mimmo Pinto e Paolo Vigevano. L'azione di agosto fu seguita a fine anno da altre due analoghe iniziative con protagonista il solo Marco Pannella: il 28 dicembre nel corso della trasmissione televisiva "L'Italia in diretta" condotta da Alda D'Eusanio su Rai Due, dove consegnò alla conduttrice un panetto di hashish suscitando un putifer
io di proteste e di polemiche, ed il giorno seguente a piazza Navona, ad un tavolo dove si raccoglievano le firme per una nuova iniziativa referendaria.
Nel gennaio 1996 il 7o congresso del Cora decise di tentare la propria riorganizzazione rilanciando a livello internazionale le iniziative e gli obiettivi prodotti dall'esperienza antiproibizionista radicale in Italia. Qualche settimana dopo il Cora-Belgique lanciò un appello per la legalizzazione firmato da esponenti politici, medici, giuristi, personalità della cultura e del mondo accademico. Successivamente al Parlamento europeo, sempre grazie all'iniziativa dei radicali, nacque, con l'adesione di eurodeputati appartenenti a diversi gruppi politici, "Parliamentarians for antiprohibitionist action" per la revisione delle Convenzioni internazionali in materia di droghe che nell'autunno successivo depositò una raccomandazione che invitava gli Stati membri dell'Ue a rendere più efficace la lotta contro il narcotraffico stabilendo una nuova regolamentazione per la cannabis, abolendo le sanzioni previste per i consumatori e consentendo la prescrizione medica dell'eroina.
Al Parlamento italiano, invece, le cose procedevano in maniera contraddittoria. All'inizio dell'anno i senatori radicali riuscirono a far approvare dalla commissione Sanità un emendamento a favore della somministrazione controllata di eroina che però venne subito dopo bocciato dall'aula di Palazzo Madama. In quello stesso periodo due importanti città italiane, Torino e Roma, grazie all'iniziativa dei radicali decisero di avviare la costituzione di agenzie comunali per le tossicodipendenze. A luglio la Camera approvò un emendamento al già citato decreto sulle tossicodipendenze, giunto per l'ennesima volta alla discussione in aula, che proibiva ai medici privati l'uso del metadone annullando in un colpo il risultato del referendum del '93. Il Cora rispose lanciando un appello ai senatori perchè non confermassero il voto della Camera, chiese un incontro urgente col ministro della Solidarietà sociale Livia Turco e, in quanto comitato promotore del referendum, minacciò di sollevare un conflitto di attribuzione tr
a poteri dello Stato. Si attivarono il senatore della Lista Pannella Pietro Milio e il deputato verde Paolo Cento mentre Carmelo Palma, allora coordinatore nazionale del Cora, iniziò un digiuno. Il consiglio generale del Movimento dei Club Pannella chiese al ministro della Solidarietà sociale di incontrare urgentemente una delegazione radicale: il Governo, però, reiterò il decreto nella formulazione approvata dalla Camera. Carmelo Palma si rivolse anche al presidente della repubblica Scalfaro senza ottenere risposta e ci vollero sette giorni di digiuno perchè i radicali ottenessero finalmente di incontrare il ministro che propose una mediazione garantendo la salvaguardia delle terapie metadoniche non comprese nell'ambito di applicazione del decreto riconoscendo la necessità di dare compimento al referendum del '93. Il mese seguente nuovo episodio della vicenda: la commissione Sanità del Senato mise nuovamente mano al decreto e abolì l'emendamento "anti metadone" restituendo ai medici la potestà terapeutica r
iconquistata con il referendum del 1993.
In settembre il consiglio comunale di Torino approvò un ordine del giorno presentato dal consigliere radicale Carmelo Palma che denunciava il fallimento del proibizionismo, chiedeva la legalizzazione delle droghe leggere e proponeva Torino come sede per la sperimentazione della somministrazione controllata di eroina. Grazie alla mobilitazione dei radicali in molti comuni, provincie e regioni nelle settimane successive vennero presentati documenti analoghi a quello torinese e molti furono approvati. L'iniziativa riaprì il dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere e la somministrazione controllata di eroina e suscitò polemiche accesissime: il leghista Borghezio, durante un comizio, arrivò a definire "delinquenti" e "grandi figli di puttana" i ventidue consiglieri comunali torinesi che avevano approvato l'ordine del giorno. Nelle settimane successive lo "scandalo" fu comunque inghiottito in un silenzio a cui concorsero anche molti di coloro che pure avevano patrocinato il documento, al punto che, di l
ì a qualche mese, nel rinnovo dell'Amministrazione Comunale di Torino, quella proposta antiproibizionista fu sostanzialmente "ritrattata" anche dalla maggioranza che l'aveva sostenuta e approvata. Così, una posizione seria e argomentata fu degradata a "posizione di coscienza" affidata alla "libertà di coscienza", comodo paravento che in Italia serve sempre a disinnescare le proposte che non devono diventare decisioni politiche.
In dicembre il Cora tenne il proprio 8o congresso a Bruxelles, all'interno del Parlamento europeo, riunendo i rappresentanti di gruppi antiproibizionisti provenienti da vari paesi e i responsabili del progetto svizzero di somministrazione controllata di eroina che illustrarono i risultati positivi dell'esperienza. Il congresso confermò la decisione di agire a livello transnazionale e discusse anche della questione delle cosiddette "nuove droghe" cercando di affrontarla in termini politici, ovvero studiando soluzioni "di governo" anche per questo nuovo fenomeno, basate su informazione e legalizzazione dell'offerta anche di queste sostanze. Nel frattempo, il mese prima, era decaduto definitivamente il decreto sulle tossicodipendenze e con esso le limitazioni all'uso del metadone e il divieto di sperimentare la somministrazione dell'eroina sotto controllo medico: il referendum radicale del 1993 restò così l'unica riforma compiuta della legge sulla droga. L'iniziativa contro il decreto fu anche una battaglia con
tro il proibizionismo sulle cure che impedisce ai medici di agire secondo scienza e coscienza e lede i diritti costituzionali dei cittadini tossicodipendenti. Per questo il Cora aveva tra l'altro dato il proprio sostegno al dottor Ignazio Marcozzi Rozzi che si era autodenunciato per aver prescritto morfina ad un suo paziente tossicodipendente e malato di Aids a cui le precarie condizioni di salute e vari problemi fisici impedivano di assumere metadone o, peggio, eroina di strada.
L'inaugurazione dell'anno giudiziario 1997 fu segnata in particolare dall'accento che il procuratore generale della Cassazione Ferdinando Zucconi Galli Fonseca pose sull'inadeguatezza e gli effetti negativi delle leggi proibizioniste. Non parlò di legalizzazione, nè di somministrazione controllata di eroina, ma le sue parole ammonirono a ripensare le politiche sulle droghe e a non precludere pregiudizialmente alcun tipo di intervento. Qualche tempo dopo, in marzo, fu la volta dell'allora direttore dell'amministrazione penitenziaria, Michele Coiro, che prese posizione a favore della legalizzazione delle droghe. Una posizione non nuova la sua, ma che presa in quella veste suscitò polemiche e reazioni politiche a non finire. La Corte Costituzionale, invece, bocciò la proposta radicale di referendum sulla legalizzazione delle droghe leggere con motivazioni simili a quelle con cui nel 1981 fu bocciata un'altra analoga richiesta referendaria: gli obblighi derivanti all'Italia dalla ratifica delle convenzioni inter
nazionali sulle droghe.
Questa volta i radicali avevano portato avanti quell'ennesima iniziativa referendaria sulle droghe in solitudine. Anzi, proprio da sinistra e da coloro che in passato avevano condiviso le battaglie antiproibizioniste erano venute le critiche maggiori. Giancarlo Arnao e Luigi Saraceni si fecero interpreti di critiche opposte e convergenti. Per Arnao le norme risultanti dopo il referendum avrebbero liberalizzato il consumo ma penalizzato l'offerta, mentre Saraceni (a cui il comitato promotore aveva offerto la difesa del quesito di fronte alla Consulta) sostenne l'esatto contrario. La realtà è che il comitato promotore non volle fare una scelta "liberalizzatrice", ma rendere legali forme di offerta diverse ed alternative rispetto a quelle criminali. L'abrogazione delle sanzioni relative alla cannabis, oltre a rappresentare la più probabile ragione di bocciatura del quesito (anche in riferimento alle convenzioni internazionali) avrebbe contrastato con l'introduzione di una disciplina per la produzione e la vendi
ta dei derivati della cannabis, peraltro prevista anche nella proposta di legge depositata dal verde Franco Corleone. La strada della "liberalizzazione" era inoltre bloccata dalla precedente giurisprudenza della Corte. Era dunque singolare che le critiche più pesanti al quesito radicale fossero rivolte proprio all'utilizzo coerente e "difensivo" della giurisprudenza consolidata dalla Consulta dimenticando che l'attuale quesito era ancora più preciso di quello dell'81.
