RITRATTO * Emma Bonino, Bruxelles e la passione per la politica
H.J. Boom
L'aiuto umanitario è il suo forte, ma la sorte ha voluto che da nove mesi essa si occupi di problemi della pesca. Dapprima c'è stata la guerra della pesca tra la Francia e Spagna, poi l'Unione europea è venuta a contesa con il Canada e infine hanno dovuto concludersi i difficili negoziati con i marocchini prima che Emma Bonino potesse riposarsi nel suo appartamento di Bruxelles, malgrado un piccolo conflitto per le aringhe tra i danesi e i norvegesi.
Una donna polivalente, questa quarantasettenne italiana che nella Commissione europea gestisce il portafoglio della politica della pesca, dell'aiuto umanitario e della politica dei consumatori. Instancabilmente percorre l'Europa per scongiurare conflitti, con un sorriso e con charme, come sempre con l'eterna sigaretta tra le labbra, con le spalle un po' ricurve, un po' come Andreotti, e con le mani che evocano i lavori di casa piuttosto che l'elegante apertura di dossier. Questa settimana si apriranno le discussioni a Madrid, dapprima nella conferenza al vertice sull'aiuto umanitario e quindi in occasione del summit semestrale.
Filologa di formazione, essa parla lo spagnolo fluentemente come l'italiano, il francese e l'inglese. Persino il neerlandese non le è sconosciuto. Proveniente dal Partito Radicale Italiano essa è stata eletta nel 1979 al Parlamento europeo; finché Berlusconi non l'ha inviata a Bruxelles, "la cosa migliore che l'ex premier abbia mai fatto", si dice. Ciò che ha lasciato a Roma è un curriculum vitae con una qualche ombra: la sua militanza a favore dell'aborto che in un contesto cattolico non è stata apprezzata.
A Bruxelles Emma Bonino è in primo luogo la personificazione dell'esigenza di apertura nella gestione degli affari europei, anche se nel frattempo è cosciente che colloqui riservati possono talvolta essere molto utili. A questo tipo di contatti essa deve la svolta effettuata dal Re Hassan nei negoziati incagliati con Rabat. Essa ha avuto modo di apprezzare il monarca come un uomo saggio ed il suo Primo ministro Abdelatif Filali come un esponente di ambienti conservativo-nazionalisti in cui ogni avvicinamento all'Europa viene interpretato come una rinascita del colonialismo.
Malgrado sia stata messa a dura prova durante gli interminabili negoziati (alla fine di agosto gli ostacoli sembravano insormontabili) essa può pur sempre considerare le cose con distacco. "Talvolta spiego che il rapporto tra Bruxelles e Rabat è quello di una coppia sposata già da 40 anni e che continuamente si bisticcia ma che sa bene che non arriverà mai al divorzio", dice scherzando nel corso di un pranzo con alcuni corrispondenti a Madrid.
Ciò che a Roma avveniva di rado è ora per essa un lavoro di routine:" buona gestione delle risorse". Essa la definisce come un nuovo approccio, anche nel settore della pesca, dovenon tutti sanno come comportarsi. Nel 1920 furono pescati 20 milioni di tonnellate di pesce. Nel 1995 si è arrivati a 100 milioni di tonnellate. Non solo peschiamo troppo ma peschiamo anche male. Non diamo tempo alla natura di riprendersi. Più che mai la buona gestione è una condizione imprescindibile, poiché quando non vi sarà più pesce, vale a dire che quando avremo distrutto la vita negli oceani, avremo rovinato anche il settore della pesca".
Guardando alle sue esperienze a Bruxelles, essa parla di un avvincente processo di apprendimento. Non soltanto essa ha ampliato i confini della "passione per la politica", ma si è anche resa conto di quanto l'immagine di Bruxelles sia negativa. "Ciò che è male proviene da Bruxelles mentre ciò che è bene proviene dalle capitali. Nelle trattative pare sempre che il nostro intendimento sia quello di rendere ancora più difficile la vita quotidiana dei cittadini. Quando arriva il denaro dei fondi strutturali pare sempre che la cassa si trovi a Madrid o all'Aia. naturalmente banale, ma così stanno le cose."
Sul piano umano essa ha appreso a sopravvivere. "Il successo dell'Europa risiede nel diritto d'esistere. l'unica dinamica mondiale che pone ciascuno sullo stesso piano. La questione è che ciascuno deve imparare dagli errori degli altri. Una zona di libero scambio è una cosa, ma sul piano politico la gestione delle stesse situazioni di partenza è una cosa alquanto diversa.
Ma è una delle poche cose che possiamo fare per affrontare la sfida del ventunesimo secolo. Inoltre in nessun'altra parte del mondo come in Europa culture così diverse cercano di comprendersi a vicenda. Perciò imparare a sopravvivere è un esercizio permanente". Nella sua attività Emma Bonino ha nel frattempo imparato anche che cosa significhi letteralmente sopravvivere. Essa ha visto la miseria dei campi dei profughi in Ruanda e Bosnia. Questa sventura, esso lo sa, dev'essere evitata. "Prevenire presuppone l'esistenza di volontà politica e di strumenti. In quanto prestatori di aiuti umanitari non dobbiamo essere l'alibi per la mancanza di una politica adeguata. Aiutare gli uomini e salvare vite è un'esigenza fondamentale nella vita. un fatto positivo che vi sia la libera circolazione delle persone e dei capitali, ma esiste anche qualcosa come la solidarietà".
stato questo il punto di partenza della conferenza di Madrid. La ricerca di una certa sistematicità in questo intento di solidarietà e nel rispondere ad alcuni quesiti fondamentali. Ad esempio: chi ha l'effettiva responsabilità di un campo profughi di 100.000 persone? Medici senza frontiere? La Croce Rossa? O le Nazioni Unite?
"Ancora un problema", essa soggiunge. "Di fronte al fatto che il 20-30% dell'aiuto umanitario scompare a causa di ricatti e furti, che cosa dobbiamo fare? Accettarlo? Oppure: cosa fare riguardo al programma di rimozione delle mine quando da un lato siamo fieri di annunciare che in un anno abbiamo reso inoffensive 80.000 mine mentre dall'altro sappiamo che nello stesso periodo sono state posate 2 milioni di mine? Oppure: perché ad esempio non possono essere impiegati per esercitazione aerei militari per il trasporto di aiuti umanitari quando sappiamo che il 30% del nostro bilancio è inghiottito dalle spese di trasporto?"Poiché ogni colloquio con Emma Bonino presto o tardi ritorna sul settore della pesca, non può mancare un avvertimento prima che essa si congedi con un affabile "basta". Cosa fanno infatti tutti quei pescherecci giapponesi, taiwanesi e sudcoreani nella parte meridionale dell'Oceano Atlantico, nell'Oceano Pacifico e nell'Oceano Indiano? Dove pescano? Cosa? Quanto? Essa vorrebbe prima o poi saper
lo. Non perché Bruxelles lo prescrive, ma piuttosto perché a suo parere è gran tempo di introdurre buone regole mondiali nel settore della pesca. "E non è male che Bruxelles faccia qui un primo passo".