CARO VILLARI, TI SBAGLI. SENZA REFERENDUM TRIONFA LA PARTITOCRAZIA
di Emma Bonino
I referendum fanno male alla democrazia. Così sostiene Lucio Villari ("Senza referendum c'è più democrazia", l'Unità del 15 aprile) e non me ne stupisco; perchè da svariati decenni abbiamo, in materia di democrazia, idee e pratiche del tutto diverse. Nè mi azzardo, come fa Villari, a coniare d'impulso definizioni lapidarie di cosa siano e rappresentino la democrazia e la volontà popolare. Nutro invece il dubbio che dietro questa disputa, apparentemente di filosofia del diritto, si nasconda una operazione di politica spicciola. E' quindi utile chiarire alcune cose. La Costituzione italiana ha munito cittadino e popolo di un doppio voto: uno volto ad eleggere i suoi rappresentanti in Parlamento (democrazia ''rappresentativa''), l'altro volto ad abrogare leggi votate dai parlamentari ma che risultano non condivise dal popolo sovrano. La Carta fondamentale non pone limiti all'espressione e alla forza di questo doppio voto. Non si capisce se Villari ritenga più nocivi per la democrazia i referendum abrogativi, pr
evisti dalla Costituzione e sistematicamente vietati dalla Corte Costituzionale, o quelli propositivi, che a quanto pare la Bicamerale vorrebbe introdurre nel nuovo impianto costituzionale. Si capisce solo che i referendum "buoni" sono solo quelli del passato, mai quelli presenti. La verità storica è che quello referendario è rimasto un diritto negato per i primi trent'anni di repubblica. E' stato concesso solo a partire dal 1974, per approvare la legge Fortuna sul divorzio, non senza difficoltà e resistenze. Non me ne vorrà, spero, questo giornale, se ricordo che a due mesi dal voto l'Unità definiva ancora il referendum sul divorzio "la peggiore delle jatture". Diritto concesso nel '74 e confiscato nel '78, quando la Corte annullo di fatto i connotati costituzionali del referendum, sostituendoli con una giurisprudenza "controriformistica" che molti (compresi alcuni ex presidenti della Corte) giudicano incerta o insostenibile. Difficile d'altra parte non intravedere, dietro le dottrine e le pratiche antirefe
rendarie, l'obiettivo di tutelare le "istituzioni" contro gli umori e il voto dei cittadini. Democrazia sì, insomma, ma senza esagerare.
Ma nessuno può negare che le ondate referendarie abbiano coinciso con i momenti di maggiore immobilismo dei parlamenti e di maggiore chiusura da parte dell'establishment politico. Chi è come allora, in assenza di referendum, metterà alla frusta parlamenti "bloccati" o inadempienti? Partiti e movimenti politici, risponde Villari. Cioè quelli stessi attori che i parlamenti vivaci o addormentati che siano -li abitano e li gestiscono. A chi, in buona fede o no, afferma che i referendum sono una minaccia alla democrazia rappresentativa è facile rispondere che nel movimento referendario radicale nessuno ha mai pensato di utilizzare i referendum come forma di supplenza delle istituzioni politicheanzi: si è sempre sostenuto il ricorso al referendum abrogativo, come strumento di verifica e di riforma delle decisioni politiche; e ci si' è schierati contro il referendum propositivo, che rischia di essere strumento di ratifica plebiscitaria, di consacrazione popolare delle maggioranze al potere. Minaccia di più la democ
razia il movimento referendario o la tendenza dei poteri costituiti (partiti, corporazioni, potentati economici) ad autoconservarsi? Io credo che mai come oggi i referendum (a partire da quelli bocciati dalla Corte) possono rappresentare uno sbocco per il diffuso consenso popolare nei confronti di riforme civili, istituzionali ed economiche che uniscono trasversalmente parti di elettorato delle diverse coalizioni politiche, a cui il sistema dei partiti non riesce a dare risposta. Forse proprio per questo la Corte ha vietato la maggior parte dei referendum proposti dai radicali, per evitare che una forza posta ai margini della politicomediatica ufficiale ottenesse come sul finanziamento pubblico -una vittoria elettorale. L'"Assemblea Nazionale Liberale e Referendaria", in corso a Roma in questi giorni offre un'occasione di confronto fra chi sostiene che i diritti degli elettori non possono essere espropriati, nè dalla Corte Costituzionale nè dal potere politico (che evoca a sè una preliminare valutazione di o
pportunità della consultazione referendaria), e chi (Villari compreso) ritiene che l'interesse alla conservazione del sistema partitico coincida con l'interesse politico del paese.