La parità dei sessi è legge, ma non è ancora entrata nella mentalità di tutti. Per dodici giorni a Pechino l'altra "metà del cielo" sotto i riflettori del mondo intero
DONNA, UNA VITA A OSTACOLI
CHI, settimanale, pag. 97/98, foto Bonino e foto Bonino e Pannella
di Daniele Antonietti
Gli italiani erano abituati a vederla in prima linea nelle battaglie per i diritti civili, magari con un cartello di protesta al collo.
Sempre determinata, sempre aggressiva, tanto che a volte le piaceva spingersi un po' sopra le righe, per il gusto di provocare o per dare più efficacia ai propri argomenti. E quando s'affacciava in tv, subito il dibattito da sonnacchioso diventava vivace e, se occorreva, perfino turbolento.
Oggi Emma Bonino, l'incorreggibile "rompiscatole" della nostra politica, è, con Mario Monti, uno dei due commissari italiani all'Unione europea. I commissari sono l'equivalente dei ministri in un Governo nazionale e lei, per di più, regge tre "ministeri", perché ricopre l'incarico per gli aiuti umanitari, per la pesca e per i diritti dei consumatori. Il suo ruolo è così importante e lo svolge in maniera così incisiva che se n'è accorto anche il settimanale francese L'Express, inserendola, insieme con il Nobel Rita Levi Montalcini e con il magistrato antimafia Ilda Boccassini, nella lista delle cento donne che "mandano avanti il mondo". Cento in tutto sull'intero pianeta. Un'élite superselezionata, che rappresenta l'avanguardia di tre miliardi di donne. Come avrà preso questo simbolico riconoscimento? "Molto banalmente, confesso che mi ha fatto piacere", dice Emma Bonino nel suo ufficio di Bruxelles. "Ho apprezzato anche il fatto che le tre italiane siano state scelte in settori cosi diversi e non solo nel
campo della politica".
Domanda. Lei ricopre un incarico di alto livello nell'Unione europea. In quanto donna ha trovato degli ostacoli?
Risposta "Le istituzioni europee sono lo specchio delle culture nazionali ed è normale, per esempio, che i colleghi svedesi, il cui Governo è costituito per metà da donne, riflettano anche in Commissione il livello raggiunto dalla loro società. Attorno al tavolo della Commissione, dove come donne siamo in tutto cinque, non mi sento comunque particolarmente discriminata".
D. Dov'è allora il problema?
R. "In Europa non c'è una discriminazione legislativa nei confronti della donna. Esiste però un'organizzazione sociale in base alla quale, in molti Paesi, la donna si trova ad avere tanti, troppi ruoli, perché né la società, né il partner si fanno carico di compiti come, per esempio, allevare i figli oppure occuparsi degli anziani. In Italia incombenze che altrove vengono svolte dai servizi sociali, o sono suddivise con il partner, ricadono tutte sulla donna, che per di più, di solito, lavora".
D. Quindi in Italia e una questione più di cultura che di leggi?
R. "Sicuramente. Anzi, la legislazione italiana è molto avanzata. Contrariamente ad altri Paesi, da noi il periodo di aspettativa per maternità è previsto anche per gli uomini, oltre che per le donne. Però quasi nessun uomo ne ha usufruito, per ragioni pratiche, ma anche psicologiche. Qual è il manager che si assenta per mesi da un'azienda per seguire il figlio? E d'altra parte, la donna che fa un figlio poi vuole anche goderselo un po'. Ci sono quindi motivi diversi, anche complessi, che determinano questa situazione, ma non discriminazioni legislative".
D. Gli italiani non fanno più figli. Quanto influisce su questo fenomeno la difficoltà di conciliare maternità e lavoro?
R. "Credo influisca molto, ma credo anche che, come nelle oscillazioni di un pendolo, si tratti di una risposta agli eccessi di nascite del passato. Prima o poi verrà trovato un punto di equilibrio. L'importante è che sia una scelta individuale e responsabile, mai obbligata. Alla decisione di non avere figli non si deve arrivare costretti dalle circostanze".
D. Nella sfera sessuale la donna italiana risente ancora dei condizionamenti di una certa cultura maschilista tipica del nostro Paese?
R. "Dipende dalla condizione sociale e dalla collocazione geografica. Ma se la volgarità da noi è un dato tradizionale, se l'uomo italiano tende a essere sempre un po' casereccio e greve nei confronti della donna, c'è un aspetto ancora peggiore ed è quello dell'istigazione alla violenza sulla donna che viene trasmessa da molta pubblicità. E' una questione di puro e semplice rispetto umano, sulla quale i pubblicitari dovrebbero riflettere".
