Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 03 mag. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maurizio - 1 ottobre 1995
Un ruolo per l'Europa

Sapere, bimestrale, ottobre 1995, pag. 20/21

di Emma Bonino

Il primo intervento d'urgenza della Comunità europea risale a vent'anni fa. Ma è con la fine della guerra fredda che gli impegni umanitari della Commissione europea si sono velocemente moltiplicati, passando da 114 milioni di Ecu nel 1990, a 368 nel 1992, a 764 l'anno scorso. Il 1992 è anche l'anno della costituzione dell'ufficio per gli aiuti umanitari (ECHO, European Community Humanitarian Office), ora sotto la mia diretta responsabilità.

Sommando agli sforzi dell'Unione quelli degli Stati membri, l'Europa provvede oggi a due terzi di tutti gli aiuti umanitari della comunità internazionale, pari questi ultimi a circa tre miliardi di Ecu nel 1994. La realizzazione dei programmi di Echo avviene indirettamente, per il tramite di agenzie delle Nazioni Unite e di Organizzazioni Non Governative (ONG). Tali programmi hanno interessato l'anno scorso circa sessanta paesi - anche se il grosso degli aiuti si è riversato sull'ex Jugoslavia (270 milioni di Ecu) e sulla regione africana dei grandi laghi (Ruanda e Burundi: 220 milioni di Ecu).

Questi, in cifre, i risultati del lavoro di ECHO. Quello che le cifre non esprimono, ma che ho constatato di persona nel corso di tre visite sul terreno (nell'ex Jugoslavia, nell'Africa centro-orientale e nei Caraibi) è l'alto livello di efficienza e di professionalità dei nostri partner - in condizioni, come è facilmente immaginabile, il più delle volte estreme.

Di fronte a questo consuntivo sarebbe facile lasciarsi andare a un certo autocompiacimento. Al contrario, esso solleva numerosi problemi. O meglio varie dimensioni di uno stesso problema, che è il seguente. Riuscirà ECHO a tenere questo passo negli anni a venire, tenuto conto che non esistono segni di una diminuzione nel numero e nella gravità delle crisi da fronteggiare?

E' in gioco insomma la sostenibilità nel tempo dell'azione umanitaria dell'Unione - in un clima, si badi, di generale stanchezza dei donatori in tutti i paesi ricchi. Sostenibilità finanziaria: non è pensabile che le risorse continuino a crescere esponenzialmente anno dopo anno. E infatti già nel 1995 non appare facile attestarsi sugli stessi livelli dell'anno precedente. Ma soprattutto sostenibilità politica, quella che in ultima analisi consente lo stanziamento dei programmi.

A questo riguardo l'azione di ECHO deve esere resa più visibile. Poiché sono le ONG e le agenzie ONU a mostrare la bandiera sul terreno, il contribuente europeo è spesso ignaro del fatto che è l'Unione a farsi carico della maggior parte delle crisi umanitarie. Per rimediare a questo problema abbiamo chiesto a tutti i nostri partner di esporre accanto al proprio il logo di ECHO, dovunque esse agiscano. A partire da quest'anno, inoltre, abbiamo deciso di devolvere l'1% del nostro bilancio a una campagna di informazione sugli aiuti di emergenza comunitari.

Ad aggravare quella che ho chiamato la sostenibilità politica della nostra azione c'è il fatto che una parte degli aiuti umanitari in ex Jugoslavia e in Ruanda è indubbiamente finita ad alimentare i combattimenti. Spiegare che questo è il prezzo da pagare per riuscire a raggiungere la popolazione civile non basta. I cittadini dell'Unione hanno ragione di chiedersi, in questi casi, se valga la pena prolungare l'aiuto. Posso solo dire che è la stessa domanda che si pone la Commissione e che non c'è una soluzione diversa dal decidere volta per volta, sulla base delle circostanze della specifica emergenza.

Quando si parla di aiuti umanitari, si sente spesso sottolineare come sarebbe possibile essere più efficaci se soltanto si potesse contare su un meccanismo di diplomazia preventiva e di prevenzione dei conflitti. Sono d'accordo con chi solleva quetso rilievo, perché è certamente più costoso e meno efficiente agire ex post. Tuttavia sono convinta che non spetti ad ECHO occuparsi del problema della prevenzione. Il nostro Ufficio non puo' sostituire l'azione politica dei governi. Detto in termini più crudi: l'azione umanitaria non puo' essere la foglia di fico dell'inazione politica.

Rimane comunque da chiedersi: l'Unione in quanto tale è oggi in grado di porre in essere meccanismi di diplomazia preventiva? La risposta è no. Non è, sia chiaro, solo un problema di volontà. Se anche i quindici decidessero di attribuire un ruolo cardine alla prevenzione delle situazioni di crisi, ci si dovrebbe arrestare di fronte alla evidente mancanza di mezzi. In questo campo, non esiste alcun meccanismo istituzionale che permetta all'esecutivo dell'Unione di svolgere un compito analogo a quello che la vede protagonista sul fronte esonomico e legislativo. Manca insomma una struttura simile al National Security Council statunitense - una struttura che raccolga le informazioni, le valuti alla luce degli interessi comuni a lungo termine, e sia in grado di offrire a chi prende le decisioni un ventaglio di opzioni di politica estera.

Colmare questa lacuna è una delle sfide più importanti che la Conferenza Inter-governativa del 1996 dovrà raccogliere. Nel frattempo, tuttavia, le vittime dei disastri e dei conflitti non possono certo attendere che emerga una Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) degna di questo nome. Il mandato di ECHO è basato su tre principi: neutralità, imparzialità e apoliticità degli aiuti. Mentre mi auguro che l'Unione e i governi degli Stati membri trovino presto il coraggio di superare gli attuali limiti della PESC, questi principi continueranno ad ispirare l'azione umanitaria della Commissione.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail