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Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Benedetto - 20 novembre 1999
Bozza dell'intervento di Emma Bonino ad Arezzo del 19 novembre 1999.

LIBERTA' ECONOMICHE E REFERENDUM

I radicali italiani e l'economia, un binomio strano? Molti pensano che sia così. Molti ci dicono : come eravate bravi quando vi occupavate di diritti civili, di giustizia, di fame nel mondo .... E poi aggiungono : invece ora, con il vostro liberismo..... E' una provocazione utile, utile a fare un po' di chiarezza.

In realtà, infatti, la tradizione radicale italiana è una tradizione fortemente segnata dalla riflessione e dall'iniziativa sui temi economici ; Ernesto Rossi è stato un antesignano delle battaglie per la liberalizzazione economica nell'Italia repubblicana ; ha combattutto con forza contro i monopoli e contro le rendite parassitarie ; ha ingaggiato duelli durissimi con una Confindustria protezionista e assai poco liberista ; ha attaccato - quaranta anni fa - i sindacati operai accusandoli di essere conservatori e di contrastare le innovazioni che avrebbero favorito i lavoratori più deboli ed i disoccupati.

Ma anche negli anni un po' più recenti, gli anni ottanta, il Partito Radicale si é occupato di questioni economiche, ad esempio presentando una Legge che, un po' sulla scorta della esperienza americana, poneva la questione del controllo e della riduzione del debito pubblico. Ed erano gli anni ottanta, quando Maastricht era solo una sconosciuta cittadina olandese. E poi, sempre negli anni ottanta, l'iniziativa, anche duramente non violenta, per il raddoppio delle pensioni minime, non per demagogia, ma perché si trattava di una misura che avrebbe inciso pochissimo sul bilancio pubblico e avrebbe corretto una evidente stortura del nostro sistema previdenziale. Del resto la stessa battaglia per la riforma maggioritaria ha una valenza economica: il Fondo Monetario Internazionale ha di recente riconosciuto che i sistemi maggioritari garantiscono - a parità delle altre condizioni - le migliori performance economiche diminuendo il peso dell'intermediazione dei partiti sulle decisioni di politica economica.

Ciò detto, é sicuramente vero che in questi ultimi anni - pur senza dimenticare i diritti civili, l'antiproibizionismo e via discorrendo - l'iniziativa politica radicale è stata improntata alle riforme economiche. Per l'Italia di oggi sono le riforme economiche - più libertà di impresa, meno Stato nell'economia, flessibilità e autonomia contrattuale nel mercato del lavoro, meno spesa pubblica, rottura dei monopoli, liberalizzazione dei mercati, ..- la chiave della modernizzazione. Qualcosa di analogo, appunto, ai diritti civili negli anni settanta. Dico questo perché deve essere chiaro a tutti che la libertà da affermare per gli europei del duemila sarà sempre più quella di potere avere libertà di scelta come consumatori ed utenti tra una molteplicità di opzioni in un mercato concorrenziale. Attraverso la scelta "liberista" vogliamo affermare la libertà di impresa, certo, ma anche la libertà del consumatore di ottimizzare la propria utilità orientandosi tra offerte davvero in concorrenza. Gli economisti par

lano, nella teoria, "di sovranità del consumatore". Noi vorremmo che, almeno un po', questa fosse anche "la pratica".

In questi anni abbiamo, ad esempio, appoggiato il Governo Amato nel suo tentativo scongiurare la catastrofe finanziaria; abbiamo sostenuto il tentativo del Governo Berlusconi di riformare le pensioni; abbiamo promosso referendum per la liberalizzazione di orari e licenze degli esercizi commerciali; per la liberalizzazione dell'accesso alle professioni; per l'abolizione della golden share nelle aziende privatizzate. In termini più generali abbiamo denunciato i guasti che stava producendo la concertazione, con lo strapotere sindacale e l'arrendevolezza - chiamiamola così - della Confindustria. L'esaltazione della concertazione come unica modalità di decisione sul fronte della politica economica ha prodotto una paralisi insostenibile. In cambio magari di qualche rottamazione, ma La concertazione ha consegnato al sindacato, anzichè ai governi e ai parlamenti eletti da tutti i cittadini - giovani o vecchi, operai o commercianti, occupati e disoccupati, uomini e donne, ...- le chiavi di alcune riforme centrali p

er la modernizzazione del paese: penso alla riforma del welfare e a quella delmercato del lavoro. Ma potrei parlare probabilmente anche di scuola, sanità, poste, trasporti.... Quelle chiavi sono state gettate via.....

Noi abbiamo denunciato come l'Italia si stesse preparando in modo passivo e del tutto insufficiente alla sfida della moneta unica. Mi spiego: lo sforzo per il raggiungimento dei parametri di Maastricht era tutto caricato sulle spalle dei contribuenti con un poderoso aumento della pressione fiscale su individui e imprese. Ma su questo tornerò tra poco.

