PALAZZO CHIGI NON ABITA PIU' QUI.
colloquio con Emma Bonino
L'altra voce da Bruxelles.
Qualche intemerata di Spinelli, un paio di lamenti di Ripa di Meana. Mai però un Commissario Europeo era entrato in rotta di collisione con il governo. Giusto? Scorretto? Risponde la collega di Monti.
Intervista di Telesio Malaspina. Pag.65
La polemica fra Romano Prodi e Mario Monti è da considerarsi una prima assoluta. Mai, in quasi mezzo secolo di storia dei rapporti fra i governi di Roma e i commissari italiani che siedono a Bruxelles, s'erano registrati veri e propri incidenti politici. Dopo aver frugato nella memoria i funzionari più anziani ricordano appena gli antichi mugugni di Altiero Spinelli e un paio di intemperanze di Carlo Ripa di Meana. Nel 1987, all'epoca del vino al metanolo, l'allora commissario all'Ambiente fece arrabbiare il Presidente del Consiglio Bettino Craxi, schierandosi contro gli aiuti comunitari al settore vitivinicolo italiano. Un paio di anni più tardi, lo stesso Ripa di Meana fece andare su tutte le furie Gianni De Michelis, criticandone il progetto di una "esposizione Universale" da tenere a Venezia. Nient'altro. Con questi precedenti, com'è stato vissuto a Bruxelles il duello fra Maio Monti e Romano prodi? "L'Espresso" lo ha chiesto ad Emma Bonino, commissario europeo per l'Aiuto umanitario, la Pesca e i Consum
atori.
D. L'episodio non sembra allarmarla più di tanto...
R. Mi sembra al contrario un buon sintomo, il segno di una reciproca attenzione, fra Roma e Bruxelles, di cui non si trova traccia nel passato. L'incarico di Commissario europeo viene percepito dal mondo politico italiano, nella migliore delle ipotesi, come un'incombenza prestigiosa sostanzialmente tecnica; più spesso e più banalmente si è pensato a una poltrona confortevole ma lontana dai centri del potere e dalle trincee della politica. I governi italiani non hanno mai mostrato grande interesse a stabilire un raccordo permanente con la Commissione europea: l'Italia è l'unico fra i fondatori della Comunità che non si sia mai dotata di un "sistema-paese" per interagire con le istituzioni europee. Se l'incidente fra Prodi e Monti serve ad avvicinare Roma a Bruxelles, dobbiamo rallegrarcene.
D. Che cosa a suo giudizio, ha reso questo incidente tanto clamoroso?
R. Se si riferisce al clamore giornalistico, alla grande eco sui mass media, direi che la notizia da prima pagina è stata la reazione del presidente del Consiglio, francamente sovradimensionata. Monti non ha davvero detto nè fatto niente di nuovo. Ha ripetuto critiche che espone periodicamente da quando è venuto a Bruxelles. La tesi secondo cui avrebbe fatto un attacco politico al governo di centro-sinistra è ridicola. Ricordo Silvio Berlusconi irritatissimo per le critiche di Monti alla sua finanziaria, tanto da dire: "Monti dovrebbe ricordarsi chi lo ha nominato". Ma allora i giornali non si emozionarono.
D. Mettiamo a fuoco questo punto. Quali sono i diritti e i doveri del Commissario europeo nei confronti del governo che lo ha spedito a Bruxelles?
R. I venti commissari europei non rispondono del loro operato ai governi nazionali. C'è un articolo del Trattato di Roma, il 157, che definisce assai chiaramente la questione. I governi nazionali propongono i loro commissari ma questi, una volta assunto l'incarico, sono chiamati ad agire in piena indipendenza, al riparo da qualsiasi condizionamento esterno. La Commissione è peraltro un organo collegiale, e vige l'abitudine che ciascuno di noi si esprima pubblicamente sulle materie collegate ai nostri portafogli. Insomma, non vedo motivo di scandalo.
D. Capita ad altri commissari di altri paesi di litigare con i loro governi?
R. Certamente, il numero due del governo belga, Elio di Rupo, rivolge attacchi durissimi al suo concittadino Karen Van Miert, perché vuole chiudere qualche acciaieria anche in Belgio. I commissari britannici sono costantemente nel mirino degli euroscettici. Tutte vicende vissute senza far psicodrammi. Ed è bene aggiungere che qui a Bruxelles i miei colleghi tutt'altro che allarmati per le istituzioni europee, considerano la polemica di questi giorni un caso classico di vertenza italo-italiana.
D. Ma lei ritiene davvero necessari questi richiami così imperiosi ai criteri e alle scadenze di Maastricht, quando c'è chi sostiene che alla fine soltanto Lussemburgo e Irlanda avranno i conti a posto e che l'Unione dovrà, volente o nolente, rivedere le regole?
R. Ognuno è libero di pensare e prevedere quel che vuole. Non un Commissario europeo. La mia stessa posizione è strettamente legalista. I trattati si stipulano e vengono ratificati dai Parlamenti per essere poi rispettati. E non mi risulta che l'Unione abbia modificato alcunché, nè i parametri, nè le scadenze.
D. Inutile chiedere a lei se è vero che esiste un patto segreto Francia-Germania-Italia per rendere più elastiche le regole di Maastricht... Mettiamola così: c'è qualche paese che, per interessi economici o calcolo politico, vorrebbe tenere l'Italia fuori dal "nucleo duro" dell'Unione?
R. Rispondo con assoluta certezza: no
D. Torniamo all'incidente con Prodi. Lei sottoscrive le parole di Monti?
R. Vediamo. Non si può non essere d'accordo con Monti quando rileva che esistono discrepanze fra il documento di programmazione economica del governo italiano e gli obiettivi di Maastricht. Discrepanze peraltro più o meno vistose a seconda dei parametri: in materia di inflazione, per esempio, Carlo Azeglio Ciampi ha giustamente osservato che se l'Italia riesce a rimanere sotto il 2,5 per cento nel'97 si troverà in regola per quanto riguarda prezzi e tassi d'interesse. Mi trovo invece in disaccordo con Monti, ma non è una novità, quando lui esorta il governo a "blindare" la finanziaria. In una democrazia avanzata nessun governo può imporre al Parlamento un esproprio di prerogative politiche di questo genere.