l'intervista - emma bonino"UNA MIMOSA PER KABUL"
Al ritorno dalla sua brutta avventura nel Paese dominato dai talibani, il commissario europeo ha in mente un gesto carico di significato: dedicare alle donne afghane, costrette a privazioni e angherie di ogni genere dai fondamentalisti, la prossima giornata mondiale della donna.
di PAOLO ROMANI - foto di Nino Leto
Non tutto il male viene per nuocere, e l'odiosa disavventura di Emma Bonino, il 29 settembre a Kabul, sarà servita ad attirare l'attenzione sulla tragica sorte delle donne afghane martirizzate dai talibani, i fanatici "studenti di teologia" islamici. Perché il mondo non dimentichi le sue "sorelle" che soffrono sotto il tallone degli ultrafondamentalisti, il commissario europeo ha in mente un gesto carico di significato: dedicare loro il prossimo otto marzo, giornata mondiale della donna. »Per questo , dice, »chiedo ai lettori di Famiglia Cristiana di aiutarmi. Li invito a firmare una petizione che verrà successivamente trasmessa agli organismi internazionali competenti: Nazioni Unite, Europarlamento, Commissione europea .
Ha rischiato di finire male, anzi malissimo, la missione della Bonino a Kabul. Prima è stata presa a spintoni, molestata, minacciata con i kalashnikov puntati dietro la schiena; poi è stata sequestrata nel cortile di un inospitale commissariato insieme con i membri della delegazione e i giornalisti che l'accompagnavano, fino al rilascio, tre ore dopo, con le scuse ufficiali, tanto tardive quanto inutili, dei viceministri degli Esteri e della Sanità. Di quale crimine imperdonabile era accusata? Semplicemente di aver filmato e fotografato le donne ricoverate in ospedale: la legge islamica (così come l'interpretano i talibani) lo proibisce tassativamente.
E dire che il commissario aveva preso tutte le precauzioni possibili. Tanto che per andare a verificare in prima persona l'utilizzo degli aiuti di emergenza (68 miliardi di lire) elargiti all'Afghanistan dall'Unione europea, aveva prudentemente messo nella valigia un indumento adeguato al regime instaurato dagli "studenti di teologia" che un anno fa, turbante in testa e barba lunga, hanno conquistato a sorpresa Kabul e ora controllano due terzi del Paese. Un velo di stoffa blu scura, con lo stemma dell'Europa (15 stelle) e la sigla "ECHO" (European Commission Humanitarian Office).
Non è bastato per metterla al riparo dai fulmini durante la visita al policlinico centrale di Kabul, ora riservato alle sole donne: da qualche settimana la milizia religiosa che dipende dal "Ministero della repressione del vizio e per la promozione della virtù" ha chiuso i reparti femminili di tutti gli altri ospedali perché nemmeno per motivi di salute è ammessa la "promiscuità", e una donna può essere visitata, curata, o anche soltanto sfiorata da un medico maschio.
Il "film" di quella drammatica giornata è ancora nitido nella mente di Emma Bonino. Ha avuto paura? »Certo, e non mi vergogno di confessarlo: quando ho visto i kalashnikov, ho pensato che poteva succedere qualsiasi cosa . Ma nel suo elegante, ovattato ufficio di Bruxelles, dove la incontriamo poche ore dopo il ritorno da Kabul, il commissario esprime soprattutto indignazione. »Quello che ho vissuto in poche ore dà solo una pallida idea del calvario quotidiano delle donne afghane. E non solo delle donne. Il giorno prima che noi arrivassimo era stato bastonato in pubblico un gruppo di uomini perché le barbe non erano abbastanza lunghe. Mi hanno raccontato cose da far rizzare i capelli: per esempio la storia di una donna cui erano state mozzate le dita perché si era messa lo smalto sulle unghie. Un'altra è stata selvaggiamente picchiata perché i pantaloni che portava sotto la burka (il caffettano sotto il quale le donne debbono nascondere le loro fattezze) erano troppo attillati.