Nel marzo del '97 si tenne finalmente a Napoli la seconda conferenza nazionale sulla droga preceduta da un voto del Parlamento che, grazie ad un vero e proprio autogol della sinistra, aveva approvato due ordini del giorno del Polo e della Lega Nord che rimettevano in discussione le acquisizioni del referendum del '93. I radicali erano decisi a impedire che la conferenza eludesse la questione centrale della valutazione dei costi e dei benefici delle politiche sulla droga in atto. Qualche settimana prima, una delegazione del Cora, della quale facevano parte anche Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia, incontrò il ministro della Solidarietà sociale per impedì che la presenza del Cora fosse esclusa dalle varie fasi della conferenza. Alla conferenza di Napoli i radicali presentarono un articolato pacchetto di proposte: sul piano legislativo e giuridico chiesero la piena attuazione del principio della non punibilità della detenzione di droghe destinate al consumo personale o di gruppo, l'abolizione delle sanzioni
amministrative e la riforma del Codice della strada per sottoporre il consumo di droghe alle stesse misure adottate per il consumo di alcolici, mentre per quanto riguardava la cura chiesero la disponibilità di tutte le terapie farmacologiche e programmi sperimentali di somministrazione controllata di eroina. Il Cora pose inoltre nuovamente la questione di tutto il sistema dei finanziamenti ai privati e reclamò serio controllo dell'efficacia degli interventi finanziati con denaro pubblico.
La conferenza di Napoli segnò un passo avanti nell'acquisizione della "riduzione del danno" come strategia di intervento sulla tossicodipendenza. Alcune delle cose dette dal Governo espressero anche una certa sintonia con parte delle richieste radicali. Di contro sia il ministro della Giustizia che quello degli Interni indicarono nelle convenzioni internazionali l'ostacolo a qualsiasi ipotesi di legalizzazione delle sostanze proibite. Questo confermò i radicali nella convinzione che la lotta antiproibizionista deve rafforzare i suoi connotati di transnazionalità per affermarsi anche nel nostro Paese. Quella di Napoli, se da una parte fu una buona conferenza sulle tossicodipendenze e sul consumo di droghe proibite, dall'altra non affrontò in nessuna misura il problema del traffico illegale di droghe, così come non discusse le ragioni sostanziali, politiche e giuridiche, della questione. Le stesse positive indicazioni emerse dalla conferenza sono rimaste lettera morta. Il disegno di legge per la depenalizzazio
ne dei comportamenti legati al consumo personale di droghe, più volte annunciato e nonostante il lavoro della commissione appositamente costituita non è mai uscito dai cassetti del ministero della Giustizia. A causa della mancata riforma del sistema delle sanzioni l'ambiguità della legge ha continuato a giustificare in tutti questi anni una giurisprudenza pericolosa senza tutelare nulla: nè la legalità, nè i diritti dei cittadini consumatori di droga o no.
Nei primi mesi del '97 l'iniziativa antiproibizionista proseguì anche a livello transnazionale e grazie ai deputati radicali il Parlamento europeo censurò il comportamento della Francia che utilizzava le deroghe previste dal trattato di Schengen per spingere l'Olanda a stringere i freni della sua politica in materia di droghe. In aprile, alla conferenza internazionale sulla riduzione del danno a Parigi, il Cora diffuse un appello rivolto al Parlamento europeo perchè in tutti gli stati dell'Unione fossero garantiti pari diritti ai cittadini tossicodipendenti. L'appello raccolse l'adesione di decine di cittadini europei ed extra-europei, medici, psicologi, docenti universitari, psichiatri, operatori sociali, politici e parlamentari. L'Europa non poteva più ignorare le esperienze positive condotte in diverse città: era tempo di introdurre elementi di politica antiproibizionista sulle droghe e la libertà terapeutica è uno di questo elementi. Nel mese di aprile il Parlamento europeo iniziò la discussione del cosi
ddetto "rapporto D'Ancona" che fu approvato nell'ottobre successivo: un testo importante che, nonostante le mediazioni, grazie anche all'iniziativa dei parlamentari radicali, chiese l'estensione della strategia di riduzione del danno, la revisione delle convenzioni internazionali, la depenalizzazione del consumo di droghe illegali e la legalizzazione delle droghe leggere. In quello stesso periodo, grazie alla sua qualità di organizzazione non governativa con status consultivo di prima categoria, il Partito radicale potè far sentire la sua voce anche alle Nazioni Unite: i rappresentanti radicali intervennero nel corso dei lavori della "Commission on narcotics drugs" per chiedere che l'Onu di consentisse agli Stati nazionali di sperimentare politiche alternative ed in particolare di valutare la praticabilità dell'opzione antiproibizionista. Sempre in sede Onu ai primi di luglio a Vienna si riunì il comitato preparatorio della "Conferenza sulla droga ed i traffici illeciti" prevista per l'anno successivo. Il Pa
rtito radicale tentò di inserire fra le priorità l'analisi del rapporto costi-benefici delle politiche sulle droghe per procedere ad una riforma delle convenzioni internazionali, insistendo perchè la comunità internazionale prendesse coscienza che il "problema droga" è innanzitutto legato alla sua proibizione. Le proposte dei radicali mirarono ad integrare le iniziative degli Stati e delle stesse Nazioni Unite, chiedesero la revisione della classificazione delle sostanze sulla base di un criterio scientificamente misurabile di pericolosità e la tutela in tutto il mondo del diritto alle cure per i cittadini tossicodipendenti e della corrispondente libertà terapeutica per i medici. Prima della riunione di Vienna, in giugno fu presentato a Londra il primo rapporto mondiale dell'Onu sulle droghe: forse per la prima volta una pubblicazione ufficiale delle Nazioni unite dava spazio, senza censure ideologiche, alla sperimentazione di politiche di riduzione del danno e al dibattito sulla legalizzazione, ma, nello st
esso, l'Onu prese le distanze dalle conclusioni dell rapporto e dai dati scientifici che dimostravano il fallimento del proibizionismo. Era una contraddizione evidente che i radicali non mancarono di sottolineare.
In quella stessa estate, il Movimento dei Club Pannella promosse un nuovo pacchetto di referendum, tra i quali di nuovo anche quello per la legalizzazione delle droghe leggere già bocciato in gennaio dalla Corte Costituzionale. Contemporaneamente il Cora decise di appoggiare le due leggi di iniziativa popolare per la depenalizzazione del consumo di droghe e la legalizzazione della cannabis, promosse da Rifondazione comunista, Verdi, Forum Droghe e altre organizzazioni della sinistra. Il Cora pose però ai promotori alcune domande rimaste senza risposta: che interesse vi era, per il successo della loro campagna, a escludere il Cora che aveva promosso e vinto il referendum del 1993 e che già da tre anni aveva depositato una proposta di iniziativa popolare praticamente identica che il Parlamento non si decideva a discutere? Che interesse vi era nel fare a meno dei radicali sotto processo per poter conquistare una legge migliore per tutti?
Alla fine dell'estate il professor Pino Arlacchi, senatore dei Ds, fu chiamato a guidare l'Undcp, il programma che dirige e coordina gli interventi "antidroga" dell'Onu. Appena insedato annunciò la sua intenzione di eliminare la droga dal mondo in pochi anni. Uno dei suoi primi atti fu quello di intavolare negoziati con il sanguinario regime integralista dei Talebani afgani, che non è nemmeno riconosciuto dallìOnu, per trattare la riduzione della produzione di papavero da oppio. L'iniziativa suscitò molte critiche e l'immediata reazione dei radicali per i quali l'esempio afgano dimostra come il proibizionismo rafforzi i regimi sanguinari con costi enormi per le popolazioni e gli equilibri internazionali. Per fortuna in quello steso periodo il governo olandese decise di seguire l'esempio svizzero avviando programmi per la somministrazione di eroina sotto controllo medico e proprio in Svizzera, con un referendum, i cittadini respinsero la proposta di interrompere i programmi in corso con successo da vari anni.
Il 19 settembre la 7a sezione penale del Tribunale di Roma condannò Marco Pannellaa 4 mesi di reclusione per per la cessione gratuita di hashish compiuta al mercato di Porta Portese nell'agosto del 1995. Qualche mese prima Pannella si era rivolto ai suoi giudici con una lettera aperta in cui aveva spiegato le ragioni profonde della sua scelta. Pannella, la cui posizione era stata stralciata da quella degli altri imputati, aveva scelto di farsi assistere da un avvocato d'ufficio e di rinunciare ad esercitare il proprio diritto alla difesa per assicurarsi un processo rapido così come prescritto dalla Costituzione. In aula affermò di considerare e di volere che si considerasse la "motivazione politica" del suo gesto un'aggravante e non un'attenuante e annunciò l'intenzione di proseguire e perfezionare la strategia nonviolenta di attacco alla legge sulla droga. Le azioni compiute da Pannella e dagli altri militanti radicali non rispondevano solo al principio della lotta nonviolenta che impone a chi vuole riforma
re una legge di cui avverta l'ingiustizia di violarla pubblicamente, autodenunciandosi e subendone le conseguenze, offrendo in questo modo una "rappresentazione" dei danni che essa riversa sulla società e sui cittadini. Queste azioni volevano obbligare a riconoscere che proprio nei tribunali e nelle galere si mostrano la realtà e i risultati della politica proibizionista.
