A Emma Bonino, commissario europeo, per gli Affari sociali,
"L'Espresso" ha chiesto una testimonianza sul viaggio effettauto
il 15 luglio, tra i profughi accolti a Tuzla
L'ESPRESSO - pag. 40, foto Bonino
di Emma Bonino da Tuzla (testo raccolto da Enrica Majo)
Questa era la prima volta che andavo a Tuzla. Altre volte ero
andata a Mostar e a Sarjevo. E' Stata, si può dire, una decisione
improvvisa. Dopo un incontro a Bruxelles col Ministro degli
Esteri bosniaco, Mohamed Sacirbey, mi sono resa conto che non
sapevamo quasi nulla di quello che avveniva in quella zona della
Bosnia, le notizie erano tutte incerte, confuse,
contraddittorie...
Da Zagabria, dove sono arrivata nella notte, parto
prestissimo, sabato mattina per Spalato. Proseguo poi per Tuzla
su di un elicottero dell'Alto commissariato per i rifugiati. Mi
accorgo subito che i profughi qui concentrati sono molto meno dei
20mila di cui parlava la Cnn. Saranno al massimo cinquemila. Mi è
venuto un colpo: "Ma dove saranno finiti?". Mi spiegano che il
governo bosniaco ha deciso di collaborare e ha requisito
palestre, fabbriche, scuole. Questi disperati non sono
all'addiaccio, anche se le autorità bosniache continuano a
considerarli, giustamente, "profughi delle Nazioni Unite".
Le tende sono del tipo poccolo, alcuni soldati dell'Unprofor
stanno costruendeo delle latrine, ma nel campo non c'è acqua. La
prima impressione è stata scioccante. Nel campo ci sono donne di
almeno 40 anni e bambini piccoli. E vecchi. Ci sono poche ragazze
giovani, mancano completamente i diciassettenni e i diciottenni,
e gli uomini cosiddetti validi. La gente si avvicina a noi che
passiamo. Nessuno piange. Tutti fanno la stessa domanda: "Sapete
dov'è mia figlia, mio marito, mio padre?". Ora la Croce Rossa
passerà da ciascuno di loro per farsi dare i nomi di coloro che
mancano e tutto sarà informatizzato.
E' impressionante vedere una popolazione di profughi tutta al
femminile. Donne che ti chiedono dei figli e dei mariti. Molte
sono incinte. Dei ventimila arrivati a Sebrenica, ottomila erano
cittadini del posto, gli altri profughi che si erano rifugiati là
da altri luoghi. E la differenza di comportamento, tra chi è al
suo primo giorno d aprofugo e chi ha già una lunga esperienza, si
vede subito, da come si muove, da come sistema le sue poche,
povere cose.
Il tempo è variabile. La zona intorno all'aeroporto ha i
colori dell'estate, come da noi in campagna, ma verso sera
scoppiano puntuali i temporali. Le donne hanno i loro variopinti
vestiti e sono macchie di colore che si muovono, si intersecano.
Ci hanno chiesto di procurare loro sapone, detersivi; Nessuna di
loro piange. E nemmeno i bambini. Sui loro cigli ci sono soltanto
quelle che io chiamo lacrime asciutte.
Vedo il Sindaco e il ministro delle Finanze cantonale e il
ministro federale per i rifugiati, che mi informano sui progetti
futuri. Hanno già preparato un progetto di massima per tentare di
inserire questi profughi in attività produttive. Il sindaco ha
anche detto che l'amministrazione ha deciso di collaborare con le
organizzazioni internazionali anche se continua a ritenere che
questi siano profughi che devono essere presi in carico dalle
Nazioni Unite. Perché è l'Onu che, dopo aver loro assicurato
protezione, li ha abbandonati. Io ho chiesto che cosa intendano
fare per Zepa da dove dovrebbero arrivare altri 15mila profughi.
Mi ha risposto che stanno preparando dei campi a Zenica. Intanto
l'Unicef, visto che ci sono tanti bambini, sta allestendo due
stazioni pediatriche. Insomma si cerca di lavorare al meglio.
certo la situazione è terribile. Non perchégli aiuti alimentari e
i medicinali manchino, ma perché nessuno potrà mai ripagare
questa gente per i mariti uccisi, le figlie stuprate, le case
distrutte.
Quando sono arrivata, pensavo che ci fosse più disperazione,
più rancore, più odio, ma non l'ho visto. Mi aspettavo un
desiderio di vendetta. Invece non ho visto né sentito niente di
tutto questo. E' come se la paura li avesse completamente
anestetizzati.