ASPETTANDO L'ONU
di Pietro Veronese
L'atto d'accusa di Emma Bonino, commissario europeo: in Ruanda e in Burundi i conti non tornano. Dopo l'esodo, mancano all'appello almeno quattrocentomila persone. Ma su di loro c'è il silenzio totale. E intanto il mondo resta a guardare
Ha saputo farsi vedere nei posti giusti. A Sarajevo, sotto le bombe dell'assedio serbo, infagottata in un giubbotto antiproiettile più grande di lei. A Mogadiscio, inseguita dalle bande armate dei signori della guerra. E adesso nella regione dei Grandi Laghi africani, sulla frontiera tra lo Zaire e il Ruanda, a gridare la propria indignazione perché mezzo milione di profughi manca all'appello e il mondo se ne sta con le mani in mano. Nei panni di commissario europeo per gli Aiuti umanitari, l'ex deputata pannelliana Emma Bonino ("la Giamburrasca di Montecitorio" secondo la definizione di Sandro Pertini, che le voleva bene) ha fatto parlare positivamente di sé: la stampa europea, prima di quella italiana.
A furia di recitare la parte di colei che grida nel deserto delle buone intenzioni le è venuta la voce un po' roca, forse anche per le sigarette che fuma quasi a ciclo continuo. E' diventata una specie di euro-Cassandra, l'omerica profetessa di sventure. Come Cassandra, inascoltata.
"A che serve gridare, lei mi chiede?", l'euro-commissaria Bonino accende come Janez l'ennesima sigaretta. "Mah, erano due anni che denunciavo la situazione dei campi profughi nello Zaire e forse, a giudicare dai risultati, è stato inutile. Nelle ultime due settimane, magari, è servito a qualcosa. E poi, se uno accetta un lavoro come il mio, è pregato di farlo. Sennò, conviene cambiare mestiere".
Negli anni Ottanta Emma Bonino fu protagonista, sulla scena politica italiana, di una battaglia per rendere più efficienti e generosi gli aiuti ai paesi sottosviluppati, in particolare nelle emergenze. Ne venne fuori una legge, che la Bonino e i suoi compagni di allora, i radicali pannelliani, non votarono e che divenne uno dei grandi rubinetti di Tangentopoli. Un luminoso esempio di rimedio peggiore del male. Ma la passione della militante radicale è tornata utile quando, nel '94, il governo Berlusconi cercava un candidato credibile per la Commissione di Bruxelles, accanto al professor Mario Monti. A sentir rievocare quella esperienza, lei alza le spalle. "Erano altri tempi, e soprattutto un altro contesto. I disastri umanitari del decennio passato erano legati a catastrofi meteorologiche. La siccità del Sahel, la carestia del Corno d'Africa. Ma quelli di questa fine secolo sono sempre figli della guerra, che si tratti di Bosnia, di Somalia o di Ruanda. C'è una tensione politica fortissima, che allora invec
e mancava".
Perciò le sconfitte passate non hanno tolto a Cassandra Bonino la voglia di alzare la voce. Quando sente dire che molti governi stanno rimettendo in discussione la partecipazione dei loro soldati alla forza multinazionale che dovrebbe aprire la strada agli aiuti umanitari in territorio zairese, lei s'infiamma. "Basta un po' d'aritmetica. La popolazione dei campi profughi era calcolata in un milione e centomila persone. Diciamo che era una stima per eccesso, facciamo un milione. Facciamo pure novecentomila. Si dice che sono rientrati in cinquecentomila: prendiamo questa cifra per buona, anche se per ammissione delle Nazioni Unite, nessuno è riuscito a contare quel fiume umano che si è rovesciato attraverso la frontiera. Fanno pur sempre quattrocentomila dispersi. Almeno quattrocentomila, come abbiamo visto, secondo il calcolo più ottimista.
"Allora io domando: qual'è la soglia? Centomila? Duecentomila? Trecentomila? Quante vite umani devono essere in pericolo di morte perché la comunità internazionale si muova? Se sono meno di un milione, tutti fermi? E se erano mille, cento, dieci tedeschi o americani? C'è un solo modo di spiegare questa inazione: un inconscio riflesso razzista, per cui le vite degli africani vengono considerate vite a perdere. La verità è che i governi prendono le loro decisioni in base ai loro interessi, e non in base ai valori".