L'autunno del 1997 segnò la ripresa in grande stile delle azioni di disobbedienza civile sulle droghe. Fin dalla manifestazione tenutasi nell'agosto del 1995 a Porta Portese Pannella aveva annunciato che sarebbe stato indispendsabile rilanciare l'iniziativa antiproibizionista ripetendo, se necessario, azioni analoghe. Dopo la condanna subita e alla vigilia di altri processi, il leader radicale decise di riprendere dunque le cessioni gratuite di droghe leggere. Per il 12 ottobre fu convocata una manifestazione a Roma, in piazza Navona: nonostante i ripetuti annunci gli organi di informazione non diedero molto risalto all'evento che si andava preparando e il Corriere della Sera rifiutò persinoe di pubblicare un'inserzione a pagamento con la quale la Lista Pannella, a proprie spese, avrebbe voluto informare sul significato dell'iniziativa. Nonostante questo alla manifestazione, che durò tutta la giornata, parteciparono comunque molte centinaia di persone. Oltre a Marco Pannella, autori della disobbedienza civil
e, fermati e denunciati per cessione di stupefacenti, furono Rita Bernardini, segretaria nazionale della Lista Pannella, Olivier Dupuis, segretario del Partito radicale transnazionale, Piergiuseppe Camici, Alessandro Caforio, Mauro Zanella e Cristiana Pugliese. Rita Bernardini lesse una dichiarazione in cui spiegò le ragioni di questa nuova azione di disobbedienza civile e annunciando che avrebbe ripetuto il medesimo gesto nelle settimane successive, cosa che poi avvenne effettivamente nel cosrso di analoghe manifestazioni. Il 20 ottobre in piazza della Scala a Milano, una nuova disobbedienza civile fu compiuta da Rita Bernardini e Lucio Bertè. Cinque giorni dopo, di nuovo a Roma, nella centralissima via del Corso, dove le manifestazioni si ripeterono l'8 ed il 12 novembre durante la campagna della Lista Pannella per le elezioni comunali di Roma. Queste ultime tre disobbedienze civili coinvolsero oltre venti tra dirigenti e militanti radicali. L'ultima in particolare ebbe tra i protagonisti anche dei cittadi
ni non italiani: oltre a Olivier Dupuis, il segretario del Cora Eric Picard, due membri della direzione del Cora, Michel Hancisse e Thierry Meyssan, il giornalista francese Michel Sitbon e il belga Alexandre de Perlinghi. Infine, il 14 novembre 1997 fu la volta di Bologna, protagonisti Silvana Bononcini e Roberto Baietti ai quali va aggiunto Dario Zanotti denunciato per manifestazione non autorizzata. Quasi trenta persone in tutto, ovvero l'intero gruppo dirigente radicale quasi al completo.
Il Cora tornò in quel periodo a chiedere al Parlamento di discutere le proposte di legge per la legalizzazione della cannabis e la depenalizzazione completa del consumo di droghe e al Governo di autorizzare, a partire da Roma, la sperimentazione dell'eroina sotto controllo medico, una richiesta ripresa anche nel programma elettorale della Lista Pannella per il comune di Roma. Se in Svizzera la sperimentazione aveva dato risultati positivi per quale ragione non sperimentare, anche in Italia, anche a Roma, tale alternativa? Il ministero della Sanità non aveva avuto timore di "tollerare" metodi asai discutibili come l'Urod: dunque, perchè nel caso dell'eroina non permetteva sperimentazioni basate sulle ampie esperienze compiute all'estero? La proposta della Lista Pannella venne raccolta dal dottor Massimo Barra, fondatore e direttore di Villa Maraini, la più antica comunità terapeutica romana che ribadì la propria contrarietà ad ogni proibizionismo delle cure e si dichiarò disponibile ad affrontare la speriment
azione in prima persona. Insieme alla proposta della sprimentazione dell'uso terapeutico dell'eroina la Lista Pannella rilanciò la proposta dell'agenzia comunale per le tossicodipendenze.
Le disobbedienze civili compiute in Italia da cittadini non italiani evidenziarono la dimensione anche militante dell'impegno antiproibizionista transnazionale dei radicali. Pur consapevoli che l'obiettivo finale della battaglia antiproibizionista rimaneva quello della legalizzazione di tutte le droghe, i radicali ritenevano concretamente possibile abbattere un primo imponente tabù attraverso la legalizzazione di hashish e marijuana. In Italia sembravano esservi le condizioni politiche per realizzare una riforma delle leggi sulla droga. Per raggiungere questo obiettivo in tempi ravvicinati era però indispensabile organizzarsi a livello europeo per rafforzare il fronte italiano. Per questo a partire dall'11 dicembre il Partito radicale e il Cora organizzarono a Bruxelles, presso il Parlamento europeo, una "tre giorni" per individuare le condizioni di un progressivo allargamento delle azioni nonviolente ad altri Paesi dell'Unione. Il 10 dicembre una trentina di militanti tra cui il segretario del Cora ed il se
gretario del Partito radicale e deputato europeo vennero arrestati e trattenuti alcune ore in cella dalla polizia di Bruxelles a seguito del tentativo di tenere una manifestazione davanti alla sede del principale quotidiano belga, "Le Soir", per protestare contro la costante censura dell'informazione sulle iniziative dei radicali. Il 12 i radicali manifestarono a Lussemburgo in occasione del vertice europeo chiedendo un'armonizzazione non repressiva delle legislazioni europee in materia di droghe nel senso che promuovesse le strategie di riduzione del danno, la legalizzazione delle droghe leggere e la somministrazione controllata di eroina.
Nell'ottobre precedente, nemmeno un mese dopo la condanna di Pannella, il dottor Giorgio Inzani, storico esponente radicale e antiproibizionista, già consigliere regionale della Lombardia, finì indagato per "prescrizione non terapeutica" di metadone, un reato per il quale la legge prevede fino a venti anni di carcere. Un medico, impegnato da molti anni nella cura e nella tutela dei propri pazienti nel pieno rispetto delle norme vigenti si vide trattare come uno "spacciatore". Si ripetè quanto accaduto a Gino Del Gatto, anche lui medico, radicale, antiproibizionista, arrestato all'inizio degli anni Ottanta con l'accusa di aver prescritto stupefacenti ai pazienti tossicodipendenti, processato e quindi assolto dai giudici che riconobbero il valore sociale del suo operato. Nel caso del dottor Giorgio Inzani la Procura di Milano richiese il rinvio a giudizio contestando la prescrizione di metadone "a mantenimento": il reato, dunque, sarebbe consistito nella violazione del decreto De Lorenzo abrogato dal referendu
m del '93. La Procura di Milano, inoltre, non tenne conto dei documenti prodotti da Inzani che dimostravano l'osservanza sia delle indicazioni terapeutiche dei farmaci utilizzati che di quelle burocratiche del ministero della Sanità: la sua vicenda rapresenta un esempio di quel "proibizionismo sulle cure" che ostacola o nega le evidenze scientifiche e perseguita i medici che pretendono di esercitare la propria autonomia terapeutica secondo scienza e coscienza. Con il caso del dottor Inzani il proibizionismo si dimostrò ancora una volta il "regime dell'ignoranza" dei diritti e dei doveri, della scienza e delle responsabilità politiche che finisce per vietare tutto: le droghe, le cure, il Diritto, i diritti e la volontà popolare. Tutta la vicenda si è fortunatamente conclusa per il meglio nella primavera di quest'anno grazie al giudice subentrato nel frattempo, il dottor Claudio Castelli, che ha dichiarato il "non luogo a procedere" riconoscendo la correttezza dell'operato del dottor Inzani e affermando in pra
tica che non è compito del magistrato stabilire limiti e modalità di impiego dei farmaci.
All'inizio di gennaio del 1998, inaugurando l'anno giudiziario, per il secondo anno consecutivo il procuratore generale della Cassazione Galli Fonseca tornò a parlare di droga e in modo chiaro ed esplicito questa volta chiese che fosse presa in considerazione anche in Italia la somministrazione controllata dell'eroina. Il procuratore affermò che la microcriminalità non è il risultato del consumo di droghe, ma delle norme che negano il diritto alle cure, alla salute ed all'assistenza dei tossicodipendenti e che assegnano el monopolio sulle sostanze alla icriminalità organizzata. Il Governo Prodi lasciò al ministro della sanità Bindi il compito di trarsi d'impaccio passando la patata bollente al Parlamento e alle forze politiche rinunciando a governare in attesa di sapere cosa gli equilibri della coalizione che lo sosteneva gli avrebbero permesso di fare. La Lista Pannella al comune di Roma da parte sua rilanciò invece le proposte avanzate durante a campagna elettorale e tornò a chiedere al sindaco ed alla giu
nta di passare dalle parole ai fatti.
