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Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maurizio - 19 novembre 1995
NON UCCIDETE LA COOPERAZIONE

LA REPUBBLICA, pag.11

di Emma Bonino

Il dibattito sulla legge finanziaria può assumere alle volte nel Parlamento italiano, anche in tempi meno convulsi di quelli che viviamo, l'andazzo di certe concitate aperture della caccia, sovraffollate di tiratori ma avare di selvaggina, quando rischiano l'impallinamento persino le specie protette, gli animali domestici e i cacciatori stessi.

Quest'anno, fra i numerosi bersagli che il governo espone al rischio della fucilazione sommaria, c'é anche la cooperazione italiana con i paesi in via di sviluppo, una volta fiore all'occhiello della nostra diplomazia, oggi settore in via di smantellamento. Nel più totale disinteresse dei media e dei partiti politici.

Lo so bene. Nell'immaginario collettivo italiano cooperazione é diventato sinonimo di sprechi e tangenti, al punto che persino al ministero degli Esteri diventa difficile trovare qualcuno disposto a ricordare ad alta voce un paio di cose essenziali: in primo luogo che una politica coerente di "aiuti allo sviluppo" é strumento irrinunciabile per la diplomazia di un paese che come il nostro siede fra i "G7" e rivendica un ruolo nella gestione delle grandi questioni internazionali; in secondo luogo che la cooperazione italiana, fra il '79 (anno di nascita della prima legge organica in materia) e il '93 (inizio della sua paralisi progressiva) non é stata solo errori e ladrocinii, ma anche un efficace strumento di politica estera.

Per dire cose simili e non rischiare la reputazione bisogna essere radicali. Essere fra coloro che per primi, in solitudine, osarono criticare la Farnesina (ricordate la nostra campagna contro la fame nel mondo?) e denunciare l'esistenza di un "comitato d'affari" partiti-imprese che si accingeva (come é poi puntualmente accaduto) a strangolare la cooperazione. Avevamo ragione. Oggi, con altrettanta determinazione, mi schiero con l'esigua pattuglia di coloro che paventano la messa in liquidazione della cooperazione italiana, considerando tale scelta moralmente ingiusta e politicamente contraria agli interessi nazionali.

I dati sono eloquenti. Ancora nel 1992 l'Italia destinava agli aiuti allo sviluppo circa lo 0,40% del suo Pil (3.830 miliardi) e figurava in ottima posizione fra i paesi industrializzati Ocse, principali donatori del Terzo Mondo. Nel 1995, proprio mentre esplodeva nel mondo la richiesta di aiuti umanitari (a spese degli aiuti allo sviluppo) l'Italia, essendo scesa la sua quota di aiuti al di sotto della soglia dello 0,10% del Pil, é uscita dal club dei "grandi donatori". Né sembra destinata a rientrarvi, visto che la finanziaria in discussione in questi giorni prevede un ulteriore drastico ridimensionamento dei nostri aiuti per il '96.

La questione non riguarda solo il prestigio e la coscienza nazionali. Regole non scritte eppure universalmente accettate impongono infatti a paesi come il nostro di accollarsi una parte ragionevole dello sforzo sostenuto dal Nord del mondo per evitare che il Sud esploda. Nell'interesse di tutti. E vale la pena di ricordare che nel panorama geopolitico contemporaneo i paesi vengono considerati più o meno "grandi" non tanto in virtù delle loro sfere d'influenza (in via di estinzione), ma piuttosto in base alla capacità di ciascun paese di darsi una politica estera all'altezza delle sue ambizioni: che sappia cioé coniugare il diritto a difendere gli interessi nazionali, o regionali, e il dovere alla solidarietà. Con questa realtà sta facendo i conti anche l'America di Clinton che, proprio per il brusco contrarsi negli ultimi tempi della spesa destinata agli aiuti internazionali, vede appannarsi la sua immagine e il suo "ruolo globale".

Da qualche mese Susanna Agnelli, ancora nel più totale disinteresse di giornali e partiti, si sforza di convincere governo e parlamento che con i nuovi tagli imposti dalla finanziaria alla cooperazione si rischia un "suicidio diplomatico". Mancherebbero infatti all'Italia nei prossimi mesi anche le poche centinaia di miliardi necessari per conservare un posto fra i paesi promotori e finanziatori delle principali iniziative internazionali in cantiere nel Bacino del Mediterrano (in Bosnia e nei territori autonomi palestinesi, per citare i casi più attuali) dove pure sono in gioco la stabilità, la sicurezza e la prosperità economica del nostro paese.

Il nodo é già venuto al pettine quando si é discusso e deciso l'invio - giudicato irrinunciabile - di un contingente militare italiano in Bosnia. Giustissimo. Sarebbe tuttavia curioso, a questo punto, sostenere che é irrinunciabile mandare truppe (in Bosnia o altrove) e diventa invece trascurabile continuare l'azione umanitaria o avviare la ricostruzione.

La parola é ormai al parlamento. Sarà risparmiata alla nostra cooperazione la "pena capitale"? Inutile dire che una simile jattura, alla vigilia del tormentato turno italiano di presidenza dell'Unione Europea, costituirebbe un ulteriore ridimensionamento del nostro ruolo e sarebbe un ennesimo colpo alla nostra credibilità.

Mi auguro che la cooperazione italiana sopravviva. E giacché fra le nuove scelte strategiche messe a punto, malgrado tutto, dalla Farnesina, c'é quella di fare sempre più ricorso alle sinergie "multilaterali" (Onu, Banca Mondiale etc.) mi prendo la libertà di segnalare che é soprattutto nel quadro dell'Unione Europea che l'Italia può ritrovare tutte le leve istituzionali necessarie per potenziare la sua politica di cooperazione.

 
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