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Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Mauro - 15 gennaio 1996
Finanziamenti alle PMI
Iniziative per la cooperazione tra piccole e medie imprese

a cura di Cinzia Boschiero

Italia Oggi7 documenti - 15/1/96

LA PAROLA AI FUNZIONARI

Intervista a Emma Bonino, Commissario europeo

Domanda. Gli strumenti comunitari in supporto alla politica mediterranea in che misura sono strategici per l'Italia?

Risposta. L'Italia, la sua storia e la sua fortuna, è indissolubilmente legata al Mediterraneo, e lo è ancora di più oggi in un'Unione europea che deve bilanciare la spinta dell'ineludibile allargamento verso est con un altrettanto necessario ampliamento a sud. Lo sviluppo di una politica euromediterranea è, a mio avviso, a tal punto strategico per il nostro paese da dover diventare, insieme alla grande questione della revisione del Trattato di Maastricht, la priorità della presidenza italiana. Qui, nel Mediterraneo, dove il Vecchio continente affonda le sue radici, l'Unione e l'Italia si giocano il loro futuro: sarebbe infatti un grave errore non prendere in considerazione il fronte sud che bussa alle porte dell'Europa, con i suoi squilibri, economici e demografici, con la pressione dei flussi migratori e con l'integralismo religioso. L'Europa lo ha capito e a Barcellona, il 27 e 28 novembre, ha dato il primo colpo al muro della frontiera meridionale, al Mar Mediterraneo percepito non come comune denominato

re bensì come linea di frattura tra il mondo ricco delle democrazie laiche e quello della povertà degli stati islamici in bilico sotto le pressioni integraliste. E' solo l'inizio, ma il segnale è chiaro: l'Europa ha scelto la cultura del dialogo che conduce alla stabilità politica e allo sviluppo di un'area di scambi liberalizzati e di cooperazione economica. E l'Italia sarà più presente nel Mediterraneo, anche a costo di qualche sacrificio? Dipenderà dalla capacità dei prossimi governi, a partire da quello che ci condurrà attraverso il semestre di presidenza: spetterà a loro imporre la questione meridionale europea all'attenzione di tutti gli stati membri e rendere operativa l'iniziativa euromediterranea dell'Unione. Perdere questa occasione significherebbe relegare l'Italia ai margini dell'Europa del futuro.

D. Qual è l'importanza del partenariato euromediterraneo?

R. Il partenariato globale nel Mediterraneo è un fatto di rilevanza storica: per due ragioni. La prima è che solo la creazione di uno spazio aperto, che riunisce l'intera regione in un polo mediterraneo, garantirà pace, sicurezza, stabilità. La creazione di quest'area di libero scambio nella quale tutti i paesi instaurano un patto di stabilità, ovvero accettano le principali istituzioni e norme internazionali e alcuni valori fondamentali come lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali è, lo ripeto, la priorità dell'Europa che non si può illudere di aver risolto i suoi problemi di sicurezza con l'allargamento a est. Ma c'è anche un altro dato di grande importanza, e vengo così alla seconda ragione: il partenariato globale, ovvero una politica commerciale accompagnata da accordi di cooperazione nei settori più diversi, dall'energia all'ambiente, alle piccole e medie imprese, fino ai finanziamenti, che è già stata utilizzata con successo nel processo di allargamento ai paesi

dell'Europa centro-orientale, è, in concreto, l'unico strumento di politica esterna di cui sia dotata l'Unione europea, oltre l'umanitario. Questo significa che è anche l'unico modo in cui questa Unione, priva ancora di una politica estera e di difesa comune, può mettere in campo un'azione di diplomazia preventiva. Quando non è riuscita a farlo, come in ex Iugoslavia e in Ruanda, il risultato è stato uno solo: le atrocità e gli, orrori che si sono impressi nella memoria di tutti. Anche nel Mediterraneo il dialogo tra le due sponde che si affacciano su questo mare comune si potrà costruire solo con una politica coerente e decisa, una politica comune, come il partenariato globale, che, proprio perché di tutti, permetterà di superare le differenze che dividono i Quindici.

D. Quali sono i consigli che darebbe a un cittadino italiano imprenditore o libero professionista, nei confronti delle opportunità comunitarie volte al Mediterraneo?

