di Emma Bonino(Pag. 24)
Italia 2000. Il cardinal Ruini lancia anatemi contro il parlamento Europeo "nemico della famiglia", don Oreste Benzi va a pregare davanti agli ospedali "abortisti" e don Luigi Gelmini usa toni da crociata contro il "pericolo islamico". Il Senato di questa Italia ha dedicato martedi' un dibattito alle tecniche di fecondazione assistita, una delle quali, la pratica detta dell'"utero in affitto", é fugacemente finita sulle prime pagine per via di un recente fatto di cronaca. Ma la campagna elettorale incombe e cosi' senatori di maggioranza e opposizione, decisi a non pestarsi i piedi su "questioni minori", sembrano orientati a rimettere nel cassetto un disegno di legge cosi' illiberale da meritare invece, e subito, la massima attenzione. Solo cosi' infatti gli elettori di destra e di sinistra scoprirebbero che esiste in parlamento una maggioranza trasversale (il "Polo allargato" più il Ppi) decisa a proibire nel nostro paese ciò che é consentito negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi europei.
Conseguenza di una simile decisione: lo sviluppo (come ai tempi dell'aborto proibito) di un mercato parallelo e clandestino della fecondazione assistita e dell'inevitabile "turismo procreativo" riservato ai più abbienti e meglio informati.
L'impatto con situazioni nuove, determinate dal progresso scientifico, sembra spingere il nostro ceto politico non già a riflessioni improntate a tolleranza e apertura bensi' a rifugiarsi nei pregiudizi e nei dogmi. Ma si può davvero, nel campo della bioetica e delle biotecnologie, riproporre la confusione di matrice confessionale fra peccati e reati? La mia bussola radicale e liberale mi dice che non c'é reato da sanzionare se non c'é vittima. Ora, più rifletto sul recente caso di maternità surrogata e più stento a capire chi, in una simile vicenda, sia da considerarsi la vittima. Meno che mai il nascituro, nuovo essere umano cosi' fortemente desiderato da avere la ragionevole certezza di essere molto amato. L'unico rischio che potrebbe correre, ma contro cui lo Stato già lo protegge con le leggi esistenti, é che i suoi legami formali di parentela non siano regolati da norme certe.
In questi giorni in cui la destra cattolica vorrebbe rimettere in discussione la legalizzazione del divorzio e dell'aborto ("ma non parlatene in campagna elettorale!" suggerisce ai suoi Berlusconi) gli umori e le reazioni cui assistiamo in materia di procreazione assistita fanno temere un arretramento su tutto il fronte delle libertà civili e individuali. Fanno temere per uno dei principi che hanno ispirato la riforma del diritto di famiglia: il ridimensionamento del dato biologico come unico riferimento di un nucleo famigliare in cui i legami affettivi devono poter contare tanto quanto i legami di sangue.
A chi, come noi, si é sempre battuto per il diritto della persona all'autodeterminazione - a disporre liberamente del proprio corpo - non può che ripugnare l'idea di un paternalismo di Stato tanto invadente da decidere quando e perché una donna debba poter accedere alle nuove tecniche di riproduzione assistita. Né appare più convincente l'idea che chiunque dica "io non lo farei" abbia ipso facto il diritto di proclamare "tu non lo devi fare".