A metà gennaio iniziò il processo a Marco Pannella per la disobbedienza civile con cui aveva ceduto circa 250 grammi di hashish alla giornalista Alda D'Eusanio nel corso di una trasmissione televisiva. Inizialmente la procura di Roma, la stessa che negli altri procedimenti aveva sempre richiesto l'incriminazione del leader radicale, chiese l'archiviazione del caso sostenendo che la cessione non era in pratica avvenuta per l'intervento degli agenti di polizia in servizio nello studio televisivo. Il giudice dell'udienza preliminare, anche a seguito dell'opposizione dell'imputato, dispose invece che il pubblico ministero procedesse all'"imputazione coattiva" di Pannella non solo per la cessione gratuita di hashish, ma anche per istigazione al consumo di droga e per istigazione a delinquere. Negli stessi giorni il Parlamento europeo, di fronte alla presentazione di numerosi emendamenti che preannunciavano un'acceso confronto sul testo del documento, decise di rinviare in commissione il "Rapporto D'Ancona". La su
a approvazione, sebbene in una stesura ancora molto moderata, avrebbe costituito una tappa nell'elaborazione di una nuova politica europea in materia di droghe e tossicodipendenze. Il rapporto venne però duramente osteggiato dai laburisti inglesi e dai socialdemocratici scandinavi i quali, alleandosi alla destra conservatrice, non sostennero la relatrice, anche lei socialista, creando sconcerto negli altri rappresentanti della sinistra. I deputati radicali e verdi (con l'eccezione degli scandinavi) si dichiararono invece pronti a sostenere il documento. Il giorno prima del voto nell'aula di Strasburgo, una delegazione della "Mafia Inc." tenne una conferenza stampa per esprimere le preoccupazioni dei narcotrafficanti sul rapporto. Frank Dellalbone ed Oliver Dups, scortati da guardie del corpo armate, parlarono del danno economico che la legalizzazione delle droghe causerebbe alle organizzazioni che gestiscono il mercato nero delle droghe. I due "gangster" erano in realtà i deputati europei della Lista Pannell
a Gianfranco Dell'Alba ed Olivier Dupuis che inscenarono la manifestazione per far riflettere sugli interessi economici della criminalità organizzata che lucra sulla domanda di sostanze rese illegali dal proibizionismo e che evidentemente, potendolo fare, avrebbe votato contro il rapporto. Per niente divertente, invece, l'iniziativa presa qualche giorno prima dal più letto giornale svedese, Aftonbladet, che pubblicò ben due pagine dedicate al Cora, indicato come un'associazione mafiosa guidata da Emma Bonino. L'articolo fu corredato dalle foto "segnaletiche" dei deputati europei aderenti a "Parlamentarians for antiprohibitionist action". L'iniziativa del giornale svedese suscitò com'è ovvio la dura reazione degli europarlamentari e la protesta formale del presidente del Parlamento in occasione della sua visita in Svezia.
In Italia, mentre il Governo per bocca del ministro Livia Turco ribadiva il proprio impegno per dare seguito alle indicazioni uscite dalla conferenza di Napoli, senza peraltro compiere alcun atto concreto, il Cora decise di denunciare la mancata attuazione delle norme di legge che riguardano gli orari e l'organizzazione dei servizi pubblici per le tossicodipendenze (Sert) e le inadempienze delle amministrazioni chiedendo alla magistratura di verificare la lesione di due fondamentali diritti costituzionali come l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e il diritto alla tutela della salute. I radicali scrissero varie volte al presidente del Consiglio Prodi e al ministro della Sanità Bindi senza ottenere risposta, fecero presentare un'interpellanza urgente in Parlamento e interessarono della questione anche la commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema sanitario. Purtroppo la maggioranza delle procure non prese in considerazione gli esposti, mentre altre, dopo qualche accertamento decisero l'archi
viazione sulla base di motivazioni burocratiche.
Nel febbraio 1998 fu pubblicato, come ogni anno, il rapporto dell'Internationa narcotic control board, l'organo dell'Onu che deve verificare l'applicazione delle convenzioni internazionali sulle droghe. L'Incb richiamò i governi a frenare le spinte degli ambienti definiti "tolleranti e permissivi verso l'assunzione di droga" esprimendo preoccupazione per l'"offensiva" dei fautori della legalizzazione e per la "proliferazione" dei programmi di somministrazione controllata di eroina. Secondo l'Incb, che criticava la centralità data alle strategie di riduzione del danno, la lotta alla droga sarebbe stata indebolita dalle iniziative in favore della legalizzazione. L'Incb puntò l'indice contro i deputati favorevoli alla legalizzazione i quali, era scritto nel documento, "hanno poi potuto utilizzare la loro posizione e la loro influenza per conquistare altri deputati alla loro causa". Inoltre, "se è attorno alla legalizzazione, alla depenalizzazione o all'impiego terapeutico della cannabis che girano generalmente
questi temi, ci sono altresì organizzazioni che si fanno portatrici della legalizzazione di altre droghe o di tutte le droghe". Erano affermazioni gravi con le quali un organo burocratico dell'Onu pretendeva di sindacare l'operato di governi e parlamenti sovrani eletti dai cittadini e cercava di impedire ogni discussione sulle possibili alternative alle politiche proibizioniste.
Poco tempo dopo fu la volta del "talebano dell'antidroga" Pino Arlacchi il quale scrisse una lettera al presidente della Commissione europea Jacques Santer per protestare contro le forti critiche espresse da Emma Bonino alla politica dell'Undcp in Afganistan. La lettera, che pareva quasi un "avvertimento" in vista della sessione speciale sulla droga dell'Asemblea generale dellìOnu per impedire ogni riflessione critica sulla strategia proibizionista, provocò la protesta della commissione e un passo formale di Santer nei confronti del segretario generale dell'Onu Kofi Annan, mentre da tutte le parti arrivarono sostegni a Emma Bonino. Il Parlamento europeo nello stesso periodo bocciò senza mezzi termini l'accordo concluso da Arlacchi con i Talebani afgani chiedendo che, ad eccezione dell'aiuto umanitario, fosse sospesa ogni forma di cooperazione sino a quando l'amministrazione afgana non avesse rispettato i diritti umani. Viceversa il Parlamento espresse il suo pieno appoggio alla campagna "Un fiore per le donn
e di Kabul" lanciata da Emma Bonino in occasione della festa dell'8 marzo. A parte questo positivo pronunciamento, però, il Parlamento europeo e la Commissione Libertà pubbliche, continuarono a subire i ricatti del fronte proibizionista che raggruppava buona parte dei popolari, le destre, i laburisti inglesi e i deputati scandinavi di tutte le tendenze. Da questo punto di vista molto più avanti si pose in quel periodo la Commissione europea, critica nei confronti delle politiche proibizioniste. Nel mese di marzo a Vienna si riunì la commissione sulle droghe dell'Onu incaricata di preparare la sessione speciale dell'Assemblea generale fissata a New York per il giugno successivo e dedicata alla lotta contro la domanda, il traffico e l'offerta di droghe. Alcune delle misure all'esame erano in evidente contrasto con il rispetto di diritti umani fondamentali. In particolare il Partito radicale denunciò l'applicazione della pena di morte o dell'ergastolo per i consumatori di droghe in numerosi Paesi senza che l'Un
dcp avesse nulla da eccepire, mentre le politiche in atto in Olanda e in Svizzera erano continuamente ogetto di critiche. Per questo i radicali sostennero la necessità di difendere la libertà di espressione contro i tentativi di far passare le campagne per la legalizzazione delle droghe come incitazione all'uso.
Verso la fine di marzo a Londra si svolse un'imponente manifestazione antiproibizionista, che rappresentò il culmine della campagna condotta per molte settimane dall'"Independent on Sunday" a favore della depenalizzazione della cannabis. Alla mobilitazione, che ebbe il sostegno della commissaria europea Emma Bonino, aderì anche il Partito radicale la cui delegazione sfilò dietro un enorme striscione con la scritta "Antiprohibitionism now!": Marco Pannella e Olivier Dupuis presero la parola nel corso del comizio conclusivo. In Italia di tutto questo si seppe poco e male: un servizio del Tg3 riuscì a censurare totalmente la presenza dei radicali, un fatto grave ma certo non nuovo nel panorama dell'"informazione" nel nostro Paese. In seguito il Partito Radicale partecipò anche alla "Marijuana march" di New York contro la guerra scatenata da anni contro i consumatori di droghe leggere negli Stati Uniti. Poco tempo dopo il Parlamento europeo, con il solo voto contrario di radicali e verdi, approvò il rapporto del
deputato popolare Pirker sul "controllo delle nuove droghe sintetiche" che rilanciò la criminalizzazione dei consumatori di droghe sostenendo che la minaccia di sanzioni penali avrebbe potuto avere un effetto deterrente e quindi preventivo. Quasi contemporaneamente la Commissione Libertà pubbliche del Parlamento europeo, grazie alla ormai abituale convergenza proibizionista dei laburisti inglesi con i popolari e la destra, approvò una nuova versione del "Rapporto D'Ancona" in cui, con la censura della strategia di "riduzione del danno", si affermò che l'obiettivo della lotta contro la droga è una società senza droghe e che i consumatori di droghe devono essere "trattati e riadattati" al fine di vivere "una vita senza droghe". In Italia il ministro della Solidarietà sociale Livia Turco annunciò nuovamente che il Governo si apprestava a varare il disegno di legge per la depenalizzazione dei comportamenti legati all'uso personale di droghe che finalmente avrebbe dato compimento al referendum del 1993 e alle in
dicazioni emerse alla conferenza nazionale di Napoli. Non era ben chiaro però cosa il Governo intendesse realmente depenalizzare, anche perchè pareva che la proposta riguardasse la sostituzione delle pene detentive minime con un inasprimento delle sanzioni amministrative senza toccare la questione della cessione gratuita che anche la commissione Giustizia del Senato, più meno in quei gioni, aveva escluso dal provvedimento di depenalizzazione dei cosiddetti "reati minori".