Ho parlato con un gruppo di ostetriche che dopo tanti mesi hanno finalmente ottenuto il permesso di lavorare, anche se solo nell'ospedale. Ma debbono andarci a piedi: non possono prendere un autobus o un taxi, né girare in bicicletta e neppure camminare per strada a meno che non siano accompagnate dal legittimo sposo, dal padre o dal fratello. Non possono uscire di casa se non velate dalla testa ai piedi, con una grata di tela sul viso, per poter respirare e guardare dove mettono i piedi. Sono proibiti persino i calzini bianchi (troppo "seducenti") e le scarpe coi tacchi. Non hanno il diritto di studiare, cantare, chiacchierare in pubblico, fumare, viaggiare. Mi si stringe il cuore se penso che fino a un anno fa le donne afghane erano emancipate, attive professionalmente. Adesso, possono esistere soltanto come madri, sorelle, figlie, esposte alle aggressioni della milizia coranica, che al minimo sgarro può sferzarle a piacimento con le verghe sacre. Da un anno, a Kabul, le donne vivono così: se questa è vita
... .
- Eppure i talibani si vantano di aver portato la pace e la sicurezza...
»E vero che non si spara più per strada come nel periodo '92-95 che ha visto la distruzione totale di Kabul dove non c'è più una casa in piedi. Ma all'insicurezza si è sostituito il terrore. La situazione è tragica: nessuno può sapere con certezza se sarà ancora vivo domani. Chi comanda è la milizia religiosa che gira a bordo di fuoristrada Toyota, e perseguita chiunque le capiti a tiro. Ancora più grave è il fatto che l'Afghanistan è oggi un Paese in via di analfabetizzazione: erano soprattutto le donne che insegnavano e siccome non possono più lavorare... Ma quello che mi preme dire è che la religione, il Corano, il credo dei pashtun (l'etnia dei talibani, ndr) non c'entrano nulla con ciò che accade: il problema è che il potere è nelle mani di un gruppo di pazzi ignoranti che pretendono di essere i depositari della verità e obbediscono solo al loro "messia", il mullah Omar, il quale trasmette gli ordini di Allah via fax, da Khandahar, e rifiuta di ricevere un occidentale, quale che sia, figuriamoci una don
na. Ma oltre al fanatismo, ci sono tanti altri problemi.
Per esempio, la droga: in due anni, l'Afghanistan è diventato il più grande produttore mondiale di papavero, fino a supplire l'80 per cento del consumo europeo di eroina. L'Afghanistan produce (più della Birmania), il Pakistan raffina e commercia. Poi c'è il traffico di armi: ogni notte, sull'aeroporto di Kabul (chiuso ai voli umanitari) atterrano apparecchi da trasporto. Non credo che siano carichi di banane .
- Quella dell'Afghanistan è una situazione estrema. Ma ci sono tanti altri Paesi dove la condizione femminile è infelice.
»Certo. Penso alla barbarie dell'infibulazione di cui sono vittime tante africane, alle donne oppresse in Iran, sgozzate in Algeria, costrette a vivere come nel Medioevo (in Arabia Saudita e altri Paesi musulmani). Purtroppo, la risposta della comunità internazionale è debolissima. Del resto, l'Occidente dovrebbe fare un esame di coscienza: qual è la condizione reale della donna, nelle nostre società evolute, dopo anni e anni di battaglie femministe? Esiste davvero la parità dei sessi? Siamo entrate dovunque, in politica, nel giornalismo, nella magistratura, ma non sono sicura che riusciamo a tener alti certi valori.
Dovremmo esprimere la nostra "diversità", eppure ho il sospetto che "diversità" rimi ancora, troppo spesso, con "inferiorità". Per questo vorrei che il prossimo 8 marzo fosse sì la giornata delle donne di Kabul, ma non solo di quelle .