Quasi le esplosioni avvenissero nella nostra testa, gli esperimenti nucleari francesi hanno un merito. Uno solo: quello di costringerci a riflettere. E' a questa riflessione che vorrei contribuire: a titolo personale, da comune cittadina europea.
Gli aspetti ecologici della vicenda ci ripropongono il dilemma tra il breve e il lungo periodo. Credo si possa ragionevolmente affermare che i test nucleari sotterranei hanno in genere uno scarso impatto sull'ambiente circostante i poligoni, sia esso l'atmosfera o il mare. A Mururoa, ad esempio, la concentrazione di isotopi radioattivi di Stronzio e di Cesio è inferiore a quella rilevabile mediamente in Europa dopo l'incidente di Chernobyl. Non così per il Plutonio; ma questo sembra dovuto agli esperimenti nell'atmosfera, condotti nello stesso sito dai francesi sino al 1974. D'altro canto nessuno è in grado di escludere, appunto nel lungo periodo, una fuga di elementi radioattivi dai siti delle esplosioni a seguito di una rottura improvvisa della struttura geologica dell'atollo. Perciò, anche un solo test potrebbe finire per essere la classica pagliuzza di troppo che spezza la schiena del cammello. Fatto questo che spero induca i francesi a riconsiderare il resto del programma.
Da federalista, trovo frustrante che l'Unione europea non abbia alcuna voce in capitolo nella decisione francese. Nell'Unione includo, ovviamente, l'istituzione di cui faccio parte: la Commissione, ovvero l'esecutivo dell'Unione europea. E' vero che esistono due articoli (34 e 35) del Trattato Euratom che, in caso di esperimenti nucleari "particolarmente pericolosi", impongono al governo francese di consultare la Commissione e di farla accedere "agli impianti di controllo" per "verificarne il funzionamento e l'efficacia". Anche se evidentemente ritiene che i propri test nel Pacifico non siano "particolarmente pericolosi", Parigi avrebbe fatto bene a seguire questa procedura, se non altro per ragioni di opportunità politica. Ha ragione, dunque, la Commissione a insistere con le autorità francesi per ottenere informazioni e accesso al poligono prima del prossimo test.
Quanto accaduto sembra dare ragione a chi ha interpretato le dichiarazioni di Juppé sulla vocazione europea del deterrente nucleare francese come un tentativo di deflettere la valanga di critiche, specie quelle provenienti dall'Unione stessa. Ma poiché tutto ciò che serve ad alimentare la discussione sulla politica estera e di sicurezza comune è benvenuto, conviene prendere sul serio l'uscita del governo francese. Per dir questo: che tutto ciò che continua a muoversi in una pura logica intergovernativa, piuttosto che nello spirito di una messa in comune di procedure e risorse, è inutile. Nel caso della dissuasione nucleare è persino un dejà-vu.
Il passaggio da nazionale ad europeo del deterrente francese può entrare nell'agenda dell'Unione solo quando questa avrà un solo esercito e un solo meccanismo decisionale. Insomma: può essere iscritto all'ordine del giorno solo di un'Europa compiutamente federale. Farlo ora vorrebbe dire ripetere i dibattiti semiteologici degli anni sessanta tra Stati Uniti ed alleati europei della NATO sulla Forza Multilaterale. Davvero vogliamo farci un mini Nuclear Planning Group per discettare di reliquie del passato tipo doppia-chiave, targeting (a proposito: contro chi dovremmo puntarle queste armi nucleari franco-europee?), soglia nucleare e così via? Tutte discussioni inutili perché in una logica inter-governativa - come era ed è il caso tra gli Stati Uniti e gli altri quindici paesi della NATO - il governo che possiede le armi nucleari resta il solo che può ordinarne l'eventuale impiego.C'è anche bisogno di riflettere con un po' più di candore sul ruolo delle armi nucleari oggi. A cosa servono e di quali vantaggi go
de chi le possiede? Hanno forse risolto la crisi europea più grave dalla fine della seconda guerra mondiale, l'exJugoslavia? Aiutano o aggravano la soluzione dei problemi russi? Gli americani, che le hanno, riescono per questo a rendere più malleabili i giapponesi, che non le hanno, nei contenziosi commerciali? Alla fine, l'unica ragione plausibile per possedere armi nucleari è quella di dissuadere altri dall'usarle. E' una logica autoreferenziale: le armi nucleari esistono perché esistono le armi nucleari. Non sarà arrivato il momento di disfarsene in blocco?
Antinucleare da sempre, io spero che l'Europa federale per cui mi batto possa fare a meno di un proprio deterrente nucleare. Come? Con la stessa procedura con cui gli Stati membri hanno già rinunciato ad altre armi di distruzione di massa: con un trattato globale per l'interdizione completa di tali ordigni. La strada può sembrare lunga, persino più lunga di quella per costruire l'Europa. Ma, finita la guerra fredda, non si può negare che l'abbiamo imboccata. E se la Francia e le altre potenze nucleari rispetteranno l'impegno preso di arrivare all'interdizione totale e definitiva dei test entro il 1996, ne avremo almeno percorso un altro tratto.
Emma Bonino
Commissario europeo