Nel giugno del 1998 si svolse a Parigi il 9o congresso del Cora con lo slogan "Il proibizionismo sulle droghe: un crimine contro l'umanità". Erano parole gravi, che segnavano la volontà di non accettare più il proibizionismo come un semplice "errore di percorso", ma di denunciarne le ragioni etico-moralistiche che si concretizzano in politiche che negano il Diritto e la scienza con conseguenze disastrose sulla vita di tutti i cittadini. Il Cora decise di sfidare la legge francese che punisce chi presenta le droghe "sotto una luce favorevole", minacciando così la libertà di parola, in una delle massime sedi istituzionali: il 5 giugno, infatti, il congresso si aprì in una sala del Parlamento. Due giorni dopo, inoltre, i radicali tennero una manifestazione davanti alla sede parigina dell'Onu, nell'ambito delle "Giornate mondiali per l'alternativa alla guerra alle droghe" promosse da un cartello di oltre cinquanta organizzazioni antiproibizioniste di tutto il mondo alla vigilia della conferenza mondiale delle Na
zioni unite sulla droga. Poi, al pomeriggio, i militanti radicali parteciparono al corteo che sfilò dalla Bastiglia a Notre Dame, la prima manifestazione di massa dichiaratamente antiproibizionista in Francia. Il congresso ospitò alcuni esponenti politici francesi,i rappresentanti di altre organizzazioni antiproibizioniste e raccolse una serie di gravi accuse sulle collusioni di alcune multinazionali francesi con il narcotraffico e le responsabilità delle massime autorità di governo. Il dibattito ruotò attorno a due temi principali: da una parte la denuncia del proibizionismo come crimine, dall'altra l'organizzazione transnazionale degli antiproibizionisti e i rapporti con il Partito radicale. Sullo slogan del congresso si misurarono due opposte valutazioni: quella di chi sostenne l'indeterminatezza e l'ambiguità di un'affermazione così grave che poteva essere rovesciata contro gli antiproibizionisti stessi e non trovava supporto nel Diritto internazionale e, all'opposto, di chi pose l'accento sulla natura c
riminogena del proibizionismo che provoca la morte di migliaia di consumatori e mette in pericolo la vita di migliaia di altre persone, favorisce la diffusione di malattie mortali, consente che le organizzazioni criminali realizzino immensi guadagni che vanno a finanziare altri traffici illeciti, giustifica le politiche repressive di governi autoritari, produce una mostruosa e costosisima macchina burocratica.
Il congresso di Parigi si tenne nell'immediata vigilia della sessione speciale dell'Assemblea generale dell'Onu sulle droghe. Come i radicali avevano previsto, questo appuntamento, che avrebbe potuto costituire un importante occasione per valutare un quarantennio di politiche proibizioniste così come delineate dalle convenzioni internazionali, si risolse invece nella passerella miliardaria della burocrazia "antidroga" che coprì sotto la retorica delle dichiarazioni finali le differenze che pure emersero fra i vari governi. Le proposte che l'Assemblea generale fu chiamata a dibattere erano la versione aggiornata delle strategie fallimentari della "War on drugs". Non era una novità che l'Undcp richiedesse il potenziamento della macchina burocratica e repressiva attraverso un aumento dei finanziamenti: più preoccupante era il carattere ideologico delle politiche proposte attraverso la negazione dei principi dello Stato di diritto e delle libertà individuali fondamentali. Le relazioni avviate da Pino Arlacchi co
n alcune delle peggiori dittature (Afganistan, Iran, Birmania) dimostravano come il proibizionismo richieda amicizia e collaborazione con regimi dittatoriali e illiberali fino al loro finanziamento diretto e al riconoscimento diplomatico. Tali alleanze non sono incidenti di percorso o eccessi di "real politik", ma il risultato obbligato dell'ideologia proibizionista che subordina le libertà individuali agli interessi del potere e dello Stato.
Il Partito radicale, grazie allo status consultivo che gli è riconosciuto all'Onu, intervenne all'Assemblea generale attaccando nettamente la politica dell'Undcp e del suo direttore Arlacchi anche a nome di un cartello di organizzazioni antiproibizioniste internazionali. Sin dal 1961, accusarono i radicali, tutte le convenzioni Onu hanno tentato di tenere sotto controllo il continuo aumento dell'uso di droghe, ma proprio il rapporto ufficiale delle Nazioni unite dimostrava il fallimento delle politiche proibizioniste. I radicali chiesero quindi un rapido cambiamento di questa pericolosissima situazione e l'esame di una seria alternativa antiproibizionista. E mentre il consiglio europeo di Cardiff sostenne che intensificare la lotta contro la droga fosse un modo concreto per permettere di avvicinare l'Unione alla popolazione, in Svizzera, per la seconda volta, i cittadini approvarono i programmi di somministrazione controllata dell'eroina. In Germania, invece, furono alcuni sindaci, amministratori e capi dell
a polizia di alcune grandi città a chiedere la legalizzazione delle droghe leggere e la somministrazione controllata di eroina.
In Italia il Parlamento si trovò, invece, alle prese con il cosiddetto "pacchetto giustizia" e con il disegno di legge per la depenalizazione dei reati minori sul quale, alla fine dell'estate sembrò profilarsi un accordo tra centro-destra e centro-sinistra con la rinuncia a depenalizzare i comportamenti connessi al consumo personale di droghe. Questo compromeso liquidava sia gli orientamenti emersi dalla conferenza di Napoli che il referendum del '93 e del resto il disegno di legge governativo più volte annunciato continuava a rimanere nei cassetti del Governo. In autunno la Camera dei Deputati, discutendo il progetto di legge per la riorganizzazione degli interventi sulle droghe, approvò l'emendamento proposto dal deputato di An Nucola Carlesi che reintroduceva limiti all'utilizzo del metadone con tanti saluti al voto referendario con cui i cittadini avevano chiesto di liberalizzare il sistema delle terapie: il potere politico tornava in questo modo ad arrogarsi il diritto di sindacare la liceità di alcune
cure piuttosto di altre. In Svizzera, invece, il governo annunciò l'intenzione di depenalizzare il consumo di droghe per uscire dal "vicolo cieco" della repressione.
In quel periodo vi fu però anche qualche nota positiva. A Roma, grazie all'impegno della Lista Pannella al consiglio comunale, venne finalmente costituita la prima agenzia comunale per le tossicodipendenza alla presidenza della quale fu nominato il dottor Ignazio Marcozzi Rozzi. In ottobre, poi, il Parlamento europeo approvò il "Rapporto D'Ancona" la cui versione definitiva fece propria la politica di "riduzione del danno", ne raccomandò la massima diffusione negli Stati membri dell'Ue e chiese la revisione delle convenzioni internazionali. Se da una parte il documento respingeva le posizioni oltranziste del fronte proibizionista, dall'altra, a causa del solito compromesso tra il gruppo socialista e quello popolare, eso risultò asai poco soddisfacente: per questo i deputati radicali, nonostante l'approvazione di un loro emendamento che assumeva il concetto di regolamentazione della produzione e della distribuzione, votare contro. Lo stesso Parlamento europeo, in quel periodo, bocciò tuttavia per la seconda v
olta in un anno la politica dell'Undcp nei confronti di alcuni dei peggiori regimi dittatoriali della Terra: Arlacchi aveva divuto ammettere che l'accordo con i Talebani era fallito e che l'Afganistan aveva consolidato la sua posizione di leader mondiale della produzione di oppio.
Il 21 settembre del 1998 le sezioni penali unite della Corte di Cassazione affermò che non ha importanza se la dose di droga ceduta contiene una quantità di principio attivo insufficiente a produrre l'"effetto drogante", perchè ciò che conta è la tutela della salute pubblica, la salvaguardia delle giovani generazioni, la sicurezza e l'ordine pubblico. In mancanza di una definizione farmacologica, secondo i magistrati la nozione di stupefacente non può che avere natura legale e dunque tutte le sostanze indicate negli appositi elenchi sono soggette alla norme che ne vietano la circolazione. La sentenza costituiva un gravissimo precedente nella già abbastanza contorta giurisprudenza in materia di droghe illegali e poneva una seria ipoteca sull'esito dei vari processi ai radicali responsabili delle disobbedienze civili. Per comprendere l'importanza politica di quella decisione occorre ricordare che tutta l'iniziativa giudiziaria e processuale conseguente alle disobbedienze civili aveva voluto dimostrare, con il
supporto delle conoscenze scientifiche, l'insostenibilità dell'inclusione dei derivati della cannabis tra le "droghe", intendendo con questo termine le sostanze che provocano dipendenza. La sentenza chiudeva invece ogni possibilità di valutare la natura effettivamente "drogante" delle sostanze: il loro inserimento nell'elenco delle sostanze proibite bastava a rendere penalmente rilevante il suo uso o la cessione. Per sostenere questa tesi i giudici affermarono principi pericolosi che riportavano ad una visione etica ed ideologica delle norme penali. Furono molte nelle settimane succesive le udienze in cui i radicali furono chiamati a rispondere delle cessioni pubbliche e gratuite di hashish. La più significativa fu certamente quella del 14 ottobre che vide sul banco degli imputati gli oltre venti responsabili delle tre disobbedienze civili compiute a Roma in via del Corso. Nello stesso periodo l'iniziativa nonviolenta sulle droghe venne a intrecciarsi con la battaglia per il diritto dei cittadini all'informa
zione e contro i comportamenti omissivi della stampa italiana nei confronti della Lista Pannella e dell'area radicale.
