Intervista ad Emma Bonino, Commissario europeo responsabile per l'aiuto umanitario d'emergenza (ECHO)INTERSOS notizie, bimestrale, pag.2
On. Bonino, dall'inizio del '95 l'Unione Europea, tramite la sua struttura specializzata ECHO, ha dato un nuovo impulso all'aiuto umanitario, anche pressata da situazioni di straordinaria gravità. Sembra che oltre alle catastrofi naturali, quelle causate dall'uomo stiano moltiplicandosi in varie regioni del mondo, anche a seguito del fallimento dell'iniziativa politica. Di fronte a questo, le risorse per farvi fronte con aiuti urgenti alle popolazioni sono meno disponibili di un tempo, obbligando quindi ad una più attenta delimitazione degli obiettivi e forse della tipologia degli interventi. Qual'è la sua posizione, in quanto Commissario dell'Unione Europea?
Originariamente, i pionieri dell'intervento umanitario fornivano assistenza più che altro alle vittime di disastri naturali. Oggi, il nostro lavoro è soprattutto dominato dalla necessità di sostenere i bisogni delle popolazioni civili vittime di conflitti armati. Questo cambiamento risale al 1990, con la crisi del Golfo. Da allora, l'elenco delle catastrofi create dall'uomo è aumentato di anno in anno, e la crescita del livello di spesa ne rappresenta una diretta conseguenza.
Tanto per ricapitolare: nel 1975, la Comunità Europea spendeva circa 5 milioni di ECU a favore di quello che si potrebbe chiamare un "pronto soccorso" per le emergenze. Nel 1990 le uscite furono di 115 milioni di ECU. L'anno scorso, 1994, il totale speso dall'Unione Europea in aiuti umanitari -senza contare il bilaterale di ogni singolo Stato membro - è stato di ben 765 milioni di ECU (circa 1.700 miliardi di lire) soprattutto in Ruanda, ex Jugoslavia ed ex Repubbliche sovietiche.
E le prospettive di pace su scala globale non sono esattamente rosee per quest'anno. Chiedersi (e preoccuparsi) da dove verranno i soldi per aiutare i 20 milioni di persone circa che fuggono da conflitti in più di 40 zone di guerra del mondo, è quindi legittimo e condivisibile. Scorgiamo infatti forti segnali di donor's fatigue provenienti da numerosi Stati membri. Segnali non ancora tradotti in ECU, ma di cui sicuramente vedremo presto le conseguenze a livello di bilancio.
Inoltre, occorre ricordare che la natura stessa dei disastri umanitari è tale da impedirci di predire quale sarà la domanda, e quindi di programmare il livello degli aiuti; siamo certi pero' che i bisogni aumenteranno. Non per questo pensiamo di limitare i nostri obiettivi, né di restringere il tipo di aiuto. Ma certamente stiamo facendo il massimo affinché i fondi siano ben spesi. Buttare al vento i soldi delle crisi è qualcosa che non possiamo permetterci. Senza dubbio rafforzeremo gli sforzi per selezionare i progetti con partner che hanno dimostrato competenza ed efficacia sul terreno. Personalmente, ritengo che il lavoro umanitario sul posto non sia un'attività amatoriale, da buon samaritano, ancorchè ben intenzionato.
A suo avviso quale tipo di migliore coordinamento tra l'azione umanitaria diretta dei singoli paesi dell'UE e quella di ECHO sarebbe auspicabile per una maggiore efficacia degli interventi?
Di fronte a qualsiasi crisi complessa, ECHO per prima cosa riunisce le organizzazioni umanitarie per scambiare le informazioni e valutare la situazione. Questa procedura è finalizzata allo scopo di assicurare che le rispettive azioni siano complementari, anziché creare inutili doppioni. Ovviamente, questo riguarda solo le organizzazioni che operano grazie ai fondi di ECHO. Alcune di queste organizzazioni ricevono anche finanziamenti direttamente dagli Stati membri e quindi avere accesso a maggiori informazioni sulle finalità e modalità d'impiego degli aiuti bilaterali non puo' che rafforzare le sinergie, e noi, di ECHO, incoraggiamo molto questo approccio.
Anche dopo l'emergenza acuta, come la fame e la guerra, vi sono paesi che globalmente continuano a rimanere in una situazione di emergenza. E' il caso della Somalia, in cui l'aiuto alla popolazione difficilmente puo' essere configurato già come aiuto allo sviluppo. A questo proposito, come puo' essere rivisto e ampliato il mandato di ECHO?
Concordo con il fatto che le emergenze spesso si trascinano per lunghi periodi invece di limitarsi ai danni immediati dovuti ad una crisi (vedi il caso dei campi profughi in Ruanda). Ma la filosofia di ECHO non è mai stata quella di "mollare" dopo la fase acuta di una crisi. La nostra definizione di emergenza copre almeno le prime fasi della riabilitazione necessarie per preparare il terreno ad una cooperazione allo sviluppo vera e propria. Non vi è la necessità di un nuovo o più esteso mandato per consentirci di svolgere questo tipo di lavoro. Alcuni esempi, tra le cose che regolarmente facciamo: riparare scuole ed ospedali danneggiati, ripristinare o migliorare le infrastrutture idriche e sanitarie, sostenere la riabilitazione delle vttime delle mine anti-uomo...
Le ONG si configurano sempre più come un importante braccio operativo dell'UE e di altre istituzioni internazionali nel settore dell'aiuto umanitario. Come valuta, in generale, il loro operato? E cosa auspicherebbe in particolare per le ONG italiane?
Le ONG svolgono un ruolo cruciale nell'attività di ECHO. Più di 150 ONG hanno firmato l'accordo di partenariato con noi e noi continuiamo a reclutare quelle con una provata esperienza sul terreno. L'anno scorso, quasi il 42% del totale dei fondi ECHO è stato distribuito attraverso le ONG. Loro e le agenzie internazionali con le quali operiamo sono il nostro anello di congiunzione con i professionisti che lavorano sul terreno. Oltre 20 ONG italiane hanno firmato l'accordo, voi inclusi. Sottolineo che siamo alla ricerca della qualità, non della quantità. Molti esperti sostengono che vi sono troppe ONG che competono tra di loro al fine di ottenere fondi; quindi sia chiaro che noi non reclutiamo tanto per alimentare i nostri elenchi! Il mio messaggio alle organizzazioni umanitarie italiane, d'altronde così come a tutte le altre, è quello di massimizzare le proprie capacità ed energie: ossia concentrare le risorse per sviluppare la propria specializzazione ed expertise da applicare in aree del mondo dove già esis
te un'esperienza consolidata, piuttosto che tentare di diversificarsi ad ogni costo.