Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
mer 24 set. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maria Federica - 13 dicembre 1999
Presentazione del libro "Storia dei referendum" di Anna Chimenti
Note per l'intervento di Emma Bonino - Roma 13.12.99

1.Gli anni piú belli della nostra vita

La storia dei referendum, ovvero gli anni più belli della nostra vita, della vita di noi radicali. E non è una battuta. Perché la bella ricostruzione della storia del nostro paese scritta da Anna Chimenti coincide largamente con la storia del movimento radicale, rievoca la lunga marcia di Marco Pannella e di tutti coloro che gli sono al fianco negli ultimi venticinque anni. Grazie dunque, per cominciare.

Grazie di ricordare anche ai piú distratti - in questo momento in cui la "questione referendaria" é piú che mai al centro del dibattito politico nazionale - che siamo stati noi radicali a estrarre lo strumento del referendum dalla bacheca costituzionale e farne un'"arma politica", un grimaldello per aprire le porte chiuse del "palazzo", di un parlamento e di forze politiche incapaci (quasi geneticamente incapaci) di governare e legiferare in base ad un "programma di legislatura" proposto agli elettori preventivamente, prima del voto. Grazie di ricordare che a questo distacco fra "palazzo" e societá noi radicali cerchiamo di porre riparo suscitando, tramite i referendum, una partecipazione piena ed efficace alla vita politica dei cittadini, considerati come tali e non come sudditi; perseguendo la realizzazione della massima "conoscere per deliberare".

Questo libro evoca "gli anni più belli della mia vita", perché sono nata due mesi dopo l'entrata in vigore della Costituzione e, come me, anche l'istituto del referendum, guarda caso, ha dovuto aspettare 22 anni, quasi la "maggiore étà" dell'epoca, perché una legge attuativa (la 356/70) lo rendesse applicabile. Il mio primo voto, alle regionali del 1970 è coinciso con l'entrata in vigore di quella legge che trasformava finalmente (quante volte é successo?) un preciso dettato della Costituzione da norma ordinatoria a norma perentoria, cioé applicabile.

Il perché lo sappiamo tutti. Fanfani e la DC non ne volevano sapere della legge sul divorzio e fecero un patto con l'opposizione, dominata dal PCI: noi democristiani non ci opponiamo più all'iter della legge sul divorzio e voi, soprattutto voi comunisti di scuola togliattiana,(una tradizione cui il nostro attuale presidente del consiglio sembra affezionato) non vi opponete alla legge istitutiva del referendum; legge che avrebbe consentito ai Comitati Civici di raccogliere le firme per abrogare la legge.

Se qualcuno si stupisce sentendomi affermare che i comunisti erano contro il referendum, sia come istituto sia, incidentalmente, contro quello sul divorzio (perché temevano che distogliesse i lavoratori da problemi più seri rispetto a quelli, sovrastrutturali, dei diritti civili), se qualcuno si stupisce - dicevo - legga il passo in cui Anna Chimenti afferma che "Togliatti fini per diventare il capofila degli oppositori al referendum all'Assemblea Costituente"; e legga anche questa bella definizione del laborioso iter che porto' la Costituente all'approvazione del referendum abrogativo "il referendum, approvato per essere accantonato, era in realtà una bomba a orologeria, nascosta fra le pieghe della Costituzione, e pronta a far sussultare il sistema".

Ecco spiegato il filo rosso che collega la riluttanza di Togliatti alla diffidenza di D'Alema, che ancora nel 1999 definisce l'istituto del referendum uno stimolo per il parlamento ed il governo. Un farmaco contro la pigrizia delle istituzioni, da dosare con cura, ovviamente..

2. Una repubblica fondata sulla "sussidiarietá"

Non si capisce se la Chimenti sia in definitiva un'estimatrice o un'avversaria del referendum. Non gliene faccio certo una colpa. Lo dico perché mi piacerebbe davvero saperlo, visto che c'é un solo punto - ancorché fondamentale - della sua analisi, che mi trova in totale disaccordo.

La Chimenti, che ritiene il referendum uno strumento prezioso di democrazia, non batte ciglio di fronte al ruolo assolutamente arbitrario che la Corte costituzionale ha assunto spesso nel corso degli anni in materia referendaria. Non batte ciglio, perché giustifica l'autentica "manipolazione" che la Corte ha fatto dell'art.75 della Costituzione, ritenendo di dover sopperire a una presunta debolezza della legge attuativa e prevenire "abusi dell'istituto". Di che abusi stiamo parlando? E' chiaro, delle "raffiche referendarie" che a suo dire noi radicali pretendiamo di imporre all'Italia.

Leggo: "La Corte ha dovuto correre ai ripari (dopo aver giudicato l'ammissibilità del referendum sul divorzio correttamente limitandosi a constatare che non rientrava fra le materie sottratte a referendum ai sensi dell'art.75 della Costituzione) e nei dieci anni successivi al referendum sul divorzio dovrà intervenire in via di supplenza per garantire un sistema incalzato da continue istanze referendarie da un'ondata di consultazioni che rischia di farlo traballare".