Verso la fine dell'anno il Cora si impegnò per garantire la presenza organizzata degli antiproibizionisti alle elezioni europee fissate per la primavera del 1999. Per raggiungere questo obiettivo il Cora indicò due strade possibili: l'impegno di liste o partiti a sottoscrivere un programma comune, oppure direttamente la promozione di liste o candidature antiproibizioniste. Nello stesso periodo il Cora scrisse al nuovo presidente del consiglio Massimo D'Alema rilanciando le tre priorità sulle quali nel '94 aveva ottenuto un impegno poi disatteso dal Governo Berlusconi: attuazione del risultato referendario, rispetto dei diritti di medici e tossicodipendenti, convocazione di una conferenza internazionale che valutasse costi e benefici delle attuali strategie contro la droga. Il Governo D'Alema si mosse però in perfetta continuità con quello del suo predecessore Prodi.
L'inizio del 1999 per i radicali fu caratterizzato dallo sforzo di trovare una via d'uscita ad una situazione grave, provocata dalle difficoltà politiche, finanziarie e organizzative che avevano segnato l'anno precedente, rese più pesanti dalla malattia che aveva colpito Marco Pannella. Fu lo steso Pannella a indicare la necessità di un "grande assalto radicale al regime" con la conversione di tutte le risorse ideali, politiche e patrimoniali dell'area radicale in un obiettivo politico generale. Con queste premesse a marzo si svolse a Roma l'"Assemblea dei Mille" cui presero parte più di millesettecento persone per discutere del futuro del soggetto politico radicale. I lavori si articolarono in commissioni di lavoro una delle quali venne dedicata al tema delle libertà individuali e dove si discusse di antiproibizionsimo sulle droghe, aborto, fecondazione assistita, contraccezione, bioetica, legalizzazione della prostituzione, coppie di fatto, libertà di cura. Dopo l'assemblea un apposito gruppo di lavoro, su
lla base di quanto emerso dal dibattito, cominciò a discutere delle possibili iniziative sulle questioni che erano patrimonio inscindibile della storia radicale e sulle quali si avvertiva la necessità di riprendere una forte iniziativa politica.
Se nel 1998 il procuratore generale della Cassazione Galli Fonseca aveva chiesto di ripensare profondamente la politica in materia di droghe in tutti i suoi aspetti, il suo successore, inaugurando il nuovo anno giudiziario, ribaltò completamente quella impostazione arrivando ad affermare addirittura che l'azione di contrasto contro il traffico di droghe era stata aggravata dall'abolizione del reato della detenzione di droga per uso personale: un dietrofront che costituiva un attacco diretto al referendum del 1993. Altri magistrati, però, non furono dello stesso parere: il procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli, per esempio, affermò che una normativa restrittiva può incrementare il fenomeno anzichè ridurlo e l'ex direttore dell'amministrazione penitenziaria Alessandro Margara, in un'intervista a Radio radicale, sostenne che se la risposta al fenomeno sociale delle droghe continuerà ad essere quella represiva il risultato non potrà che essere un alto numero di tosicodipendenti in galera, arg
omento ripreso recentemente dal suo successore Giancarlo Caselli.
A febbraio il Senato approvò definitivamente la cosiddetta "legge Lumia", che, oltre a riorganizzare i servizi per le tossicodipendenze e il Fondo nazionale per il finanziamento degli interventi sulla droga, approvando definitivamente l'"emendamento Carlesi" introdusse la proibizione dell'uso del metadone nell'ambito dei programmi finanziati dal Fondo non gestiti dai Sert. Questa norma aveva inizialmente suscitato la reazione sdegnata del ministro per la Solidarietà sociale Livia Turco che pubblicamente in almeno due occasioni, dopo il voto della Camera in autunno, si era impegnata per conto del Governo a ripristinare il rispetto dei diritti dei medici e dei tossicodipendenti. A quanto pare, invece, non fu così, nonostante il gruppo di lavoro "Politiche di riduzione del danno" della Consulta degli operatori e degli esperti delle tossicodipendenze (un organismo creato dal ministro dopo la conferenza di Napoli), nelle settimane precedenti avesse formalmente richiamato il ministro con un proprio ordine del gior
no perchè tenesse fede agli impegni ed impedisse l'approvazione definitiva di una norma che reintroduceva il proibizionismo sulle cure. Questa norma non impedisce ai privati di utilizzare il metadone o altri farmaci, nè che questi programmi possano ricevere finanziamenti pubblici. La "legge Lumia" non impedisce nemmeno l'avvio di programmi di somministrazione di eroina sotto controllo medico. Sostenere il contrario come continuano a fare alcuni esponenti politici dimostra tutta l'ipocrisia, l'opportunismo e la strumentalità di certi professionisti dell'antidroga. D'altra parte, giustificarne l'approvazione con la necessità di garantire la riorganizzazione dei Sert e i finanziamenti alle comunità terapeutiche, come fecero vari esponenti della sinistra, dimostra che il Governo ha ceduto la propria responsabilità politica alle fazioni organizzate del proibizionismo militante. Ma la "legge Lumia" non è l'unico esempio della volontà di tutte le forze politiche di eludere nei fatti qualunque confronto serio sulla
plitica in materia di droghe al di là delle posizioni "di principio" e delle polemiche di giornata. Nel marzo '99 dal provvedimento che depenalizzava i "reati minori" fu eliminata la questione dei comportamenti connessi al consumo di droghe. Non ci fu lo scambio di favori tra Polo e Ulivo che era sembrato profilarsi, cioè lo stralcio della depenalizzazione sulle droghe in cambio dello stralcio della depenalizzazione sul finanziamento illecito dei partiti, ma il risultato non fu diverso. Il Parlamento, per non alterare ulteriormente equilibri politici già abbastanza precari, decise semplicemente di non discuterne e come sulla "legge Lumia" i "progressisti" e i "liberali" si arresero senza combattere.
Per quanto riguarda i radicali, dopo la sconfitta nel referendum elettorale del 18 aprile, il successo d'immagine della campagna "Emma for president" fu il preludio alla straordinaria affermazione ottenuta dalla Lista Bonino alle elezioni europee di giugno: l'elezione di Marco Pannella, Emma Bonino e di altri cinque radicali significò anche una presenza organizzata degli antiproibizionisti all'assemblea di Strasburgo, così come il Cora aveva auspicato e per il quale si era impegnato nei mesi precedenti. L'estate fu poi caratterizzata dalle polemiche sulle questioni della criminalità e della sicurezza dei cittadini. Paradossale, ma fino ad un certo punto, in questo contesto, la totale assenza di riferimento alla diffusa illegalità dei tossicodipendenti costretti a delinquere dalla necessità di acquistare nel mercato clandestino le sostanze a loro necessarie e che potrebbero invece ricevere senza conseguenze e sotto controllo medico in un regime di legalizzaizone. L'autunno seguente fu la volta dell'isteria me
diatica esplosa attorno all'ennesima "emergenza", questa volta relativa alle cosiddette "nuove droghe". Per molti giorni giornali, radio e televisioni furono invasi da grida d'allarme, proclami, annunci eclatanti, retorica e propaganda, titoli a sensazione senza un minimo di rispetto della realtà, della scienza e dell'intelligenza dei cittadini. La verità è che rispetto al fenomeno dell'Ecstasy il proibizionismo ha mostrato tutta la sua tragica inadeguatezza: come è possibile proibire tutte le migliaia di possibili combinazioni chimiche? Come è possibile impedire la produzione di sostanze che si possono fabbricare con relativa facilità nella cucina di casa? Come è possibile bloccare lo spaccio di pasticche che possono essere facilmente trasportate e nascoste? L'aggiornamento delle tabelle degli stupefacenti da molti fu visto come premessa indispensabile senza la quale sarebbe stato impossibile affrontare la questione, ma si tratta di un falso problema. Le tabelle, infatti, furono compilate per la prima volta
nel 1977 e da allora sono state aggiornate diciassette volte nel vano tentativo di inseguire le nuove sostanze via via immesse nel mercato nero: l'Ecstasy fu inserita nella stessa tabella dell'eroina e della cocaina due anni prima dell'entrata in vigore della legge Jervolino-Vassalli. La verità è che di "nuove droghe" raramente si muore, il che non significa dire che l'uso di queste sostanze sia esente da rischi gravi: ma più che per gli effetti della sostanza, si muore semmai di "mercato nero" e di ignoranza degli effetti e delle conseguenze. Eppure, anche in quella occasione, con la solita perfetta scansione dei tempi, dopo la morte di un ragazzo fuori da una discoteca, subito attribuita all'Ecstasy, tutti si presentarono all'incasso: politici, commentatori, guaritori, preti e sociologi a lucrare sul morto in un dibattito a cinico, conformista e moralista. La verità è che, come scrisse in quel periodo Marco Pannella sul Corriere della Sera, queste sostanze sono il prodotto del proibizionismo e dei suoi so
stenitori. Il fenomeno delle "nuove droghe", ma meglio sarebbe dire dei nuovi consumi, è un problema sociale e per risolverlo non servono divieti e sbirri ma prevenzione, educazione equilibrata e informazione corretta.
