La differenza della sua candidatura rispetto a quelle di Ghigo e Turco
Noi guardiamo alla scadenza del 16 aprile come a un'occasione per irripetibile per la trasformazione delle 15 regioni a statuto ordinario in regioni-Stato, in strutture portanti del federalismo liberale di scuola americana, che rimane il nostro traguardo strategico. Noi cerchiamo di contrapporre al "federalismo amministrativo" che piace ai nostri governanti, il "federalismo politico".
Ci siamo illusi che anche i due Poli, cogliendo l'eccezionalità della scadenza del 16 aprile, ponessero al centro della campagna elettorale la questione istituzionale, che avrebbero offerto anch'essi agli italiani un modello di riferimento per le future istituzioni regionali. Ma fino a oggi, solo la nostra proposta è già sul tappeto. Noi vogliamo che i nuovi statuti regionali rafforzino la scelta presidenzialista e prevedano anche per i consigli elezioni uninominali, maggioritarie a turno unico.
Le due/tre proposte principali per il Piemonte
Noi vogliamo delegificare, vogliamo cioè ridurre il numero delle leggi regionali e limitare l'attività legislativa regionale ai soli casi in cui sia veramente indispensabile, perché crediamo che esista una correlazione diretta fra il numero delle leggi prodotte e il numero di problemi che derivano per i cittadini dall'applicazione di queste leggi. Oggi le leggi regionali sono 1690: più di quante ne servano, più di quante é possibile farne rispettare. Questa regione produce Leggi e non Governo. E' come un'impresa che decidesse di produrre, anziché servizi, circolari interne.
Noi vogliamo gestire in modo sano il bilancio regionale, crediamo sia possibile addirittura risparmiare attraverso manovre serie e responsabili. A fronte di recenti bilanci regionali che hanno fatto esplodere le spese di mera gestione, mi sembra invece possibile ridurre le spese correnti dell'1% l'anno, e questo per tutti i cinque anni del mandato, e destinare questo risparmio agli investimenti, alla riduzione della fiscalità regionale (o per meglio dire al congelamento del margine d'aumento delle aliquote IRAP e IRPEF, unici strumenti del tanto sbandierato federalismo fiscale). Secondo i nostri calcoli si tratterebbe di circa 100-150 preziosissimi miliardi l'anno. Non è un obiettivo utopistico, ma un'operazione semplice, che qualsiasi impresa potrebbe fare e saprebbe fare, un'operazione a costo zero, razionalizzando l'organizzazione interna: ma questa operazione nella 'regione dei partiti' è assolutamente impossibile. L'unica distinzione fra questi 'poli' è fra chi, a sinistra, aumenterebbe le tasse e chi,
a destra, aumenterebbe il debito. E proprio a questo proposito, occorre dire parole chiare sul tanto sbandierato federalismo fiscale: Oggi le Regioni hanno un margine di manovra (e tutto, naturalmente, in aumento) in materia fiscale che incide per meno del 4% sul carico fiscale medio di un cittadino piemontese. Del resto la riforma del federalismo fiscale di cui si parla non comporta un ampliamento ma una ridistribuzione 'dall'alto' di quote del gettito tributario derivante dai redditi prodotti nel territorio di ciascuna regione. Davvero possiamo chiamare federalista una legge che si limita a ridurre i trasferimenti, e a compensarli con la compartecipazione regionale al 25% del gettito annuale dell'I.V.A., con l'aumento dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF, e l'aumento della compartecipazione regionale all'accisa sulla benzina? Come si può chiamare federalista un sistema che proibisce qualunque riduzione della pressione fiscale sul piano locale, e che stabilisce sul piano nazionale le aliquote
delle imposte regionali?
