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Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Centro Radicale - 21 gennaio 2000
La rivoluzione liberale di cui l'Italia ha bisogno

di Emma Bonino

Il frastagliato panorama politico italiano non é facile da interpretare, alle volte, per gli italiani. Figuriamoci per un osservatore straniero. Da qualche settimana, da quando il progetto di "rivoluzione liberale" contenuto nei referendum promossi dal Partito radicale ha innescato in tutto il paese un acceso dibattito politico e sociale, molti amici stranieri si dicono disorientati. Da dove viene a noi radicali italiani, noti soprattutto come difensori delle libertà civili, questa improvvisa "vocazione economica" di stampo liberista? Come conciliamo le passate battaglie "di sinistra" con questa offensiva contro alcuni totem del welfare state che certi definiscono "di destra"?

Al centro dell'azione politica radicale sta l'individuo con i suoi diritti e le sue responsabilità. Noi anteponiamo le ragioni del cittadino a quelle dello Stato, fino a proteggere il cittadino contro l'invadenza e il paternalismo dello Stato. Le nostre principali battaglie - per il diritto al divorzio, per la legalizzazione dell'aborto, per il diritto all'obiezione di coscienza, per la difesa dell'ambiente, contro la fame nel mondo, per legalizzare e regolamentare l'uso delle droghe - hanno sempre trovato sostenitori a destra come a sinistra.

Nel codice genetico di noi radicali, chi conosce un po' di storia italiana, ritrova il rigore morale della "Destra storica" e la spinta innovatrice della "sinistra liberale", allergica allo statalismo, ai monopoli, al protezionismo e alle rendite parassitarie.

Perché facciamo ricorso cosi' spesso allo strumento del referendum popolare ? Non, come sostiene qualcuno, perché preferiamo la democrazia "diretta" a quella parlamentare o perché ci piace abrogare le leggi senza prima riscriverle. Più semplicemente perché da oltre vent'anni la dinamica politica nonché il progresso economico e civile del nostro paese sono bloccati da un accordo di coesistenza pacifica fra le due grandi "chiese" italiane, quella ex-democristiana (oggi incarnata da Forza Italia e Silvio Berlusconi) e quella ex-comunista (oggi rappresentata dai Ds e Massimo D'Alema). Lo strumento del referendum, previsto dalla nostra carta costituzionale, si é rivelato l'unico capace - di volta in volta, su questioni specifiche - di rompere l'immobilismo della politica italiana.

Questo immobilismo, d'altra parte, fondato sulla conservazione e sulla difesa di interessi ed equilibri esistenti, costituisce l'"eccezione italiana", spiega l'enorme ritardo accumulato dall'Italia rispetto agli altri grandi paesi industrializzati su tutti i fronti: crescita economica, occupazione, investimenti, innovazione tecnologica, servizi sociali, infrastrutture, amministrazione della giustizia ed altro ancora.

Il Parlamento di un paese normale avrebbe già da tempo messo mano all'opera di modernizzazione. Non quello italiano, dominato dalla non-belligeranza fra destra e sinistra e paralizzato dall'inestricabile intreccio di interessi di cui sono portatori gli oltre 35 partiti che riescono a eleggere deputati grazie a una legge elettorale bastarda, maggioritaria e proporzionale insieme. Non una delle riforme giudicate da tutti indispensabili per avviare la modernizzazione é stata ancora avviata dal Parlamento.

Noi radicali abbiamo deciso di proporre direttamente agli italiani (senza più aspettare il parlamento e i partiti) l'insieme di queste riforme quando abbiamo capito che il tempo non era più un elemento marginale ma addirittura essenziale per avviare la "rivoluzione liberale" che ci sta a cuore. Ed é per questo che abbiamo raccolto, l'estate scorsa, 16 milioni di firme di cittadini in calce alle nostre proposte di referendum.

Con molti mesi di ritardo rispetto agli italiani, ora anche l'establishment - partiti, sindacati, industriali, media - ha dovuto prendere atto, con palese preoccupazione, del grande sommovimento innescato dall'azione politica radicale.

Non tutti i mali vengono per nuocere. Il ritardo con cui si é mosso l'establishment vanifica infatti ogni residua velleità di "disinnescare" i referendum. Tocca ancora una volta agli elettori sopperire all'impotenza del sistema italiano.

 
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