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Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maria Federica - 14 marzo 2000
CONSIGLIO NAZIONALE DELL'ARTIGIANATO - bollettino marzo 2000

Abbiamo rivolto a Emma Bonino, candidata alla Presidenza regionale per la Lista Bonino, alcune domande sui suoi programmi per il governo della nostra Regione, sulle politiche che intenderebbero (i Radicali) attivare per lo sviluppo dell'economia piemontese e sul ruolo e la funzione che assegnano all'artigianato e alle piccole imprese in Piemonte.

1. La Regione, un grande comune o una Regione-Stato capace di determinare nuove condizioni di sviluppo per l'economia e l'occupazione in un quadro di riorganizzazione federalista?

Oggi tutti dicono di volere regioni-Stato. Ma alla nostra ricetta, basata sul federalismo politico e istituzionale di stampo americano, si continua a contrapporre da destra la versione italiana di un federalismo micro-nazionalista, di stampo balcanico-libanese, e da sinistra un federalismo puramente burocratico: destra e sinistra, insomma, cercano di riproporre in Italia proprio ciò di cui l'Europa dovrebbe al più presto liberarsi. La definizione di regione-Stato ha un senso solo se il quadro istituzionale è quello presidenzialista e bipartitico all'americana. In una regione-Stato i cittadini devono avere gli strumenti per intervenire direttamente nel processo decisionale con lo strumento referendario. Se disponessimo già (come noi auspichiamo da tempo) del referendum 'obbligatorio' in materia finanziaria, per tutte le spese 'fuori controllo' e per i titoli del debito pubblico locale, la Regione Piemonte non avrebbe accumulato 3500 miliardi di debito sanitario. In altre parole: una regione-Stato che continua

sse ad avere 40 partiti e un sistema elettorale proporzionale non sarebbe solo un'illusione, sarebbe un imbroglio paralizzante.

2. Può in sintesi presentare gli elementi di scenario e di tendenza e le indicazioni delle linee strategiche del suo programma di governo?

Delegificare: in ogni processo decisionale quanto più numerose sono le leggi e le amministrazioni coinvolte, tanto più si accrescono costi, tempi e incertezze per gli operatori economici.

Privatizzare: dismettere le partecipazioni regionali, e vendere sul mercato gli enti strumentali di carattere economico; non v'è una sola partecipazione o proprietà regionale che risponda ad un effettivo 'interesse pubblico'. Un esempio: oggi la Regione, le

province piemontesi, il Comune di Torino e altri enti locali sono proprietari e insieme clienti del Csi (Consorzi sistemi informatici), impresa monopolista sul mercato delle forniture di beni e servizi hardware e software per tutta l'amministrazione pubblica, che impedisce la crescita delle piccole imprese di servizi nei settori trainanti della new economy. Oggi un'impresa internet-based, con un patrimonio netto inferiore a quello del CSI, se è privata, oggi va in Borsa e capitalizza centinaia di miliardi: il Csi è un burosauro senza programmatori e senza programmi, un intermediario fra i committenti pubblici e il mercato parapolitico dei fornitori privati.

Liberalizzare il mercato delle prestazioni sanitarie, e superare il regime delle 'convenzioni', assicurando al cittadino la possibilità di scegliere, a parità di condizioni, un erogatore pubblico o privato. Per avere un vero mercato delle prestazioni- sia pure interamente finanziato dal Servizio Sanitario Nazionale- è necessario separare la spesa per prestazioni (destinata ad aumentare) dalla spesa di gestione delle strutture pubbliche (che è fuori controllo, e può

essere ampiamente ridotta).

Risparmiare: guardando come nel bilancio regionale sono esplose le spese di mera gestione, penso sarebbe possibile ridurre le spese correnti dell'1% all'anno, per cinque anni, e destinare il risparmio ad investimenti e/o alla riduzione della fiscalità regionale (o per meglio dire al congelamento del margine di aumento delle aliquote Irap e Irpef, cui si ridurrà il tanto sbandierato federalismo fiscale). Questa 'manovra', che vale come minimo 100-150 miliardi all'anno e che in qualunque impresa sarebbe possibile a costo zero,

razionalizzando, è assolutamente impossibile nella 'regione dei partiti'.

L'unica distinzione fra questi 'poli' è fra

chi, a sinistra, aumenterebbe le tasse e chi, a destra, aumenterebbe il debito.

3. E' sicuramente sbagliato pensare che la modernizzazione della nostra regione possa essere lasciata esclusivamente alle pur indispensabili competenze degli attori locali; affrontare la "questione settentrionale" oggi si conferma decisivo: quali le misure necessarie da adottare?