Sanità regionale
Sulla sanità, entrambi i Poli in pratica sembrano rinunciare ad esercitare quel margine ampio di competenze che la legislazione nazionale affida alle Regioni; entrambi vogliono impedire la piena liberalizzazione dei servizi sanitari (pure nel quadro dei finanziamenti assicurati dal SSN), e la competizione fra erogatori pubblici e privati. La differenza fra il mio e il loro programma è che io, quando parlo della sanità, parlo delle prestazioni sanitarie e non delle strutture sanitarie pubbliche; per me, come per tutte le persone ragionevoli, è del tutto indifferente che i fornitori di prestazioni sanitarie- a parità di costo, per i cittadini- siano pubblici o privati. In Piemonte, invece, il 'partito unico' della sanità continua a muoversi come 'sindacato' della 'sanità pubblica'. La chiave della riforma è la competizione fra strutture, possibile solo abolendo il regime degli accreditamenti e rendendo automaticamente fornitori del servizio sanitario nazionale le strutture private autorizzate che sono scelte d
ai cittadini in alternativa a quelle pubbliche. Inoltre solo un incentivo alla competitività potrebbe salvare le strutture pubbliche efficienti ed impedire che l'aumento costante della spesa sanitaria vada a finanziare non un'estensione delle possibilità di cura e della qualità delle prestazioni, ma le inefficienze e i deficit gestionali delle Asl pubbliche.
4. Ruolo degli immigrati in particolare a Torino
Anche i termini del fenomeno immigrazione cambiano in fretta mentre si continua a parlarne in astratto, ciascuno coltivando le sue ossessioni e le sue illusioni: Berlusconi e Bossi, che propongono di affidare alle forze armate e alle forze di polizia la gestione di un fenomeno epocale, una delle mutazioni innescate dalla mondializzazione; i buonisti cattolici e laici convinti che basta fare appello ai valori della solidarietà e dell'uguaglianza per rendere governabile un processo socio-economico le cui conseguenze vanno affrontate dal legislatore, assistito dai migliori economisti, sociologi, giuristi.
La verità e' che anche il fenomeno dell'immigrazione, se analizzato laicamente, spinge verso misure di liberalizzazione, a cominciare dal mercato del lavoro. La verità e' che i paesi dell'Europa ancora statalista, come il nostro, con un mercato del lavoro ingessato come il nostro, invece di porsi il problema teorico e pratico dell'integrazione, offrono agli immigrati extracomunitari due opzioni, diversamente mortificanti: o essere assistiti o essere espulsi.
E la criminalità? Certo, c'è anche la criminalità extracomunitaria, da aggiungere a quella nazionale, che gode di ottima salute. Ma anche su questo punto bisogna sforzarsi di essere laici e razionali. Le statistiche giudiziarie ci dicono che la criminalità extracomunitaria è figlia in primo luogo della clandestinità. Ci dicono anche (cito l'ultimo rapporto Istat, quello 1998) che l'86,5% degli stranieri denunciati e/o indagati era in posizione irregolare. Ci dicono che la percentuale di procedimenti contro stranieri costituisce l'11,4% del totale: dal che si deduce che l'incidenza degli immigrati regolari sul tasso di criminalità (intorno all'1,5%) rimane inferiore alla loro incidenza demografica (che è del 2%).
In una città come Torino, con una forte presenza di immigrati, é fondamentale tenere distinti due fenomeni - immigrazione e sicurezza - che qualcuno tende a unificare. Un conto é razionalizzare i flussi migratori e imparare a governare una società multietnica, un altro conto é reprimere fenomeni di pura illegalità, cioé i tentativi condotti da delinquenze organizzate di ogni bandiera di approfittare dell'inefficienza del nostro Stato e della nostra giustizia per "conquistare", regione dopo regione, il territorio italiano.
Le privatizzazioni
Sulle privatizzazioni, è la stessa storia. La situazione è da anni 70. La Regione è proprietaria o comproprietaria di società di software, di sperimentazione tecnologica e di studi ambientali, di aeroporti (Biella e Caselle), di enti di gestione di parchi, di mercati, e di istituti di ricerca. Un programma intelligente- che è insieme un programma di 'bilancio', di promozione e liberalizzazione economica in settori che dovrebbero naturalmente essere affidati all'iniziativa privata- dovrebbe articolarsi attraverso due punti chiari: la completa dismissione delle società con finalità economiche e la rifocalizzazione della funzione e degli obiettivi per perseguire l'interesse pubblico dei pochissimi enti che ha ancora senso mantenere sotto il controllo regionale.
Su questo punto, centrodestra e centrosinistra parlano la stessa lingua: vogliono entrambi consolidare le partecipazioni di controllo e di comando, e proprio nei settori strategici: infrastrutture, terziario, servizi di innovazione.