Questa definizione mi sembra rivelatrice: lungi dall'avere in animo il compito specifico affidatogli, quello di esaminare la compatibilità giuridica dei quesiti col dettato costituzionale, la Corte ritiene suo dovere, oltre che suo diritto, di surrogare altri organi dello stato ( o le stesse forze politiche) appunto per fare da argine "politico" a un'ondata referendaria presumibimente legittima in massima parte sul piano giuridico. Ció che a me sembra sconcertante: tanto sconcertante quanto altre tradizioni "di sussidiarietá" della prima repubblica. Come la tradizione in base alla quale il Presidente della Repubblica si sostituisce al parlamento per decidere se un governo ha la maggioranza o no, e se si deve o meno sciogliere le camere; o come la tradizione in virtú della quale le segreterie dei partiti si sostituiscono al parlamento per decidere di questo o di quello. E via sostituendo.

Questa pandettistica costituzionale ha portato a gravi contraddizioni nonché all'incertezza - per non dire suspense - che circonda oggi l'atteso giudizio che la Corte costituzionale esprimerá a gennaio sui 23 quesiti referendarii pendenti. La costituzione esclude dal referendum solo le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di ratifica dei trattati internazionali. Vedremo ora se e quale "nuovo criterio" la Corte escogiterá, aggiungendolo a tutti gli altri partoriti dal 1978 in poi.

Io non credo che la Corte abbia ben agito assumendosi questo ruolo. E non lo credo perché non credo ci sia stato abuso di referendum. Il costituente ha inteso conferire agli italiani un "doppio voto" quello elettorale e quello referendario. Non ha detto che quest'ultimo dovesse essere necessariamente "eccezionale" "una volta tanto" eccetera.

Se il Parlamento non assolve (come é ormai ampiamente accertato) al suo compito principale che è quello di legiferare sulle grandi questioni all'ordine del giorno allora io dico che 5, 10, 20 referendum non sono troppi, ma paradossalmente troppo pochi.

Prendiamo la legge elettorale. Sull'esigenza di modificare "subito" quella attuale (lo sciagurato Mattarellum scaturito da una manipolazione del Parlamento del risultato - assolutamente chiaro - di un quesito referendario del 1993) fu impostata da tutti i partiti la campagna elettorale del 1996. Tanto che il parlamento attuale si affrettó a insediare una bicamerale ad hoc, autorevolmente presieduta. Risultato: a parte qualche crostata (? pp), zero. E sono passati tre anni e mezzo. Potrei continuare con gli esempi fino ad addormentarvi: illustrando uno per uno i nostri referendum per la libertà del lavoro e dell'impresa, nati dal fatto che siamo il fanalino di coda dell'Europa su quasi tutti i parametri; di ogni referendum sono pronta a sostenere la genesi e la bontá. Ma guai ad approvare e avviare una riforma: senno' uno dei dodici o tredici partiti-cespuglio della coalizione di governo strilla. Per non parlare dei sindacati.

3. I referendum fanno scivolare i governi ?

Interessante constatare come l'attuazione dell'istituto del referendum sia stato voluto essenzialmente dalla DC ma come proprio un referendum, quello elettorale, abbia contribuito in modo determinante alla fine della DC, scioltasi all'indomani del referendum del 1993. Altrettanto interessante é constatare come l'Italia sia andata ad elezioni anticipate quattro volte su cinque sotto la spinta dei referendum. E non é escluso che per lo stesso motivo ci vada anche l'anno prossimo.

Bene dunque fa la Chimenti a dire che "alcune fra le svolte politiche più importanti [noi radicali diciamo quasi tutte] sono passate per un referendum o addirittura per la paura di un referendum, che ha costretto in molti casi il parlamento a uscire dalla sua inerzia e i partiti a cambiare le proprie scelte programmatiche". Osserva ancora, giustamente, l'autrice che la strategia di Pannella - all'indomani della vittoria sul divorzio - era di compattare la sinistra per farla diventare forza autonoma di governo, ma che Berlinguer ed i suoi non ci stettero perché temevano di "spaccare il paese": e dettero vita alla stagione, mai conclusa o quasi, del compromesso storico.

E' vero: i referendum spaccano. Cosí come spacca l'America il duello fra Clinton e Bush; cosí come divide gli inglesi la sfida fra Blair e I conservatori. E via spaccando. Le democrazie piú solide sono vive e feconde proprio perché "si spaccano" su grandi scelte di società, portando dentro di sé gli anticorpi per metabolizzare gli effetti delle spaccature. Spaccare significa confrontarsi, scegliere, progredire. Solo da noi, il paese della controriforma senza una sola riforma, l'idea stessa di udello, di competizione appare negativa alla sinistra, ma non solo: basta guardare con quanta timidezza il Polo rimane alla finestra a vrdere che fine fanno i nostri referendum. Noi chiediamo le stesse cose che chiedono loro, le stesse riforme che loro hanno presentato in parlamento come proposte di legge. Mi chiedo se non l'hanno fatto sapendo che tanto le loro proposte resteranno nei cassetti, paventando piú che desiderando di sostenere queste riforme pubblicamente e fino infondo; paventando piú che desiderando il mo

mento dello scontro elettorale referendario.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail