Speciale Pagina 8Di Franco Cattaneo
Fini, nell'intervista di questa serie al nostro
giornale, dopo la mancata intesa con il Polo vi
ha accusato di incoerenza sul piano del
bipolarismo, aggiungendo che ora per il
centrodestra sarà tutto più semplice. Lei cosa
risponde?
"Noi - risponde Emma Bonino, leader dei radicali
e candidata alla presidenza della Regione
Piemonte - siamo sempre stati bipartitici
anglosassoni. Certo, il bipartitismo in questo
Paese non esiste, anche se i cittadini con i
referendum del '92-'93 sono stati chiarissimi:
avevano optato per il maggioritario e il
bipartitismo. Poi i partiti rappresentati in
Parlamento hanno deciso che l'esito referendario
non andava bene e gli stessi hanno inventato il
Mattarellum (l'attuale sistema elettorale misto
che si vuole correggere in senso maggioritario
con uno dei quesiti referendari di maggio: n. d.
r). Dal punto di vista della legge elettorale
non siamo andati né a Londra né a Parigi. Ci
troviamo viceversa, con tutto il rispetto per il
Libano, nel Paese dei Cedri o in piena Romania.
Non siamo né nel maggioritario bipartitico né
nel bipolarismo ordinato alla francese. Siamo al
pasticcio di 44 partiti e partitini virtuali che
si creano per partenogenesi dei gruppi
parlamentari: un bel giorno un paio di
parlamentari saluta e si fa un altro gruppo.
Detto questo, a Fini rispondo dicendo che, per
noi, quella elettorale è la riforma delle
riforme: o si risolve questo problema, o si
torna al proporzionale. Noi, dinanzi a ripetute
e patenti illegalità, non ci arrendiamo".
L'iniziativa referendaria a favore del
maggioritario ha però accelerato la
controffensiva dei proporzionalisti.
"Tutti ora si rendono conto che le conseguenze
del Mattarellum sono un disastro e quindi, dopo
aver sprecato sette anni, corrono ai ripari. Io
resto convinta che serva una svolta - come dire?
- radicale. In un Paese bastano due partiti: chi
vince ha l'obbligo di governare, senza ribaltoni
e pasticci vari, e chi perde si prepara per la
volta successiva, esercitando nel frattempo
funzioni di controllo. Questo ci hanno insegnato
le grandi democrazie".
Ci aiuti a capire: la mancata intesa con
Berlusconi vi ha lasciato l'amaro in bocca, o
siete comunque soddisfatti così?
"Credo davvero che il dialogo con l'elettorato
di orientamento liberale debba rimanere aperto,
quindi mi è dispiaciuto molto del cambiamento di
posizione di Forza Italia".
Lei conferma che la rottura è avvenuta sulla
indisponibilità di Berlusconi a sottoscrivere la
scelta maggioritaria (sostenuta da Fini ma
osteggiata da Bossi) e quindi a schierarsi a
favore del vostro referendum elettorale?
"I nodi sono i referendum. Del resto, Forza
Italia ancora oggi non ha detto cosa farà il 21
maggio, il giorno del voto referendario, sui
quesiti che abbiamo posto. Tutto questo mi
dispiace, perché osservo una deriva che non mi
pare esattamente moderata, piuttosto orientata
verso posizioni sempre meno chiare. E legittimo
- per carità - cambiare opinione, purché lo si
dica. Ma non è legittimo contestare a chi non ha
cambiato opinione di ricorrere a un pretesto".
Al Nord abbiamo sempre avuto il tripolarismo: il
terzo polo era rappresentato dalla Lega, oggi da
voi.
"La nostra ambizione non è affatto quella di
costituire un terzo polo. Voglio essere chiara
su questo aspetto: noi intendiamo rappresentare
una forza che costringa uno degli altri due
schieramenti ad assumersi responsabilità
liberali in politica economica, anche in termini
di diritti civili. Il nostro obiettivo è dunque
quello di coagulare quelle forze che hanno già
compiuto una rivoluzione sociale e della quale
la classe politica non vuole prendere atto.
Perché il punto è proprio questo: una
rivoluzione sociale è già stata compiuta, nel
modo di produrre, di lavorare, di inventarsi
nuove attività. Vogliamo essere una forza che
riesca a condizionare con un'impronta liberale
il centrodestra o il centrosinistra".
Parliamo degli altri referendum, quelli
cosiddetti sociali: in realtà vi si accusa di
proporre quesiti antisociali. Per cui la domanda
diventa questa: ce l'avete con il sindacato in
quanto tale, o con "questo" sindacato?
"Noi ce l'abbiamo con "questo" sindacato rimasto
fermo agli Anni Settanta, che difende le regole
fatte allora per un sistema produttivo che era
quello degli Anni Sessanta e che pretende di
applicare le stesse regole nel Duemila anche per
difendere se stesso e il suo potere
politico-burocratico. Viceversa, il problema che
tutti noi sentiamo è quello di ampliare le
possibilità di assunzione, di aprire porte e
finestre alla nuova economia. Nuova economia -
lo voglio sottolineare - non vuol dire affatto,
come qualcuno paventa, che le attività
produttive attuali debbano chiudere. Non è così,
perché le nuove tecnologie possono dare
potenzialità ai settori sani della nostra
economia".
In sostanza, lei è dell'idea di Tremonti, di
Forza Italia, per il quale Internet è il
"manifesto" della destra libertaria?
"Sì, proprio così. Bisogna pensare che, nel
campo delle nuove tecnologie, l'Europa è già in
ritardo e l'Italia, nel quadro continentale, lo
è ancora di più. Nel nostro Paese solo l'otto
per cento dei cittadini è collegato ad
Internet".
Il Nord, e soprattutto il Nordest, è
protagonista dell'attuale rivoluzione
capitalistica: in questo tipo di sviluppo quale
spazio c'è per i diritti dei lavoratori, per le
regole, per il sistema della solidarietà?
"La più grande forma di solidarietà è il lavoro
e non le false pensioni di invalidità,
l'assistenzialismo, la carità pelosa. Quindi
bisogna ampliare le possibilità di lavoro in una
società che muta. La solidarietà non è l'assegno
assistenziale a casa, ma - per esempio - è più
formazione".
Ci troviamo in una situazione contraddittoria:
l'occupazione cresce, però la crescita avviene
in gran parte nelle aree forti del Paese e
quindi si aggrava il divario fra Nord e Sud.
"Sì, questo è vero. Però noi ci siamo inventati
i lavori socialmente utili, che sono
assistenzialismo, e pertanto continuiamo ad
avere delle palle al piede mentre il resto del
mondo corre. Noi andiamo piano, a traino della
congiuntura internazionale, gli altri vanno al
galoppo. Le dicevo di Internet e, su questo
tema, ricordo che solo il 14% delle imprese
italiane utilizza il web per parlare con i
propri fornitori, là dove la media europea è del
25%. E una questione di priorità, di scelte
politiche".
Immaginiamo che voi stiate dalla parte del
presidente designato di Confindustria, D'Amato,
e che condividiate la lettura che è stata data
di questa vicenda, cioé dell' imprenditoria
"nuova" che ha battuto il vecchio capitalismo
delle grandi famiglie e dei poteri forti.
"Mi auguro che tutto non sia un'illusione. Mi
auguro cioé che D'Amato resista e che i poteri
forti non tentino subito di condizionarlo.
Quanto è avvenuto in Confindustria lo interpreto
come la riscossa della piccola e media impresa,
e spero anche della piccolissima, che è quella
che produce più ricchezza in Italia".
Onorevole, parliamo adesso di Europa, una
situazione che lei ha vissuto da Commissario:
perché voi fate parte del Gruppo tecnico con la
Lega, mentre sarebbe stato più facile vedervi
con i liberali con i quali siete più affini?
"Non è esattamente il nostro punto di vista: i
liberali sono tali in economia, ma non sono
federalisti. I nordici, poi, sono marcatamente
anti-europei. Il nostro progetto è quello di
riuscire in questa legislatura a formare un vero
gruppo federalista, di un'Europa delle regioni".
Tutte le famiglie politiche italiane hanno
riferimenti analoghi a livello europeo: voi
invece, da questo punto di vista, sembrate
vivere in solitudine.
"Noi da sempre siamo legati al federalismo di
Altiero Spinelli, mentre ci riesce difficile
essere inglobati nelle grandi "scuderie
politiche" che sono afflitte dalla burocrazia.
L'attuale regolamento dell'europarlamento
consente solo un ridotto margine di manovra: o
ci si adegua alla disciplina di gruppo, oppure
l'iniziativa politica è quasi zero".
Lei, da Commissario europeo, si è distinta per
la difesa dei diritti umani, ma sulla vicenda
dello xenofobo austriaco Haider, il cui partito
è al governo con i popolari a Vienna, lei non è
parsa in sintonia con la condanna da parte
dell'Europa, giunta sia dalla sinistra sia dal
centrodestra. In sostanza: lei, Haider, non lo
avverte come un pericolo contagioso e ritiene
che l'Europa abbia sbagliato o che si sia
comportata nella maniera giusta?
"Io ritengo innanzitutto che sono stati violati
gli articoli 6 e 7 del Trattato di Amsterdam nel
senso che, certo, l'Europa poteva esprimere
preoccupazioni, ma ci sono regole che
l'istituzione comunitaria si è data e che vanno
rispettate. Una cosa è dire vigileremo, un'altra
è sospendere le relazioni bilaterali. A me non
risulta che finora l'Austria abbia violato le
norme del Trattato e ora tutto questo rischia di
diventare un boomerang. Io sono preoccupata per
il nazionalismo delle "piccole patrie", ma credo
anche che quando l'Europa istituzionale sbaglia
finisce per creare dei martiri, delle vittime.
Non è che ogni mattina uno si alza e inventa
delle regole comunitarie a seconda di come gli
fa più comodo".
Ma non si era detto e ridetto che il deficit
europeo è politico e dunque la presa di
posizione dei leader del Vecchio Continente era
un modo positivo per colmare questo vuoto?
"Ripeto: il Trattato di Amsterdam, che regge
l'Europa, è stato sottoscritto soltanto un anno
fa e in quella circostanza gli Stati membri non
hanno voluto dare competenze politiche
all'Unione".
L'ultima domanda, onorevole, ancora sui diritti
umani: lei ritiene che l'Europa sia stata più
saggia a trattenere il dittatore cileno Pinochet
in Inghilterra, o a rispedirlo a casa?
"Io credo che l'Europa sarebbe stata francamente
molto più saggia se avesse ratificato il
Tribunale contro i crimini di guerra: due anni
fa a Roma centoventi Paesi hanno sottoscritto lo
Statuto, dopodiché hanno girato pagina e
nessuno, salvo quattro Paesi, lo ha ratificato.
Quindi Pinochet è stato rilasciato per motivi
umanitari e non di diritto dicendo al Cile,
grosso modo, di sbrigarsela da solo. Noi non
governiamo i fenomeni: semplicemente rincorriamo
la storia".