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Conferenza Emma Bonino
Commissione Europea Letizia - 6 ottobre 1995
Verso la Conferenza intergovernativa del 1996: un governo per l'Europa

I prossimi due anni sono decisivi per l'avvenire dell'Europa; l'Unione europea si trova dinanzi ad una scelta divenuta oramai improcrastinabile : accentuare i suoi caratteri federali ed incamminarsi verso una vera integrazione politica di tipo federale oppure rassegnarsi alla trasformazione in una zona di libero scambio.

Il contesto generale in cui si inquadra la riforma del 1996

- il quadro politico europeo è profondamente mutato con la caduta del muro di Berlino: in assenza di "un nemico comune" viene a mancare un elemento forte di coesione e si manifestano forze centrifughe. Ne consegue una forte instabilità politica del continente europeo congiunta a fenomeni di nazionalismo e di intolleranza alle frontiere dell'Unione ma anche al suo interno;

- sul piano economico persiste un'elevata disoccupazione mentre si accentua il divario economico e sociale tra regioni ricche e regioni povere;

- le pressioni per un ampliamento in tempi brevi (in aggiunta ai tre Paesi che sono entrati a far parte dell'Unione a partire dal gennaio scorso) pongono notevoli problemi per il funzionamento futuro delle istituzioni europee nonché in relazione ai costi che dovrebbero essere sopportati dal bilancio comunitario (finanziamento della politica agricola comune e dei fondi strutturali).

Per quel che riguarda l'opinione pubblica si vede emergere una ostilità diffusa verso "l'Europa dei tecnocrati e dei mercanti", un'Europa che sembra avanzare senza un sufficiente controllo democratico, scarsamente attenta ai problemi quotidiani della gente comune e comunque priva di un progetto politico che ne giustifichi e ne legittimi l'esistenza.

I cittadini europei si pongono domande molto semplici cui non trovano risposta:

- perché l'Unione ha tollerato senza reagire una guerra spietata alle proprie porte, delegando in larga misura ad altri Paesi la soluzione del conflitto?

- come può una grande potenza economica quale l'Unione europea accettare l'esclusione di intere fasce della popolazione dal progresso e dal benessere economico ?

- chi, tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, è il vero responsabile delle "decisioni prese a Bruxelles" ?

Non tener conto del diffuso malessere e delle richieste dell'opinione pubblica significa allontanare ulteriormente l'Europa dalla gente ed andare incontro ad una sicura disgregazione dell'Unione.

Purtroppo i segnali che provengono dai vari governi e leader politici non appaiono molto incoraggianti. Assistiamo infatti in questi ultimi tempi ad un dibattito estremamente sofisticato e meticoloso sul piano dell'ingegneria istituzionale ed altrettanto povero di contenuti ed asfittico sul piano politico.

L'esempio fornito dall'ultimo Vertice di Maiorca è particolarmente scoraggiante. Riunitisi per discutere in maniera informale sull'avvenire dell'Europa alle soglie del 2000, i Capi di Stato e di Governo hanno finito per doversi occupare di problemi contingenti quali il diffuso malumore causato dagli esperimenti nucleari francesi; il mantenimento dei controlli alle frontiere da parte della Francia in deroga all'Accordo di Schengen e le dichiarazioni provenienti da alcuni alti dirigenti tedeschi che non avevano nascosto il proprio scetticismo circa il calendario previsto per l'instaurazione della moneta unica. Quanto alla revisione dei trattati, poco e nulla se ne è discusso, risultando difficile finanche mettersi d'accordo sul timing preciso della Conferenza intergovernativa (come ha giustamente titolato Le Soir all'indomani del vertice "Ils ne devaient rien décider: mission accomplie!").

Se si vogliono risollevare le sorti dell'Unione europea e trovare al contempo il necessario sostegno da parte dell'opinione pubblica occorre invertire la tendenza ed uscire dall'attuale situazione di stallo e di ricerca del compromesso ad ogni costo per rilanciare con forza il dibattito su di un piano più squisitamente politico.

In un recente intervento dinanzi al PE Jacques Delors ha detto: "e se cominciassimo a stabilire che cosa vogliamo?"

Per chi non da oggi è impegnato nella battaglia federalista la risposta a tale quesito non presenta grandi difficoltà.

L'Europa che vogliamo è un'Europa profondamente diversa da quella che abbiamo oggi sotto gli occhi vale a dire un'Unione europea di stampo federale che sia allo stesso tempo più forte, più democratica, più solidale ed in cui il cittadino e non il mercato sia posto al centro del processo di integrazione.

Se siamo d'accordo su tali obiettivi le soluzioni tecniche non sono poi così difficili da immaginare e da far comprendere all'opinione pubblica.

Concretamente e senza aver la pretesa di voler ridisegnare in pochi minuti il volto dell'Unione europea ecco alcune indicazioni.

A. Per un'Unione europea più forte

Occorre modificare profondamente i meccanismi decisionali per ridare slancio e capacità d'azione all'Unione. L'unanimità, applicata ad una Europa a 20 o 25 significa la condanna all'immobilismo ed all'impotenza.

Riferimento particolare alla PESC.

B. Per un'Unione più democratica

Occorre dare maggiore spazio al Parlamento europeo ponendo tale istituzione su di un piano di parità con il Consiglio sia per quanto riguarda l'attività legislativa che l'approvazione del bilancio.

Allo stesso tempo occorre dare maggiore legittimità al Parlamento avvicinandolo ulteriormente agli elettori attraverso l'adozione di una procedura elettorale uniforme,così come previsto dal trattato sull'Unione.

