L'ITALIA DEVE RISOLVERE IL NODO DEI FINANZIAMENTI EUROPEI NON UTILIZZATIChi meno spende meno avrà
di EMMA BONINO
Sono circa 41 mila i miliardi che l'Unione Europea ha messo a disposizione dell'Italia per il periodo '94/99 e che il nostro paese rischia di lasciare parzialmente nelle casse comunitarie. Ci lamentiamo per i sacrifici che ci impone l'Europa- matrigna, ma amministriamo distrattamente risorse equivalenti ad almeno un paio di manovrine. Come mai?
Gli ultimi dati disponibili, del settembre scorso, dicono che in Italia gli impegni e i pagamenti relativi al cosiddetto Quadro Comunitario di Sostegno per il 94/99 (cioè l'effettiva utilizzazione dei fondi stanziati) non superano rispettivamente il 23% e il 10% delle cifre allocate. Una media ben al di sotto di quella europea.
Ormai alla vigilia della prevista revisione di metà percorso, e della possibile redistribuzione di risorse fra i paesi europei aventi diritto, ci troviamo in una posizione difficile e vulnerabile: altri Stati che beneficiano di cofinanziamenti per l'Obiettivo 1 (regioni in ritardo di sviluppo) hanno dimostrato infatti una capacità di spesa superiore a quanto loro assegnato. E potrebbero rubarci un pezzo della torta comunitaria. Perdi più, gli ultimi incontri fra la Commissione e il nostro governo hanno vanificato qualsiasi speranza di ulteriori proroghe, sia per la quota non utilizzata dei fondi stanziati nel periodo '89/93 (oltre 21 mila miliardi), sia per il periodo in corso.
Insomma, per quanto riguarda i fondi strutturali, siamo di fronte a una malattia antica, in via di cronicizzazione. Siamo all'emergenza.
Poiché gli allarmi, lo constato personalmente da due anni, cadono sistematicamente nel vuoto, non ci rimane che affrontare la questione ripartendo da zero: o si decide di adottare al più presto soluzioni alternative per assicurare finalmente una corretta gestione dei fondi in linea con tutti gli altri paesi europei, o si accetta l'idea che a partire dalla prossima programmazione dei fondi strutturali, che sarà negoziata a-cavallo fra il 98 e il '99 l'Italia avrà un ruolo di secondo piano, cioè minori cofinanziamenti.
Non ho ricette miracolose per la soluzione di problemi cosi radicati e cosi legati ad alcuni vizi nazionali (in primo luogo il poco amore della nostra burocrazia per la razionalità e la trasparenza), ma sono sicura che il nostro paese possiede il buon senso e il know-how necessari per migliorare la gestione dei fondi, e avvicinarsi anche in questo campo agli standard europei. O si deve fare ricorso ad una sorta di "commissariamento", come per le amministrazioni locali ingovernabili?
In termini pratici, non credo sia più differibile una profonda revisione di tutta la legislazione nazionale e regionale, relativa a questa materia.
Ci vogliono strumenti normativi più efficaci e rapidi i che, senza tralasciare la protezione degli interessi finanziari nazionali e comunitari, garantiscano la piena utilizzazione delle risorse disponibili.
Suggerire il rafforzamento degli organici è solo in apparenza un'ovvietà, se per rafforzamento si intende non già il ricorso a nuove assunzioni ma piuttosto la riqualificazione del personale esistente (affinché prenda dimestichezza con il diritto amministrativo europeo) e una sua redistribuzione. C'è una regione del mitico Nord-Est dove lavorano all'ufficio delle politiche comunitarie 12 persone, mentre l'assessorato all'Agricoltura ne ha più di cento. Il cambiamento può passare anche attraverso la predisposizione di un rigoroso Tableau de Bord, uno strumento che fissi scadenze da rispettare, pena il decadere del contributo, entro le quali completare determinate operazioni (delibere attuative, pubblicazioni dei bandi, selezione dei progetti, gare d'appalto, avanzamento lavori, etc.), e che preveda successivi meccanismi automatici di riprogrammazione della spesa.
Ci sono infine espedienti tanto efficaci quanto semplici, come ad esempio l'overbooking di progetti, l'acquisizione cioè di un numero di progetti buoni il cui importo eccede il finanziabile. Per avere sempre dei progetti di scorta da sostituire a quelli che si arenano.
Tutto si può fare. A condizione che il problema spreco dei fondi strutturali venga incluso, bene in vista, nell'elenco delle priorità. E che ci siano volontà e forza sufficienti a sciogliere una volta per tutte il nodo perverso di particolarismi, lentezze e interessi politici che blocca tutto.