D. Il 4 settembre a Pechino incomincia la quarta Conferenza mondiale sulle donne. Ci saranno delegazioni di 185 Paesi e di 2.500 organizzazioni non governative, con la partecipazione di migliaia di persone. E' un evento di cui parlerà il mondo intero. Ma servono davvero queste manifestazioni?
R. "Molto, anche se è illusorio pensare che queste iniziative abbiano degli effetti immediati. Faccio un esempio. Nel 1992 c'è stata la conferenza di Rio de Janeiro sull'ambiente. Non ha avuto subito conseguenze pratiche rilevanti, eppure è servita a convincere il mondo che il problema ambientale non era una preoccupazione solo dei verdi, ma riguardava tutti. Tanto che poi è stata messa a punto la Convenzione sul mare, che tutela le acque. La conferenza di Pechino può essere utile per affermare che esiste un problema donna nel pianeta, anche se diverso da un continente all'altro. Il problema è semplicemente questo: la differenza sessuale si è tradotta in generale nel mondo in una condizione di inferiorità. Se si riuscisse a lanciare il messaggio che diversità non è inferiorità e che questa questione non è patrimonio solo dei gruppi femministi, sarebbe già un enorme successo".
D. Qualcuno ha criticato la scelta di Pechino, capitale di un Paese dove la situazione della donna è particolarmente difficile e dove c'è poca libertà.
R. "Al contrario, si tratta di una scelta giusta. Tenere questa conferenza in un "punto" critico del mondo puo' magari servire ad aprire spiragli di libertà".
D. I "punti" critici del mondo ci riportano al suo incarico. Che cosa fa l'Unione europea per i profughi dell'ex Jugoslavia?
R. "E per quelli del Ruanda del Burundi... Pochi sanno che l'Unione europea è il più grande donatore mondiale di aiuti a livello umanitario e che contribuisce per il 60 per cento al bilancio dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati. Per esempio, in Serbia, dove sono affluiti 350 mila profughi, l'Unione europea è stata negli anni scorsi l'unico erogatore di fondi per scopi umanitari. Certo, in proporzione abbiamo investito di più in Bosnia e in Croazia, perché noi, per regola, non finanziamo i Governi, ma diamo direttamente alle popolazioni attraverso le organizzazioni umanitarie".
D. Che certezza avete che gli aiuti vadano davvero alle popolazioni?
R. "l nostro controllo è totale. Nell'ex Jugoslavia, però, bisogna tenere conto che c'è una situazione di guerra e che il 20-30 per cento dei nostri aiuti vengono derubati dalle parti in conflitto. A Sarajevo, per esempio, oggi è impossibile inviare ogni soccorso umanitario, perché a causa dell'assedio ultimamente siamo riusciti a far arrivare solo il 13 per cento degli aiuti. A Bihac, chiusa nella morsa serba, non è stato possibile entrare per mesi, per cui gli abitanti si sono trovati alla fame prima della liberazione. Nell'ex Jugoslavia il vero problema è l'accesso degli aiuti".
D. Si puo' sperare in una soluzione o dobbiamo aspettarci il peggio?
R. "L'esodo dei profughi non è ancora finito, purtroppo. Di recente sono stata a Vojnic, in Croazia, dove sono bloccati 25mila musulmani, accampati per strada in piccole tende, in capanne di frasche, sotto una pioggia incessante che ci ha impedito perfino di ripartire con l'elicottero. La situazione sanitaria è gravissima: là vicino scorre un fiume, ma nessuno ha stabilito qual'è il punto dove l'acqua si può bere, quello dove ci si può lavare, quello dove si può fare altro... C'era una famiglia che aveva chiesto di incontrarmi, ma non sono arrivata in tempo: il fango li ha spazzati via con la capanna nella quale si erano rifugiati. Ho trovato qualcosa di simile soltanto a Goma, nello Zaire, dove erano affluiti i profughi del Ruanda. Con la differenza che Vojnic non è in Africa, ma solo a cento chilometri da casa nostra. E in più, naturalmente, ci sono gli orrori della guerra... ".
D ...tra i quali gli stupri, per tornare al tema della donna.
R. "Certo. Nell'ex Jugoslavia lo stupro viene usato come una baionetta, come un'arma di guerra. Rientra in una politica ben precisa di "contaminazione" di una specie. E mira innanzitutto a colpire la vittima di sempre: la donna".