"SOTTO IL TIRO DEI MITRA POTEVA SUCCEDERE TUTTO..."Parla la commissaria Ue: "Ci hanno minacciato. Ma noi non ce ne andiamo"
di GIAMPAOLO CADALANU
HA AVUTO paura per la sua vita?
"Beh, a un certo punto, quando c'è stata gran confusione, tutto poteva succedere... Mi hanno puntato un Kalashnikov..."
La voce di Emma Bonino, raggiunta per telefono ad Islamabad da Repubblica, sembra tranquilla e lascia filtrare la solita energia. L'adrenalina lascia spazio a toni più caldi solo quando parla delle altre donne.
Come sta, signora Bonino? Può raccontarci com'è andata?
"Sto bene, per fortuna. La storia è andata in questo modo: stavamo facendo una visita, annunciata da molto, al policlinico, anzi, al centro provvisorio creato dai Taliban solo pochi mesi fa per le donne. Visto che queste non possono stare con gli altri, hanno aperto questo centro medico, ma non c'è acqua, non ci sono letti, non c'è elettricità... Gli osservatori delle Organizzazioni non governative erano preoccupatissimi, perché non si può fare nessuna assistenza in queste condizioni".
E che cosa è successo?
"Ero in riunione con la direttrice, e nei corridoi c'era la stampa, che riprendeva in giro. Qui bisogna ricordare che l'Unione europea ha speso duecento milioni di dollari in aiuti umanitari per questo paese, non poco. A un certo punto sono arrivati questi della polizia religiosa, il corpo della "Repressione del vizio e promozione della virtù", e hanno cominciato a strattonare tutti. Mi hanno preso la borsa, l'hanno svuotata, mi hanno puntato addosso il Kalashnikov".
E a quel punto...
"Ho chiesto a tutti di tornare in auto. Siamo stati condotti al posto di polizia. Mezz'ora dopo è arrivato il viceministro della Sanità, che si è messo a trattare con i Taliban. Questo negoziato è durato dalle 9.45 alle 13. Allora ci hanno liberato, dopo aver sequestrato le cassette girate. Quindi siamo andati a Gardez, un'altra città afghana, poi siamo rientrati qui ad Islamabad. Domani torneremo, dobbiamo andare nel nord del paese".
Ma come mai il ministro ha dovuto "contrattare" la vostra liberazione?
"Qui la polizia religiosa fa il bello e il cattivo tempo. Episodi del genere sono normali per tutte le donne. Ieri ho parlato con due afghane, che erano state picchiate perché portavano pantaloni troppo corti. Questo paese è diventato il regno dell' arbitrio e del terrore".
Non c'è modo di far convivere i valori di riferimento dei Taliban con quelli occidentali?
"Ma qui è solo questione di pressione politica, non c'è da fare confronti di idee con i Taliban. Sono bande armate, che tengono prigioniera persino una parte del governo. La religione, il Corano, non hanno niente a che vedere con quello che si vede in Afghanistan. Gli amici delle Ong ci hanno detto che l'altro ieri alcuni uomini sono stati bastonati pubblicamente perché non avevano la barba abbastanza lunga. Se la violenza arriva a sfiorare una delegazione dell'Europa... E poi non ci sono scuole, ragazzi e ragazze vengono su come analfabeti del Medioevo".
Ma le donne di qui, che possono fare?
"Davvero mi auguro che ci sia una rivolta. Anzi, approfitto dello spazio per chiedere alle mie amiche, a tutte le donne: dedichiamo l'8 marzo alle donne afghane".
Adesso cambierà qualcosa nella politica degli aiuti?
"Gli aiuti non cessano, né noi ce ne andiamo. Siamo gli unici, le donne di qui ci hanno pregato di restare. Non bisogna andarsene, ma fare chiarezza".
Che cosa vuol dire?
"Sappiamo bene quali sono le responsabilità internazionali. Arabia Saudita e Pakistan hanno riconosciuto questo governo dei Taliban. Presto incontrerò il ministro degli Esteri di Islamabad, e solleverò la questione. E questi studenti islamici: non è che trovano carri armati e Kalashnikov all'università. Nell'aeroporto, chiuso alle Organizzazioni umanitarie, di notte c'è moltissimo traffico. Non credo che siano noccioline".