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Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maurizio - 12 luglio 1996
Cerimonia in Bosnia con la presenza di Emma Bonino, commissario europeo agli aiuti umanitari
"QUANDO MLADIC CI MANDO' ALLE FOSSE"

I sopravvissuti di Srebrenica raccontano. L'Aja ordina: "catturate i colpevoli"

"Ci misero infila per sei. Il generale decideva: da una parte o dall'altra. Alla fine mi caricarono su un autobus. Sono sola, i miei non sono mai tornati"

IL CORRIERE DELLA SERA, pagina 7

dal nostro inviato, Andrea Bonanni

TUZLA-Dove eravate la sera dell'11 luglio '95: solo un anno fa? Non ve lo ricordate? Camil Mahamedovich, invece, se lo ricorda benissimo. Era nella fabbrica di batterie di Poto cari, alla periferia di con migliaia di uomini, donne e bambini rastrellati come lui casa per casa nella città appena caduta in mano alle milizie serbe del generale Radko Mladic.

E il generale Mladic in persona stava proprio di fronte a lui. "Ci misero in fila per sei. Mladic decideva chi doveva andare da una parte e chi dall'altra. La gente piangeva, gridava, supplicava. C'era una confusione terribile, anche nelle nostre teste. Ma sentivo la violenza. Capivo che molti di noi sarebbero stati uccisi. Alla fine mi caricarono su un autobus. Dovettero issarmi di peso perché sono vecchio e invalido. E per questo sono vivo. I miei due figli, invece, 30 e 27 anni, non sono mai tornati".

Un anno fa, nei boschi attorno a Srebrenica, si è consumato il più spaventoso crimine di guerra dalla fine del conflitto mondiale. "Degli oltre trentamila abitanti delI'enclave musulmana, circa ventimila donne, vecchi e bambini sono arrivati fino alla città di Tuzla, in territorio bosniaco. Diecimila uomini e giovani ragazze mancano all'appello. Dialmeno seimila si sa che sono stati uccisi a sangue freddo", spiega Emma Bonino, commissario europeo responsabile per gli aiuti umanitari che ieri, con la regina Noor di Giordania, ha partecipato a Tuzla alle commemorazioni per l'anniversario del massacro portando aiuti per le donne sopravvissute alla strage.

Emma Bonino se lo ricorda; quell'11 luglio 95 Ero a Strasburgo, al parlamento Europeo, quando giunse la notizia della caduta di Srebrenica e subito alcuni deputati cominciarono a temere il peggio Il giorno dopo, era mercoledì, vidi alla Cnn le immagini delle donne sfuggite alla carneficina e ammassate sulla pista dell'aeroporto di Tuzla. Decisi di partire. Venerdì arrivai a Tuzla, le donne e i bambini erano ancora all'addiaccio sulla pista dell'aeroporto".

La commissaria europea fu la prima tra le personalità occidentali a recarsi sul luogo. E a capire che cosa fosse successo senza bisogno di basarsi sulle foto dei satelliti americani che mostravano la terra smossa di fresco sopra le fosse comuni in cui i serbi avevano gettato i corpi dei prigionieri uccisi a sangue freddo.

Adesso, dopo un anno che sembra un secolo, le fosse si aprono sotto le ruspe degli inviati dal Tribunale internazionale dell'Aja e restituiscono i resti ormai irriconoscibili delle vittime. Sono tutti adulti. Tra le ossa e gli arti staccati dal corpo troviamo stivali, magliette, blue-jeans. Ma non c'è una sola uniforme militare, né un'arma, spiega William Haglund, che comanda la squadra di medici legali venuti dalI'America per raccogliere le prove scientifiche di un crimine talmente orrendo da risultare incredibile, nonostante l'evidenza. Ma un anno è anche breve: accanto alle fosse sono stati trovati ancora i bossoli delle mitragliatrici con cui gli uomini di Mladic e Karadzic hanno falciato i loro prigionieri civili e disarmati.

E ieri, nel chiuso del palazzetto dello sport di Tuzla, seimila donne senza più mariti, padri e figli, hanno pianto di fronte alla proiezione di un documentario che mostrava le modeste e bucoliche attrattive della Srebrenica di prima dell'orrore: la vita tranquilla negli stabilimenti termali, le partite di pesca alla trota, i davanzali e i balconi fioriti. Un coro di singhiozzi e di gemiti sommessi che ha riempito l'aria densa e stagnante del piccolo stadio per commentare, molto più efficacemente delle parole degli oratori, il dolore e la rabbia di vite gettate senza ragione apparente. "Non dimenticheremo - ha gridato Emma Bonino di fronte alle seimila donne -. Gli autori di questi crimini di guerra saranno portati davanti alla giustizia. E le donne, uscite per un attimo dal loro dolore, hanno applaudito.

Anche Mizlica Cenic ha applaudito alla parola "giustizia". Anche lei se lo ricorda bene il generale Radko Mladic. "Ero nella fabbrica di Potoeari con mio marito Hanza, e i nostri quattro figli. Io avevo in braccio il più piccolo. Hanza teneva quello un po' più grande, di tre anni. Venne Mladic e gli ordinò di posare il bambino a terra e di consegnarlo a me. Poi guardò mio marito e gli disse: "Da questo momènto, tu non hai più figli: non hai più niente". Ricordo che fu lo stesso Mladic ad accompagnare noi donne e i bambini fino agli autobus che ci portarono via. Quando mi voltai, Hanza era scomparso. Non l'ho più rivisto. Non ho più rivisto nessuno degli uomini che erano con noi a Potocari solo un anno fa".

 
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