Anno nuovo, nuova condanna
Il 18 gennaio di quest'anno la 7a sezione penale del tribunale di Roma ha pronunciato una nuova condanna a carico di Marco Pannella, questa volta per la disobbedienza civile compiuta il 29 dicembre del 1995 in piazza Navona a Roma. Di tutti i processi che vedono imputato Marco Pannella, insieme agli altri esponenti radicali autori delle cessioni gratuite di hashish e marijuana, questo è stato il più approfondito sia per le questioni affrontate e dibattute durante il procedimento, sia per la serietà e l'attenzione con cui i giudici hanno affrontato il caso. Come già detto, l'iniziativa giudiziaria e processuale messa in atto dai radicali a seguito delle disobbedienze civili, partì da due presupposti: da una parte denunciare l'irragionevolezza e l'indeterminazione della norma contenuta nell'artcolo 73 della legge sulla droga che punisce chi cede o riceve droghe "a qualsiai titolo" e dall'altra voler dimostrare, con il sostegno delle conoscenze scientifiche, l'insostenibilità dell'inclusione dei derivati della
cannabis tra le "droghe", intendendo con questo termine le sostanze capaci di produrre dipendenza. In questo processo a Marco Pannella venne contestata la detenzione e la cessione di una quantità abbastanza modesta di hashish. La difesa pose allora al tribunale la necessità di verificare i criteri di determinazione e di individuazione della natura drogante dei derivati della cannabis. I criteri di analisi chimica abitualmente impiegati nei tribunali fanno riferimento a cosiddette "dosi droganti medie", un concetto di scarso valore scientifico che i giudici sarebbero però tenuti a conoscere per poterlo affermare in una sentenza di condanna. La difesa di Pannella, quindi, richiese al tribunale di disporre una perizia che chiarisse e precisasse i concetti di "effetto drogante" e di "dose drogante" con particolare riferimento alla cannabis ed ai suoi derivati. Il tribunale accolse la richiesta disponendo una perizia collegiale affidata a due noti studiosi, i professori Enrico Malizia ed Eugenio Muller, e che rap
presenta una pagina di notevole importanza per tutta la tematica ed il dibattito relativi ai derivati della cannabis. Le risposte dei periti, infatti, confermarono nozioni già note, ma che probabilmente mai prima di allora avevano trovato ascolto in un processo "per droga": non solo non è possibile definire una "dose drogante media", ma per i derivati della cannabis questa nozione è scientificamente insensata. Ovvero, i periti nominati dal tribunale affermarono che i derivati della cannabis non sono "droghe", cioè non producono, se non in quantità abnormi del tutto sconosciute nella pratica comune, gli effetti caratteristici delle sostanze che producono dipendenza. Queste conclusioni misero il tribunale in una situazione sicuramente inedita: infatti, alla fine del dibattimento, i giudici decisero di riascoltare i periti perchè la questione andava ulteriormente approfondita. Il tribunale alla fine ha riconosciuto che lo stato delle attuali cognizioni scientifiche aveva consentito di acquisire indicazioni di i
ndubbio rilievo ai fini della decisione finale e tuttavia i giudici, pur con motivazioni assai articolate e interesanti, hanno respinto tutte le richieste della difesa condannando Pannella a due mesi e venti giorni di reclusione e un milione di multa commutati in sette milioni di multa. E' significativo notare che i giudici hanno riconosciuto a Pannella, che peraltro non l'aveva richiesta, l'attenuante di aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale affermando che il suo impegno e la sua azione politica non potevano essere ritenuti privi di rilevanza sulla progressiva evoluzione di una legislazione che prima dell'esito positivo del referendum del 18 aprile 1993 era ispirata a principi repressivi estremamente rigidi. Nel stesso giorno in cui è stata pronunciata la sentenza, alcuni parlamentari europei, tra i quali Daniel Cohn-Bendit, Gianni Vattimo, Demetrio Volcic e Giuseppe Di Lello, hanno espresso apprezzamento per l'impegno civile di Pannella e per la sua decisione di utilizzare in modo ri
goroso gli strumenti della nonviolenza auspicando che grazie a questi processi si possa aprire la strada a norme capaci di combattere le mafie che prosperano grazie al mercato clandestino delle droghe.
Il 1 febbraio, nel pomerigio, l'Agenzia comunale per le tossicodipendenze del comune di Roma è stata oggetto di un grave episodio. Diverse decine di militanti di Azione Giovani, l'organizzaizone giovanile di Alleanza Nazionale, hanno occupato gli uffici mettendo a soqquadro i locali, imbrattando i muri con slogan, distrugendo e danneggiando materiale e documenti di lavoro. L'azione è stata giustificata come risposta ad un'intervista comparsa il giorno precedente sul Corriere della Sera in cui il presidente dell'agenzia, il dottor Ignazio Marcozzi Rozzi, a titolo del tutto personale, si era detto favorevole all'apertura di locali dove i tossicodipendenti che non intendono curarsi possano "farsi" in condizioni igieniche e sanitarie adeguate potendo contare su un'assistenza medica e psicologica. Tali eperienze in Olanda, Svizzera, Spagna, hanno dato risultati incoraggianti nel contenere e ridure le morti e le infezioni e nell'avvicinare i tossicodipendenti ai servizi di assistenza. Tutto questo però per i milit
anti di An e i loro ispiratori non era importante.
Nel mese di marzo si è riunita a Vienna la 43ma commissione narcotici dell'Onu. Il Partito radicale, unica organizzazione non governativa che, da quando vi partecipa, prende la parola a Vienna per criticare la politica proibizionista, aveva previsto due interventi: uno sul caso Afghanistan, per opporsi allo stanziamento di altri milioni di dollari per una "guerra alla droga" che ha contribuito all'aumento della produzione del papavero, facendo di quel paese, teatro di gravissime e sistematiche violazioni dei diritti umani, il massimo fornitore mondiale di eroina; l'altro in sostegno degli esperimenti noti come "shooting rooms" o "narcosalas", avviati in alcuni Paesi come ulteriore misura di riduzione del danno. Ai rappresentanti del Partito radicale in questa occasione è stato però impedito di prendere la parola.
In aprile la 3a sezione penale della corte d'appello di Roma ha confermato la condanna di Marco Pannella per la cesione gratuita di hashish compiuta al mercato romano di Porta portese nell'agosto del 1995. L'avvocato Giandomenico Caiazza, sostendeno l'innocuità dei derivati della cannabis sulla base delle conoscenze scientifiche, aveva chiesto l'assoluzione di Pannella, secondo quanto stabilito dal l'articolo 49 del codice penale (reato impossibile), in quanto il suo gesto non aveva poteva aver provocato alcun danno. In alternativa Caiazza aveva proposto un'eccezione di costituzionalità sulla legge nella parte in cui essa non prevede criteri uniformi per determinare la quantità minima di principio attivo delle sostanze.
Il giorno seguente Marco Pannella, Rita Bernardini e Lucio Bertè sono invece stati prosciolti dal tribunale di Milano per la cessione gratuita di hashish compiuta il 20 settembre del 1997 a Milano. Secondo il giudice Fabio Paparella nell'hashish ceduto dagli esponenti radicali la percentuale di principio attivo era così irrilevante da escludere che la sostanza potesse avere effetto drogante. Una decisione che ha smentito clamorosamente la sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione del 1998 ma che ha dimostrato anche l'asoluta incertezza del diritto che vige in Italia in materia di droghe. Per lo stesso identico fatto si può essere condannati a Roma o assolti a Milano, si può finire in galera oppure no. Bizzarrie della giurisprudenza cui sono sottoposti i milioni di consumatori di hashish e marijuana che non solo affrontano i pericoli del mercato criminale clandestino, ma possono rischiare condanne per comportamenti la cui offensività sociale è quanto meno dubbia.
In una primavera in cui l'iniziativa radicale è stata segnata principalmente dalla scedenza elettorale delle regionali e da quella referendaria, ma anche dalle sconfitte riportate su questi fronti, l'iniziativa antiproibizionista sulle droghe è stata assorbita essenzialmente dalle vicende processuali. All'inizio di maggio, il tribunale civile di Roma ha accolto il ricorso di Marco Pannella contro la sospensione dalla carica di consigliere comunale a Roma e ha inviato gli atti alla Corte Costituzionale. La sospensione, secondo quanto previsto da una legge del 1990, era stata disposta in conseguenza della condanna subita da Pannella in seguito alla distribuzione di hashish computa nel dicembre del '95. L'avvocato Giuseppe Rossodivita ha sostenuto l'irragionevolezza della norma che accomuna la detenzione per fini di spaccio di un modesto quantitativo di hashish a gravi reati concernenti la criminalità organizzata o il traffico di armi e prevede la sospensione e la successiva decadenza dalle cariche elettive con
la conseguente lesione del diritto costituzionale di elettorato passivo. Lo stesso rappresentante del Comune di Roma durante il dibattimento ha riconosciuto la rilevanza e la fondatezza delle tesi sostenute dalla difesa di Pannella, il quale in precedenze aveva ottenuto la solidarietà di quasi tutto il consiglio comunale e di altri esponenti politici.
Pochi giorni sopo, il 10 maggio, si è concluso il proceso di primo grado anche per gli altri esponenti radicali che con Marco Pannella avevano compiuto la disobbedienze civile dell'agosto '95 a Porta Portese. Rita Bernardini, Paolo Vigevano, Mimmo Pinto e Benedetto Della Vedova sono stati condannati a quattro mesi di reclusione e al pagamento di una multa complessiva di due milioni di lire. Assolto, invece, per non aver commesso il fatto, Vittorio Pezzuto. Il pubblico ministero Giovanni Salvi aveva chiesto invece la condanna a cinque mesi di reclusione.
