TIRANA L'EUROPA E' SORDA
di Gianni Corbi
Le opinioni sulla tragedia albanese sono molte e spesso divergenti. Su un punto, tuttavia, questo concerto discordante ha nota comune. Tutti sono infatti d'accordo nel ritenere che l'Italia si trova ad affrontare da sola una situazione di drammatica emergenza, mentre si registra la colpevole indifferenza delle organizzazioni internazionali e, quel che più importa, dell'Unione Sovietica.
Jacques Delors che di queste cose se ne intende per aver presieduto per molti anni la Commissione esecutiva della Comunità europea ha sostenuto nel "Forum" di Repubblica (sabato 29 marzo) che "l'indifferenza dell'Europa verso il dramma albanese dovrebbe colpire ogni cittadino europeo consapevole. Per me è stata una ferita al cuore".
Emma Bonino, commissario europeo in carica, è invece convinta che il dramma della nave albanese si sarebbe potuto evitare se l'Unione Europea e la comunità internazionale "non avessero perso tempo per avviare un intervento umanitario decente in Albania". Quello che però non viene spiegato a un'opinione pubblica sempre più frastornata e indignata, è chi sarebbero i responsabili di questa colpevole disattenzione, chi dovrebbe intervenire e con quali poteri, quali somme sono attualmente a disposizione di un'Unione Europea sempre più avara e quasi unicamente preoccupata di rispettare a ogni costo i parametri del trattato di Maastricht.
Rispondere a questa domanda non è affatto facile. Per farlo è necessario infatti penetrare nel labirinto comunitario di Bruxelles, con le sue regole scritte e non scritte. La prima cosa certa è che l'Unione Europea non solo non si disinteressa di aiuti e di cooperazione ai paesi in difficoltà come l'Albania,ma, paradossalmente, se ne occupa fin troppo.
Da uno studio sugli aiuti internazionali condotti dalle Organizzazioni non governative apprendiamo che ben cinque commissari europei si dividono, e si contendono, i molti miliardi di Ecu che l'Europa mette a disposizione, in modo disordinato, a favore della cooperazione allo sviluppo.
Teoricamente la competenza spetterebbe ad un'unica Direzione generale, ma di fatto gran parte dei compiti riguardanti gli aiuti sono demandati, non si sa bene in base a quali criteri di convenienza e di programmazione, a molti altri uffici. A quello dell'inglese Leon Brittan, responsabile per le politiche commerciali. Al rappresentante dei Pesi Bassi Hans van Den Broek che dovrebbe occupare dei pesi dell'Europa dell'Est, della Turchia, di Cipro e di Malta. Allo spagnolo Manuel Marini incaricato della regione mediterranea, del Medio Oriente, e della America Latina. E al portoghese Joao de Deus Pinheiro, titolare teorico della "Direzione generale per lo sviluppo", al quale, però, è stata anche affidata la cura dei rapporti con il Sud Africa e con i settanta paesi firmatari della Convenzione di Lomè.
Ed infine c'è la situazione abbastanza confusa della nostra commissaria Emma Bonino. La Bonino è responsabile dell'assistenza umanitaria verso i paesi che sono fuori dell'Unione Europea ma, non bastasse l'enorme incarico che le è stato addossato, è anche titolare dei problemi della pesca e dei consumatori.
Questo spiega perché il nostro referente europeo a Bruxelles per gli aiuti a favore dell'Albania sia una specie di sfuggente ectoplasma e perché nessuno sembri in grado di decidere come, quando, con quali mezzi, e in che misura intervenire.
E ci si chiede anche perché mai il commissario alla concorrenza Karel Van Miert abbia il potere di decidere come debbono essere privatizzati il Credit Lyonnais, la Stet o il Banco di Napoli, e invece non ci sia un Commissario europeo in grado di intervenire, e con i pieni poteri, ieri in Bosnia e in Somalia, ed oggi nello Zaire e in Albania.
Perché non concentrare questi poteri nelle mani di un solo commissario, per esempio Emma Bonino che già detiene la delega dell'assistenza umanitaria ed ha dimostrato di avere capacità operative largamente riconosciute? E perché l'onorevole Bonino impiega parte del suo tempo prezioso a polemizzare sui giornali con gli intellettuali italiani e non invece o sovrintendere da Bari, da Brindisi, da Valona, da Tirana, alla politica e agli aiuti in favore dei disperati d'Europa? La verità è che ognuna della nazioni dell'Unione Europea è portata a considerare la politica degli aiuti un affare riservato, il prolungamento delle rispettive politiche nazionali. Nel corso di questi ultimi decenni si è infatti realizzata una tacita ed inconfessata spartizione geopolitica di tipo postcoloniale.
L'Italia ha avuto il riservato dominio degli aiuti in Somalia in Etiopia.
La Francai nel Ciad, nel Senegal, in Madagascar.
L'Inghilterra negli immensi territori del sui ex impero.
Le polemiche tra "anglofoni" e "francofoni" nella regione dei Grandi laghi, mentre si sta consumando l'ecatombe di milioni diuomini, dimostra che le preoccupazioni geopolitiche sono molto forti, mentre la capacità di intervento militare e umanitario - delle organizzazioni internazionali è minima.
L'Italia è stata ora chiamata, per ragioni storiche, geografiche, culturali, a capeggiare, in nome dell'Onu, una forza d'intervento intereuropea per tentare di sottrarre l'Albania dal caos in cui e sprofondata.
Il che è certamente giusto e ragionevole, a condizione che Bruxelles non resti a guardare quanto succede a Tirana, come un giudice al di sopra delle parti.