Nella stessa ottica occorrerebbe favorire, più di quanto avvenga attualmente la creazione di partiti politici trasnazionali, riservando eventualmente un certo numero di seggi a tali partiti in modo da agevolare il superamento di impostazioni di tipo nazionale.

C. Per un'Unione più solidale

Uno dei punti centrali del trattato di Maastricht è la creazione di una unione economica e monetaria tra gli Stati membri.

Tuttavia, come tutti sanno il trattato di Maastricht prevede in maniera puntuale e dettagliata gli strumenti, le modalità ed i tempi relativi alla creazione di una moneta unica, mentre il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri resta ad uno stato embrionale.

Una tale situazione non è più tollerabile. Anzitutto, come testimoniano le attuali tensioni monetarie, è difficile pervenire ad una moneta unica in assenza di un vero coordinamento delle diverse politiche economiche; in secondo luogo non è sano da un punto di vista democratico attribuire rilevanti poteri alla Banca centrale europea in assenza di un contrappeso costituito da un organo di carattere più spiccatamente politico (un Consiglio economia e finanze dotato di poteri effettivi in materia di politica economica).

L'Unione rischia di essere percepita dai cittadini ed in particolare dalle fasce deboli della popolazione come un organismo tecnocratico che impone sacrifici e fissa vincoli ma che non è capace o non vuole prendere iniziative di carattere positivo per rilanciare l'economia e far fronte alla piaga della disoccupazione.

Se una maggioranza di cittadini dovesse associare (come rischia di accadere) l'Unione all'idea della disoccupazione e dei sacrifici economici avremo perso inevitabilmente la nostra battaglia ed i governi saranno costretti a ripiegarsi su se stessi in una logica protezionista.

Non si tratta necessariamente di rivedere i sempre invocati criteri di convergenza (un vero tabù sul quale è impossibile perfino aprire una discussione) ma di controbilanciare l'unione monetaria con una vera unione economica al fine di realizzare quell'elevato livello di occupazione e di protezione sociale che pure rappresentano un obiettivo dell'Unione (articolo 2 del Trattato).

D. Per un'Unione che ponga i cittadini al centro del processo di integrazione.

E' questo un punto centrale. Occorre che ciascuno, in quanto cittadino europeo, si senta direttamente coinvolto.

Sul piano concreto occorre far prova di immaginazione adottando iniziative che consentano di dare a ciascuno il senso tangibile dell'appartenenza all'Unione rafforzando la nozione di cittadinanza europea.

Esempi :

- Adozione di una Carta costituzionale breve e facilmente leggibile che enunci i diritti fondamentali (civili, politici, sociali) dei cittadini dell'Unione ribadendo il rifiuto del razzismo e della xenofobia nonché il rispetto delle minoranze (siano esse etniche, religiose o altro).

- Creazione in forme da definire di un servizio civile europeo che dia alle giovani generazioni il senso dell'appartenenza ad una più vasta comunità.

Conclusione

Il titolo del convegno è: un governo per l'Europa.

Tenuto conto delle prese di posizione contrastanti e talora ambigue di molti leader politici non è facile prevedere se l'Europa riuscirà a darsi, in questa fine di secolo, istituzioni realmente forti ed efficienti.

Ciò che si può tuttavia affermare con sicurezza è che l'Unione europea di fine secolo non sarà più l'Unione che tutti noi conosciamo oggi.

La difficoltà e la complessità dei problemi da affrontare e la sfida dell'ampliamento ai Paesi dell'Est e del Sud pongono l'Europa di fronte ad un bivio : fare un salto qualitativo accelerando l'integrazione politica (magari con un primo nucleo di Paesi) oppure accettare la diluizione e l'inevitabile declino e la perdita di peso politico ed economico del Vecchio continente sulla scena internazionale.

In tale ottica (necessità di un salto qualitativo) non appaiono di certo rassicuranti le voci secondo cui la Conferenza intergovernativa prevista per l'anno prossimo potrebbe essere una Conferenza breve e limitata ad alcuni miglioramenti istituzionali volti a consentire le prossime adesioni (estensione del voto a maggioranza qualificata al Consiglio, rafforzamento della PESC e del terzo pilastro). Un tale approccio minimalista non risolverebbe gli attuali problemi e segnerebbe l'inizio della fine dell'"avventura europea".

L'assoluta opposizione mostrata da qualche membro del Gruppo di riflessione a qualsivoglia avanzamento nel processo di integrazione (è il caso del rappresentante del governo britannico) non deve spingerci a cercare soluzioni forzate di ripiego. Al contrario credo che il Gruppo presieduto da Wenstendorp debba sforzarsi di "volare alto" sottolineando con vigore l'esigenza di una revisione profonda dei trattati e proponendo soluzioni ambiziose.

Sarebbe peraltro utile che il Gruppo riflettesse anche sulla possibilità di uno "scenario di crisi" per la Conferenza intergovernativa, nel caso di un eventuale rifiuto di uno o più Stati membri di accettare modifiche considerate indispensabili dagli altri.

Deve essere chiaro che tutti noi auspichiamo che l'Unione possa avanzare compatta; ma deve essere altrettanto chiaro il prezzo che siamo disposti a pagare per avanzare uniti non è illimitato e che è preferibile un'Unione europea meno ampia ma realmente integrata sul piano politico rispetto ad un'Unione priva di un progetto comune ed incapace di agire a causa di istituzioni pletoriche e di meccanismi decisionali inadeguati.

 
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