Nel mese di maggio è tornato di attualità il dibattito sul problema del sovraffollamento degli istituti di pena. L'alto numero di tossicodipendenti in carcere ha rilanciato in maniera drammatica la discussione sulla politica delle droghe che costringe i tossicodipendenti a delinquere per procurarsi la "dose" quotidiana. I dati contenuti nella relazione annuale del Governo a questo riguardo sono a dir poco scandalosi: se nel 1999 nei Sert un tossicodipendente su due ha potuto usufruire di terapie metadoniche, nel carcere il rapporto crolla a uno su sedici con pochissimi trattamenti protratti. La discussione su possibili misure di clemenza, e più in generale sulla questione della sicurezza, è degenerata però ben presto in una sterile polemica elettoralistica che a tutt'oggi non ha portato a nessuna misura risolutiva mentre si moltiplicano i casi di violenza, di autolesionismo e di suicidio in carcere. Di fronte ad un centro-destra in cui sembrano aver ormai prevalso le posizioni più oscurantiste e clericali (n
on solo su questi temi, ma più in generale su tutto ciò che attiene alla libertà e alla responabilità individuale), vi è un centro-sinistra del tutto incapace di sviluppare un'autentica azione riformatrice. I radicali hanno cercato di distinguersi dall'inutile scontro tra i due "poli" rilanciando e riaffermando la proposta di legalizzare tutte le sostanze oggi proibite, che continua ad essere l'unico rimedio possibile per una società condannata ad essere devastata, prima che dalla 'drogà, dal sistema di corruzione e di profitti illegali che la droga proibita porta con sé.
In tema di politica sulle droghe, il confronto con quanto stava avvenendo e avviene tutt'ora in quei paesi europei che, seppure con cautela, cercano alternative ai danni causati dal proibizionismo, è davvero sconsolante. Il Portogallo ha avviato una, seppur timida e contraddittoria, depenalizzaizone e così è avvenuto in Belgio mentre in Danimarca si è aperto il dibattito sulla legalizzazione dell'Ecstasy. La Svizzera consolida sempre più la sua politica pragmatica e, mentre sta esaminando forme di legalizzazione della cannabis, le sue politiche fanno da esempio a varie amministrazioni locali tedesche. La Francia appare sempre più interessata ad un dibattito serio, mentre anche in Inghilterra il rigido proibizionismo sostenuto non solo dai Tories, ma anche dal premier laburista Blair mostra ormai più di una crepa. Nella Spagna governata dal centro-destra di Aznar, per un preciso accordo tra le foze politiche, la questione delle droghe era stata lasciata fuori dal confronto elettorale. E a Madrid, pur tra diff
icoltà e polemiche, è in atto da mesi l'esperimento delle "narcosalas" inserito in un più vasto programma di intervento che in pochi anni ha visto diminuire drasticamente le morti per overdose. In Italia, invece, i settantotto morti in meno del '99 sembrano uno sconto sufficiente al prezzo da pagare al proibizionismo, sempre che le cifre ripostate dalla relazione annuale del Governo siano attendibili, e non una inezia di fronte ali altissimi costi imposti a tutta la società non dalle sostanze ma delle leggi del mercato clandestino.
Se nel nostro Paese in materia di droghe (e non solo in questo campo) fa difetto una politica di certo non manca la polemica politica, soprattutto quando può esercitarsi sul nulla. Lo si è visto ancora una volta lo scorso settembre: sulla base di alcune anticipazioni giornalistiche che hanno diffuso, con qualche forzatura, le conclusioni alle quali è giunta la commisione sanità del Senato al termine dell'indagine conoscitiva sugli interventi per la lotta alle tossicodipendenze, è divampata una polemica che non aveva alcuna ragion d'essere. L'unica novità contenuta nella relazione del senatore Di Orio è infatti che per la prima volta un organo parlamentare, senza peraltro trarne le dovute conclusioni, ha preso atto dei positivi risultati conseguiti in alcuni Paesi grazie ad una strategia di riduzione del danno pragmatica e libera da pregiudizi. Attorno alla relazione si è così consumata l'ennesima contrapposizione tra l'incapacità dei "liberali" e dei "progressisti" di assumere qualunque iniziativa innovativa
e il proibizionismo ideologico e demagogico di clericali e post-fascisti. Così, finito il fuoco fatuo delle polemiche, l'indagine conoscitiva della commissione sanità del Senato è rimasta lettera morta. Qualche giorno dopo, a Palermo, si è tenuto l'ennesimo convegno in cui il proibizionismo internazionale ha celebrato una delle sue ricorrenti celebrazioni solenni: alla terza conferenza mondiale per la prevenzione delle tossicodipendenze si è assistito così ad un'altra requisitoria contro ogni più debole apertura non solo alla legalizzazizone, ma anche a politiche sociosanitarie ispirate alla riduzione del danno. Una passerella di esponenti del governo, alte cariche dello Stato, politici per i quali, evidentemente, l'adesione al proibizionismo sulle droghe è un lasciapassare necessario per entrare nelle stanze buone del potere e non invece una adesione qualunquista ad una politica cinica e criminogena. Nessuno dei partecipanti alla conferenza, infatti, ha colto l'opportunità per aprire una riflessione prefer
endo, invece, chiudere gli occhi e continuare a ripetere la solita litania con la benedizione della alte gerarchie vaticane. Il proibizionismo, sulle droghe come sulle biotecnologie, sulla bioetica come sulla clonazione o la laicità dello Stato, si dimostra così come il tratto distinitvo di un ceto politico incapace di di governare i problemi e che affonda lentamente ma inesorabilmente nelle sabbie mobili della politica genuflessa all'etica. Identico copione ideologico poco meno di un mese dopo a Roma, in occasione del "giubileo" della Comunità Incontro di don Gelmini benedetta da un pontefice ridotto ormai a cappellano militare di ogni proibizionismo e come molti cappellani militari costretto o disposto a benedire tutte le armi, anche quelle dell'offensiva clericale alla verità e alla libertà della scienza e della conoscenza. Il Papa, infatti, non si è limitato alla denuncia dei "pericoli" dell'antiproibizionista, ma, contro ogni evidenza storica e scientifica, ha contestato addirittura l'esistenza e l'effi
cacia di strategie di cura medica e farmacologica delle dipendenze (legali o illegali che siano) validate dalla ricerca scientifica e dall'esperienza clinica. Stessa musica qualche giorno dopo all'annuale meeting internazionale della comunità di San Patrignano tutto incentrato su di un attacco senza quartiere alle terapie farmacologiche in nome di un utopistico "mondo senza droga" che è il leit motiv della fallimentare e costosissima politica del vice segretario dell'Onu Pino Arlacchi che con notevole ottimismo sostiene di essere ad un passo dalla vittoria finale.
Il 18 ottobre si è felicemente conclusa alle Nazioni Unite la vicenda che ha visto il Partito radicale transnazionale accusato dalla Russia di essere un'organizzazione filoterrorista, finanziata dai narcotrafficanti e dedita a diffondere la pedofilia. Accuse assurde, grossolane e strumentali di cui non varrebbe la pena parlare se non nascondessero il tentativo di alcuni governi (oltre al quello russo, citiamo la Cina, Cuba e il Sudan) di mettere a tacere le organizzazioni non governative attive nella denuncia delle violazioni dei diritti umani. Per fortuna il voto finale del Consiglio economico e sociale, con un voto senza precedenti nella storia delle Nazioni Unite, ha respinto la richiesta rusa e il Partito radicale potrà continuare la sua presenza attiva non solo nella denuncia dell'attuale politica sulle droghe, ma anche nelle campagne per l'abolizione della pena di morte e per l'istituzione del tribunale penale permanente per i crimini contro l'umanità.
Il 10 novembre di quest'anno, infine, si è concluso il processo per la cessione gratuita di hashish compiuta da Marco Pannella il 28 dicembre 1995 durante la trasmissione televisiva "L'Italia in diretta" condotta da Alda D'Eusanio. Con una decisione assolutamente inattesa i giudici dellla seconda sezione penale del tribunale di Roma hanno deciso di assolvere Pannella perchè il fatto non costituisce reato. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a un anno e mezzo di reclusione con le attenuanti. L'avvocato difensore di Pannella, Giandomenico Caiazza, ha invece proposto una questione di costituzionalità rispetto alla indeterminatezza e alla irragionevolezza della norma penale contemplata dall'articolo 73 della legge sulla droga, quello che proibisce "a qualunque titolo" la cessione delle sostanze proibite. Al momento in cui scriviamo non sono note le motivazioni della sentenza: certo è che i giudici, con questa decisione, hanno incrinato e messo in discussione uno dei cardini del meccanismo repressivo del
la normativa in vigore in Italia. E questo non potrà non avere effetti sull'applicazione della legge, in attesa che un giudice decida di portare davanti alla Corte Costituzionale norme di cui è ormai evidente il completo impazzimento.
Sui temi dei diritti civili, la nonviolenza e la disobbedienza civile hanno finito dunque per dimostrarsi una via adeguata, urgente e prudente per indicare e ottenere la riforma delle norme. Che il proibizionismo "droghi" il diritto e le leggi è cosa che molti, anche fra i proibizionisti, sanno ed accettano da tempo come una dolorosa necessità. Il gioco però dovrebbe almeno valere la candela, dovrebbe produrre, in qualche modo, buoni risultati. Fino a che punto un Paese, una società possono continuare ad affogare nel bicchiere d'acqua del moralismo, fingendo di sfidare il mare della criminalità? Fino a che punto un Paese, una società possono sopportare i costi sanitari, sociali, politici, economici che il proibizionismo impone per non voler pagare il costo della legalizzazione delle droghe oggi proibite?