R. Gli imprenditori e i professionisti europei, in particolare italiani, dovranno cogliere le opportunità dell'emergente mercato mediterraneo, diventando, al di là di paure e timori, l'acceleratore dello sviluppo. Da loro dipenderà l'avvenire del Mediterraneo perché questo non potrà svilupparsi senza l'apporto dei capitali privati. Un incoraggiamento agli investimenti verrà dagli accordi di associazione: Tunisia, Israele e Marocco li hanno già siglati, mentre per Egitto, Giordania e Libano spetta proprio alla presidenza italiana fare in modo che i negoziati in corso facciano passi in avanti prima che alla guida del Consiglio succedano Irlanda e Lussemburgo che avranno altre priorità rispetto al Mediterraneo. Inoltre Cipro e Malta sono candidati all'adesione all'Ue. Questo significa che i capitali pubblici, più di 4 milioni e mezzi di ecu per il periodo 1995-1999, stanziati dall'Unione europea al Consiglio di Cannes, ai quali si aggiungerà una somma equivalente fornita dalla Banca europea d'investimento (Bei)

per la formazione, le infrastrutture e le imprese, dovranno servire di incoraggiamento all'iniziativa privata e non sostituirla.

L'informazione, inoltre, giocherà un ruolo fondamentale per tranquillizzare le imprese, affinché il capitale privato non abbia paura del Mediterraneo, area di tensioni e conflittualità. Per l'Italia, e in particolare per le regioni del sud del nostro paese, l'altra sponda dovrebbe diventare quel mercato potenziale in cui riversare il proprio know-how e su cui investire per il proprio sviluppo. Molti sono i settori in cui agire. Un esempio è il grande patrimonio culturale comune del Mar Mediterraneo: un bene dilapidato che dobbiamo tutti insieme, a nord e a sud, salvare imparando sia a gestire le sue risorse limitate, sia a sfruttare le sue potenzialità.

D. Fino a ora i dati su programmi come MedUrbs hanno avuto un buon riscontro di partecipazione italiana? Secondo lei vi sono problemi di informazione o di gestione?

R. Per MedUrbs, l'Italia non sembra affatto indietro nella classifica europea, per una volta, non è la cenerentola dell'Unione. Le cifre del 1994 relative al programma MedUrbs parlano da sole: il nostro paese ha 15 progetti, battuto dalla Francia che ne ha 25, ma alla pari con la Spagna, che ne ha 14, e la Grecia, 13; i sei di questi è leader, i francesi ne gestiscono direttamente 11, gli spagnoli cinque, i greci tre e i portoghesi due. Inoltre l'intero territorio nazionale è equamente rappresentato e omogeneamente coinvolto, ce ne sono da Venezia a Brindisi, passando per Firenze, Roma, Napoli, Matera per citare solo alcune città che vi partecipano. Certamente i problemi di informazione ci sono stati, soprattutto il primo anno e la mancanza di trasparenza e di passaggio di conoscenze da Bruxelles a Roma e viceversa, continua a essere l'ostacolo che impedisce una maggiore diffusione di questi, come di tanti altri programmi gestiti dalla Commissione europea. Spetta alle amministrazioni locali riuscire a sfrutt

are sempre meglio le molte opportunità che Bruxelles mette a disposizione degli stati membri e dei suoi cittadini. Anche a questo riguardo, come per i fondi strutturali, ci tengo a dire che non può più continuare quel gioco delle parti per cui tutto ciò che c'è di male viene dalla capitale europea dei burocrati e, invece, tutto il bene, arriva dai governi nazionali. E' un meccanismo pericoloso per il processo di costruzione dell'Europa perché alimenta l'euroscetticismo, ovvero l'avversione per l'Unione, percepita come un'istituzione elefantiaca lontana dai bisogni reali dei cittadini.

D. Come vive e vede, da Commissario europeo, la posizione dell'Italia, all'interno dell'Unione europea?

R. Dopo un anno da Commissaria europea, senza avere alle spalle un sistema paese e un sistema partito, non riesco ancora a intravedere una nostra posizione politica. Per questo mi chiedo: l'Italia sarà capace di guidare l'Europa o si ostinerà a restare ciecamente ripiegata sull'Olimpo della politica interna? I dubbi aumentano e con essi aumenta anche la mia preoccupazione che il nostro paese perda anche questa occasione. Le conseguenze sarebbero gravi non solo per la credibilità già gravemente compromessa dell'Italia, europeista solo a parole, ma disattenta e superficiale nei fatti, ma soprattutto per l'Unione europea che si trova di fronte alla sfida delle riforme istituzionali. Alla Conferenza intergovernativa per la revisione del trattato non si tratterà solo di snellire le procedure in vista dell'allargamento che, a tappe, condurrà a un'Unione elefantiaca di 30 stati, Unione che, se le regole non cambieranno, sarà paralizzata dal voto all'unanimità in seno al Consiglio, avrà un migliaio di parlamentari e

tre dozzine di commissari. Alla Cig la questione sarà di capire qual è l'Unione che vogliamo: se quella minimalista che corrisponde a un'area di libero scambio, oppure quell'Unione politica che da decenni i federalisti vogliono realizzare. E nel frattempo, In Italia, continuiamo a far finta di occuparci di Europa.

 
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