Non esiste una 'questione settentrionale', ma una 'questione liberale', al Nord come al Sud, che continua ad essere elusa ma che presto o tardi (il problema, sempre di più è il tempo) scoppierà. Lo dimostrano anche i capovolgimenti dentro Confindustria, la 'rivolta' che unisce piccola e media impresa, senza riuscire ancora a divenire proposta di riforma. Le regioni, che potrebbero avere su questo fronte un ruolo decisivo, sono oggi rassegnate ad essere semplici articolazioni burocratiche dell'amministrazione pubblica. Hanno un margine di manovra in materia fiscale che incide per meno del 4% sul carico fiscale medio di un cittadino piemontese: sono di fatto commissariate da un punto di vista

politico e finanziario. Eppure, cinque Consigli regionali possono proporre secondo la Costituzione una piattaforma referendaria sui temi della liberalizzazione e liberazione civile del lavoro e dell'impresa, della

modernizzazione economica, della riorganizzazione del sistema paese e dei sistemi-regione. Cinque regioni, in tre mesi, potrebbero rivoluzionare le priorità dell'agenda politica. Noi potremmo farlo, gli altri- a destra come a sinistra- si limiterebbero a contrattare in sede interpartitica o interistituzionale (ad esempio, nella Conferenza stato Regioni) un sistema di aggiustamenti, adeguamenti, piccole transazioni politiche e d'interesse che non valgono a nulla.

4. Come intende potenziare, con opportune risorse e strumenti, la programmazione negoziata quale i progetti interregionali, i patti territoriali, i distretti industriali nei quali è fondamentale fare coalizione tra Regione, amministratori locali, forze sociali ed economiche?

Non credo che De Rita e gli altri architetti della programmazione negoziata e della negoziazione territoriale, intendessero riproporre sul piano economico istituti e schemi falliti sul piano sociale e

istituzionale. La negoziazione dovrebbe accrescere la competitività degli operatori economici e sociali, la loro capacità di innovare e interpretare i cambiamenti. La concertazione- la ricerca di un accordo, mediato dallo Stato o dagli enti territoriali, fra corpi sociali intermedi che non riflettono affatto l'interesse della generalità dei cittadini - è l'esatto contrario. Sul piano economico produce politiche assistenziali di puro finanziamento o sussidio delle perdite. Al Piemonte un posto di lavoro creato o mantenuto per un anno con i 'patti territoriali' è costato finora circa 77 milioni: in media assai più di quanto sia fruttato in termini di reddito al lavoratore e di gettito allo Stato. Sul piano sociale cristallizza posizioni di privilegio, sul piano politico diventa puro consociativismo. E al posto della new economy si fanno le rottamazioni. Il Piemonte negli ultimi 15 anni ha avuto un tasso medio di crescita annuo dell'1,2%, inferiore a quello delle altre regioni del Nord, e anziché produrre occup

azione ha distrutto in 10 anni 150.000 posti di lavoro. Al posto delle riforme della spesa pubblica e della pubblica amministrazione, si aumenta la spesa previdenziale, che divora il 67% della cosiddetta spesa sociale e il 15% del Pil, e

ciononostante ha prodotto un deficit di 290.000 miliardi in dieci anni. Al posto del presidenzialismo e del sistema bipartitico, si prepara il ritorno al proporzionale, con parlamenti e consigli regionali ostaggi di 40 partiti.

5. L'economia dei distretti, della produzione flessibile, della micro impresa organizzata, dell'artigianato e del lavoro autonomo come forma prevalente di creazione di imprese e di lavoro, possono contribuire a determinare lo sviluppo futuro del Piemonte. Come intende la Regione Piemonte, favorire tale processo?

I dati caratteristici della realtà piemontese mi sembrano una cronica mancanza di giovani (siamo con la Liguria la regione italiana con il più alto tasso di decremento della popolazione attiva) e una limitata

propensione all'impresa: vi sono ragioni storiche, ovviamente, alla base di tutto ciò, che risalgono ai modelli di sviluppo istituzionale dello Stato italiano e produttivo dell'industria manifatturiera. I piemontesi - i torinesi soprattutto - per almeno un secolo e mezzo sono stati dipendenti e fornitori o della grande impresa o della grande burocrazia pubblica. La scarsità di nuove leve é la cosa più inquietante e per questo penso si debba cercare con priorità di attirare capitale umano giovane e di qualità. Come? Con corsi universitari e post-universitari di respiro nazionale e internazionale, attirando imprese ad alta intensità di capitale umano, promuovendo business-park ed incentivando la formazione e l'imprenditorialità nei settori trainanti della new economy: servizi, terziario avanzato...

Le politiche di settore e di area sono sfociate in una politica di distribuzione "a pioggia" di sussidi troppo limitati per avere impatto sulle singole imprese. Un'alternativa ragionevole mi sembrerebbe quella di

potenziare le infrastrutture e incentivare il superamento della piccola dimensione aziendale (che frena lo sviluppo) promuovendo consorzi di ricerca e di espansione commerciale. Insomma, le regioni devono costruire le reti e basta. Non amministrarle, gestirle, finanziarle, in perdita. Dai distretti periferici, rispetto al centro torinese, viene un impulso importante, perché questi sembrano avere una maggiore disponibilità a muoversi sulla strada dell'innovazione e della flessibilità.

 
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