Molto dicono: in fondo la pressione fiscale italiana è in linea con quella francese o tedesca. Vero, ma solo dieci anni fa era di gran lunga inferiore: qualcuno ha visto uno straordinario miglioramento, un adeguamento agli standard europei, dei servizi pubblici e delle infrastrutture?

Nulla o quasi, invece, si è visto in fatto di riforme strutturali: liberalizzazione dei mercati - dei prodotti, dei servizi e del lavoro efficienza nella Pubblica amministrazione, riduzione della spesa pubblica e delle imposte. Abbiamo visto qualcosa in fatto di privatizzazioni, ma, ad esempio, oggi il Tesoro detiene circa il 15% del valore delle azioni quotate in borsa, e questo, come dire, ..non è bello -

Come voi sapete meglio di me la moneta unica crea una rigidità drammatica per un paese come l'Italia abituato alle svalutazioni competitive. Se non si ha la forza di inserire altri elementi forti di flessibilità l'economia rallenta e il divario con gli altri paesi dell'Euro si fa ogni giorno, lentamente ma inesorabilmente, più ampio. In questi mesi si parla spesso del gap di competitività dell'economia italiana.

L'esistenza di questo ampio gap è chiaramente testimoniata dai tassi di crescita del PIL di questi ultimi 5 anni : nel quinquennio '94-'98, il PIL italiano è cresciuto, in media, dell' 1,7% all'anno; nel medesimo periodo la crescita annua media dei quindici partners europei è stata del 2,5%. Il gap diviene poi vertiginoso rispetto a quei paesi che hanno, con piu' coraggio, intrapreso politiche di liberalizzazione dell'economia: il PIL della Gran Bretagna è cresciuto, mediamente, del 3,1% annuo, quello dell'Olanda del 3,3%, quello della Spagna del 3%, quello dell'Irlanda del 10,1%.

Un ulteriore parametro di riferimento per misurare la competitività declinante dell'Italia è rappresentato dagli investimenti diretti stranieri: siamo ultimi tra i paesi europei - a parte Portogallo e Grecia - sia in percentuale sul PIL che in valori assoluti, e per di più peggioriamo. Se non investono gli stranieri perché non lo ritengono conveniente e preferiscono altri paesi - Olanda, Spagna, Gran Bretagna, e non solo far east.. - come possiamo chiedere di investire in Italia agli imprenditori italiani?

Come possiamo sperare che si investa in un paese dove, e lo ha appena denunciato il governatore della Banca d'Italia Fazio, la pressione fiscale è cresciuta tra il 1979 e il 1989, dal 29% al 39%, e dove questo trend di tassazione vessatoria e soffocante è proseguito per tutti gli anni '90 portando il livello della pressione fiscale al (50%), ben al di sopra non solo del 30% di USA e Giappone, ma anche della già elevata pressione fiscale dei 15, pari a circa il 42%.

Tutto questo senza che, si siano ottenuti risultati particolarmente lusinghieri, rispetto a quanto fatto in altre economie, nell'abbattimento del rapporto debito/PIL.

Ma l'aspetto della economia italiana che più ha risentito e risente degli effetti di scelte dirigiste, corporative e sindacatocratiche, è quello dell'occupazione.

La situazione del mercato del lavoro italiano, periodicamante evidenziata in tutta la sua drammaticita' in molti studi, da ultimo quello del Fondo Monetario Internazionale, è descrivibile con poche significative cifre : la disoccupazione, il cui tasso complessivo è pari al 12%, affligge principalmente i giovani e le donne : il 33,2% dei giovani sotto i 25 anni e il 16,7% delle donne non hanno lavoro ; inoltre il 68% della disoccupazione è di lunga durata. Se poi consideriamo il mezzogiorno, queste percentuali, già drammatiche, raddoppiano : il tasso di disoccupazione complessivo raggiunge il 22% ; quello dei giovani sotto i 25 anni il 54,9% !

Un bel risultato, non c'è che dire, per quanti, sindacati e governo » di sinistra in testa, fanno della difesa dei piu' deboli la propria bandiera. La verità è che oggi, in Italia, se si ha la sorte di essere giovane, magari anche donna, per giunta meridionale, si ha una probabilità elevata di essere disoccupato, si puo' avere la quasi certezza di rimanerci per molto molto tempo (la disoccupazione di lungo periodo è un'altro record italiano: altrove se uno perde il lavoro può aspettarsi di trovarne un altro in tempi non biblici). La verità è che questi sindacati e questi governi attuano politiche volte a conservare garanzie a pochi privilegiati (stato, parastato, operai e » padroni della grande impresa ) e a mantenere fuori dal mercato i piu' deboli (giovani, donne, immigrati, piccoli e medi imprenditori). Lo dico in particolare a Sergio Cofferati, di cui sono evidenti le qualità politiche più ancora che sindacali, e al suo continuo ritornello antireferendario: siete contro i più deboli. Cofferati sa

che non è vero e sa che ai referendum gli italiani nella maggioranza gli volteranno le spalle e lui sarà costretto a prendere atto che la rappresentanza dei pensionati - in maggioranza nella CGIL - e di pochi milioni di lavoratori protetti del pubblico impiego e delle aziende principali non è la rappresentanza del "mondo del lavoro"; che sempre meno si riconosce nel sindacato ufficiale e sempre più chiede libertà economica e flessibilità.