Eccola qua, la voce che grida nel deserto europeo. Ma cosa le fa credere, signora Bonino, che gridando più forte si riesca a farsi ascoltare? L'immobilismo del mondo non è forse un suo fallimento personale? "Io cerco di fare una distinzione", risponde la piccola commissaria (la signora Bonino è nata nel 1948 e dà la netta impressione a chi la osservi di avere più anni che chili). "Una cosa sono gli aiuti umanitari, un'altra la politica. L'aiuto umanitario è un valore in sé, ma non ha né la vocazione, né gli strumenti, per risolvere le cause politiche delle tragedie che lo hanno reso necessario. Non c'entra niente neppure con il cosiddetto "diritto d'ingerenza umanitario", che è già una scelta politica, né con la "militarpolitica" internazionale, l'invio di truppe sia pure a scopo umanitario.
"Gli aiuti umanitari hanno un fine preciso: guadagnare tempo. Io lo chiamo il "tempo dei vivi", contrapposto al "tempo dei morti". Guadagnare tempo affinché altri, i politici, possano trovare una soluzione. E nello Zaire orientale l'Unione europea ha tentato di fare proprio questo: io mi occupo dell'umanitario, e Aldo Ajello, un altro italiano, è stato inviato nella regione dei Grandi Laghi col compito di ricercare una soluzione politica. Ma l'Europa da sola non basta. La verità è che la comunità internazionale si è fermata all'umanitario. la politica non è mai scesa in campo. E lasciato a se stesso, l'umanitario non può far nulla".
Scusi signora, ma lei non è la presidente di un'associazione di carità. Lei è "poco più, poco meno" ministro del governo d'Europa. "Immagini che io sia ministro di un qualche Stato europeo. Alle riunioni del consiglio faccio i miei interventi, cerco di convincere gli altri che bisogna agire, e mentre parlo il ministro degli Esteri, quello della Difesa, leggono i loro dossier, guardano nervosamente l'orologio e non mi degnano della minima attenzione. Ecco qualcosa del genere succede a Bruxelles. E peggio ancora a New York, tra il Consiglio di Sicurezza e le agenzie dell'Onu che si occupano delle questioni umanitarie, a cominciare dall'Alto commissariato per i rifugiati",
Cassandre forse non si nasce, ma si diventa. Sarà destino che la voce dell'umanitario (L'Humanitaire, come dicono i francesi) debba restare inascoltata? "Questo non lo so", prosegue la Bonino. "So però che l'umanitario non funzionerà mai se pretendiamo che sia lui a risolvere i problemi. Guardi gli americani in Bosnia: quando si sono decisi a fare qualcosa non hanno mica mandato gli aiuti. Hanno mandato i bombardieri. Poi hanno mandato Richard Holbrooke a negoziare un accordo di pace. L'umanitario segue la politica estera, non viceversa".
Certo lei non pretende che le bombe siano la soluzione. Vuole dire, però, che prima viene la politica, e poi gli aiuti. Forse ha in mente un'altra profetessa, come lei di minuta statura. Giovanna d'Arco sapeva di non potere da sola salvare la Francia, ma quel che voleva era convincere il re a muoversi, a farlo lui. Interrogata, Emma Bonino ammette che dedicarsi soltanto agli aiuti umanitari le va un po' stretto. "Se potessi, mi occuperei di più di politica estera. Capisco che gli Stati hanno le loro priorità, i loro interessi nazionali da difendere. Va benissimo, specie se queste esigenze sono trasparenti e non occulte. Ma in nessun caso possono passare sulla vita di un milione di persone.
"Alle crisi del mondo gli Stati nazionali, nemmeno una superpotenza come gli Stati Uniti, possono dare da soli una risposta esauriente. E oggi ci sono solo loro, oppure un organismo mondiale come le Nazioni Unite, creato ai tempi della Guerra fredda e profondamente inadeguato ai tempi nuovi. L'Unione Europea, che sta a metà strada fra queste entità ed nuova di zecca, è naturalmente chiamata a svolgere un ruolo". Eccola qua, un po' Cassandra, un po' Giovanna d'Arco, di nuovo pronta a partire dovunque ci sia una guerra da fermare, un massacro da impedire e una telecamera disposta ad ascoltare.