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Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maria Federica - 17 maggio 2000
8 MAGGIO 2000 - CORRIERE DELLA SERA
"Emma e l'umiltà di mendicare al portone del potere"

di Francesco Merlo

Se a prima vista è bizzarro, in realtà è significativo che governo e opposizione e persino il Capo dello Stato replichino a Emma Bonino e a Mario Segni che ci vuole tempo, che la ripulitura delle liste elettorali dai morti, per essere in profondità, andrebbe fatta con calma, che "la norma numero 400 del 1988 stabilisce che ", e bisogna lasciare ai morti il tempo di morire definitivamente, e poi al massimo i morti inciderebbero sul quorum per appena lo 0,4 per cento", mentre Giuliano Amato aggiunge che "un decreto di ripulitura oltre che affrettato potrebbe essere anticostituzionale". La logica formale è impeccabilmente al servizio di una cointelligenza della politica italiana con i morti. L'assurdo di farli votare è ben difeso della legge, dalla cultura, da funzionari comunali. E viene esercitato verso i morti un garantismo che ai vivi è negato. Da sempre, infatti, i defunti sono un grande problema e una risorsa della Italia politica, una chiave della nostra arretratezza. la Bonino sa bene che l'abitudine

di far votare i morti è un'arte sopraffina nella quale l'Italia si era specializzata. Sull'importanza elettorale e sulla forza politica dei defunti sono state edificate le fortune delle correnti democristiane, ed è persino ovvio che, come negli ospedali ci sono le sale di rianimazione, nei Comuni ancora ci siano, attivissimi e persino in buona fede, funzionari specializzati nella vita eterna, nello sfruttamento delle anime morte. E importa poco l'esiguità delle percentuali dei fantasmi con diritto di voto, se in Italia, in un modo o in un altro, quasi tutti i morti sono vivi, anzi più sono morti e più sono vivi, da Luigi Sturzo sino a Fausto Coppi, da Lucio Battisti sino a Bettino Craxi.

Perciò, contro lo sciacallaggio sui morti, forse valeva la pena che Emma Bonino tornasse all'umiltà del marciapiede, al bivacco della piazza radicale. Ed è un peccato che nessun professorone accademico abbia ancora scritto la Storia d'Italia attraverso le sue piazze, quelle della civiltà comunale e quelle "museo" del rinascimento, le piazze teatro del barocco, le piazze padane degli affari, dove si contrattano partite di buoi e sensalie, le piazze meridionali della dissipazione e quelle dei caporali e dei braccianti di giornata, le piazze stralunate di De Chirico, piazzale Loreto e le piazze del bivacco turistico, quelle tragiche del terrorismo e quelle liturgiche dei funerali di Almirante e di Berlinguer Ecco chi crede che la piazza italiana non esista più, nascosta dalle auto in sosta, deturpata dalla droga, sconciata dai rifiuti, defedata dalle cacche di cani, intronata dalla retorica dei comizi e dei concerti, faccia, in queste sere di primavera, una breve passeggiate al centro di Roma, fino al portone

di Palazzo Chigi. E' lì che la signora Emma Bonino passa le sue notti, rannicchiata in una cesta di vimini, è lì che di giorno riceve fiori e creme idratanti, panini al prosciutto e maschere antirughe, "mi raccomando signora, le usi e non si stanchi", è lì che esibisce la sua fragile tenacia, è lì, nel solito , intramontabile bivacco radicale.

E' questa l'ultima piazza d'Italia, la piazza della conversazione, dell'incontro pesantemente leggero, il solo luogo dove la politica forse si semplifica un po' troppo ma certamente perde il tanfo di alchimia, le cautele del farmacista, l'atmosfera da complotto di loggia: "Io non ho altro da mettere in gioco se non me stessa, la mia persona fisica. Mendico il diritto di far votare solo i vivi e non anche i morti e gli scomparsi".

Eppure, meno di un anno fa la Bonino era ancora la Signora d'Europa, corteggiata e lodata dai governi e dai giornali di tutto il mondo, la dama volante della politica internazionale, una farfalla che poteva diventare residente della Repubblica. Oggi invece dorme davanti al portone del potere come una mendicante, e ha pure dilapidato un cospicuo gruzzolo elettorale. Ma è chiaro che la sua identità è tutta lì, nella capacità di dilapidare, piantare radici e scappare appena l'albero cresce, farsi scacciare dai propri adulatori, farsi mettere alla porta dai propri maggiordomi. Ci vuole coraggio per essere fedeli a se stessi e finire ogni avventura nel posto dove la si è iniziata: sul marciapiede.

 
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