articolo di Emma Bonino per la rivista DOSSIER EUROPA
La Conferenza intergovernativa che sarà convocata nel marzo prossimo sotto presidenza italiana, destinata a disegnare il nuovo volto dell'Europa alle soglie del XXI secolo, si inscrive in un contesto politico ed economico non facile.
Sul piano politico l'auspicata fine del bipolarismo americano-sovietico ha fatto venir meno un elemento forte di coesione sul continente europeo, favorendo la manifestazione di forze centrifughe ed il risorgere di fenomeni di nazionalismo e di intolleranza.
Sul terreno economico, il persistere di un'elevata disoccupazione, congiunta all'accentuarsi del divario economico e sociale tra regioni ricche e regioni povere, ha accresciuto il disagio di alcune fasce della popolazione, alimentando il distacco di molti nei confronti delle istituzioni.
La scarsa incisività mostrata dall'Unione sul piano internazionale, si pensi alla crisi jugoslava, e l'incapacità di apportare rimedi al diffuso malessere sociale, hanno favorito l'emergere nell'opinione pubblica di una diffusa ostilità verso "l'Europa dei tecnocrati e dei mercanti", un'Europa che sembra avanzare senza un sufficiente controllo democratico, scarsamente attenta ai problemi quotidiani della gente comune e comunque priva di un progetto politico che ne giustifichi e ne legittimi l'esistenza.
E non è tutto. Il previsto allargamento ai Paesi dell'Europa centrorientale e mediterranea pone infatti notevoli problemi per il funzionamento futuro delle istituzioni dell'Unione, anche in relazione ai notevoli costi che dovrebbero essere sopportati dal bilancio comunitario.
Sottovalutare le sfide del futuro ampliamento, così come il diffuso malessere e le richieste dell'opinione pubblica, significa allontanare l'Europa dalla gente ed andare incontro ad una sicura disgregazione dell'Unione.
Purtroppo i segnali che provengono da vari governi e leader politici non appaiono molto incoraggianti. Assistiamo infatti in questi ultimi tempi ad un dibattito che è estremamente sofisticato e meticoloso sul piano dell'ingegneria istituzionale e dei criteri di convergenza economica, ma altrettanto povero di contenuto, addirittura asfittico sul piano politico.
Chiaro che non potrebbe esservi strategia peggiore di questa, che porta le istituzioni a rinchiudersi su sé stesse ed impedisce qualunque ragionevole dialogo con i cittadini. Se si vogliono risollevare le sorti dell'Unione europea e trovare al contempo il necessario sostegno da parte dell'opinione pubblica, occorre invertire la tendenza ed uscire dall'attuale situazione di stallo e di ricerca del compromesso ad ogni costo per rilanciare con forza il dibattito, indicando con chiarezza quale Europa vogliamo e per quali obiettivi.
Per chi è impegnato nella battaglia federalista, la risposta a tale quesito non presenta difficoltà insormontabili. L'Europa che vogliamo è un'Europa profondamente diversa da quella che abbiamo oggi sotto gli occhi: un'Unione europea di stampo federale che sia allo stesso tempo più forte, più democratica, più solidale ed in cui il cittadino e non il mercato sia posto al centro del processo di integrazione.
Concretamente, e senza aver la pretesa di voler ridisegnare in poche righe il volto dell'Unione, occorre rivedere in profondità i meccanismi decisionali, eliminando il diritto di veto in seno al Consiglio e dando più poteri al Parlamento europeo. chiaro infatti che istituzioni concepite per un'organizzazione economica comprendente solo sei Paesi e che già hanno visto più che raddoppiato il numero dei partner, non possono continuare a funzionare per un'Unione politica a 20 o 25 Stati.
Indispensabile che l'Europa si doti di una vera politica estera e di sicurezza comune in modo tale che, diversamente da quanto accade oggi, essa sia in condizione di far sentire il proprio peso sulla scena internazionale.
Sul piano economico, d'altra parte, mancano gli strumenti atti ad assicurare il coordinamento delle politiche economiche nazionali, in modo da meglio bilanciare una unione economica e monetaria incentrata esclusivamente sulla creazione della moneta unica.
Non si tratta necessariamente di rivedere i sempre invocati criteri di convergenza, ma di inscrivere l'unione monetaria nel quadro di una vera unione economica, in cui le istituzioni comuni siano capaci di agire sull'economia, al fine di realizzare quell'elevato livello di occupazione e di protezione sociale che già rappresentano un obiettivo dell'Unione.
Infine necessario dare a ciascuno il senso tangibile dell'appartenenza all'Unione, rafforzando la nozione ed i contenuti della cittadinanza europea, per esempio tramite l'adozione di una Carta costituzionale europea, concisa e facilmente leggibile che, oltre a definire il ruolo delle istituzioni comuni, enunci i diritti fondamentali dei cittadini dell'Unione, ribadendo il rifiuto del razzismo e della xenofobia nonché il rispetto delle minoranze, siano esse etniche, religiose o altre.
Tali sono i tratti salienti di un'Unione europea che ci ostiniamo a ritenere non solo possibile ed auspicabile, ma anche necessaria. Difficile oggi dire se l'Europa riuscirà a darsi nei prossimi anni istituzioni realmente forti ed efficienti, riacquistando così la fiducia dei cittadini. Ciò che si può affermare con sicurezza è che l'Unione europea di fine secolo non sarà più l'Unione che tutti noi conosciamo oggi. La difficoltà e la complessità dei problemi da affrontare e la sfida dell'allargamento ai Paesi dell'Est e del Sud ci pongono davanti ad un bivio: fare un salto qualitativo accelerando l'integrazione politica - magari con un primo nucleo di Stati - oppure accettare la diluizione, l'inevitabile declino e la perdita di peso politico ed economico del Vecchio Continente sulla scena internazionale.