Uno sguardo a quello che succede fuori dall'Italia (neanche troppo lontano) puo' essere illuminante : i paesi nei quali si è intrapresa una politica di riduzione delle tasse e di flessibilizzazione del mercato del lavoro, anche attraverso la rimozione dei vincoli di legge al licenziamento (e, dunque, all'assunzione) sostituiti con congrui indennizzi economici, grazie alla stipulazione di contratti part time e a tempo determinato, al buon funzionamento del collocamento privato, sono quelli nei quali si sono raggiunti i migliori risultati, sia in termini di crescita del PIL sia in termini di riduzione della disoccupazione. Regno Unito, Irlanda, Olanda, USA, hanno tassi di disoccupazione che vanno dal 6,8% al 3,3%. Mentre negli ultimi dieci anni in Italia il numero degli occupati diminuiva del 6%, negli USA cresceva del 12,5%, in Olanda del 18,2%, in Irlanda del 25,3%. Questi stessi paesi hanno raggiunto i migliori risultati anche per quanto riguarda l'ingresso nel mercato del lavoro delle categorie più deboli

, degli outsiders : la partecipazione giovanile e femminile al mercato del lavoro non si discosta sensibilmente da quella globale.

E' in questa direzione che vanno i referendum radicali sottoscritti, nelle scorse settimane, da oltre ottocentomila cittadini e cittadine italiani. Questi referendum sono il solo strumento che abbiamo per superare le logiche partitocratiche e corporative, per conquistare il diritto di lavorare e di scegliere i tempi e i modi in cui farlo, per conquistare il diritto ad essere imprenditori, per conquistare quelle libertà economiche che altro non sono se non l'ampliamento e il consolidamento di quelle libertà civili conquistate dai cittadini italiani, con i referendum proposti dai radicali, negli anni settanta.

Nè è ragionevole attendersi che dall'integrazione europea possa necessariamante derivare un effetto di trascinamento, per cosi dire, "virtuoso", verso quelle politiche liberali e liberiste che, anche in Europa, stanno assicurando crescita economica e benessere. Una sorta di nuovo benefico effetto Maastricht.

Non é ragionevole innanzitutto perchè la grave situazione dei milioni di disoccupati, della bomba a tempo pensionistica, della delocalizzazione di capitali e imprese, della assoluta incertezza del diritto che pesa sulle imprese che operano in Italia a causa del non funzionamento dell'amministrazione giudiziaria, richiedono una riforma radicale e immediata del sistema Italia, riforma che non puo' fare nessuno se non i cittadini italiani in prima persona.

Non è ragionevole, in secondo luogo, aspettarsi che l'"europeizzazione" dell'Italia ci aiuti a risolvere i nostri problemi per il semplice fatto che in tempi recenti abbiamo avuto, piuttosto, segnali preoccupanti di una sorta di "italianizzazione" della politica europea. Non aspettiamo che sui temi economici - con la sola eccezione, forse, di una accelerazione nella liberalizzazione dei mercati - l'Europa ci tolga le castagne dal fuoco!

La politica italiana, quella dei pastoni quotidiani al TG1 delle 20.00, è in grado di dare le risposte nei tempi - stretti - altrettanto necessari? A mio avviso no. Non la ha fatto fino ad oggi e non ho buoni motivi per sperare che lo faccia nei prossimi due anni di campagna elettorale. Non saranno sconfitti né i diktat e i niet sindacali nè le prudenze interessate di Confindustria.

Noi abbiamo scelto perciò la dei referendum, sul mercato del lavoro, in particolare, ma anche su previdenza, sanità, giustizia. Li conoscete.

Abbiamo fatto un grande sforzo in termini di risorse umane e finanziarie. Abbiamo messo in gioco il patrimonio accumulato in decenni di, lasciatemelo, dire, ottima amministrazione. Altre forze politiche hanno scelto il disimpegno, rispetto a questa campagna; il mondo dell'imprenditoria "ufficiale" non ha messo né una parola né un soldo. Siamo fin qui stati premiati dalla partecipazione straordinaria di centinaia di migliaia di cittadini italiani. Le firme sono assicurate.

A questo punto l'interrogativo è uno solo: ce la faremo ad arrivare alla fine, cioè al voto vittorioso; all'inizio di una vera rivoluzione liberale italiana? Avremo forza politica e finanziaria per affrontare e scongiurare la mannaia della Corte Costituzionale? Per una campagna elettorale in cui tutti i poteri "ufficiali" - a partire da quelli dell'informazione- spareranno contro?

I referendum liberisti hanno già, per il solo fatto di esserci, aperto qualche breccia nel muro conservatore. Noi daremo, come sempre, il massimo. Chiediamo a tutti, come sempre, di non tirarsi indietro, di partecipare, di darci una mano. E anche, come sempre, di riflettere sul fatto che l'investimento in questo specifico progetto politico potrebbe "valere la pena".

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