Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
mer 30 apr. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maria Federica - 10 luglio 2000
10 luglio 2000 - Università di Alcalà (Madrid)

Permettetemi di cominciare anticipando la risposta che mi accingo a dare al quesito che questa prima sessione solleva: io sono perfettamente convinta che existen valores y principios que fundamentan y justifican una intervencion directa en el territorio de un pais soberano cuando este ultimo aplica decisiones contrarias a normas y convenios reconocidos por la comunidad internacional. Tutti sappiamo che non esistono ancora né una "giurisdizione universale" né una autorità planetaria in grado di garantirne il funzionamento, ma sono convinta che entrambe queste utopie sono diventate "perseguibili" da quando esiste l'Organizzazione delle Nazioni Unite; utopie perseguibili sul piano politico - in tempi che nessuno é in grado di prevedere - ma che possono essere costruite fin da oggi, sul piano etico e giuridico, da parte di tutti coloro che si battono per ottenere il pieno rispetto della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Che si chiama universale proprio perché affe

rma e tutela diritti riguardanti l'umanità intera, perché considera ogni violazione di tali diritti (anche la pena capitale inflitta a una singola persona) come un'offesa arrecata all'intero genere umano.

La globalizzazione dei diritti corre più in fretta della globalizzazione degli strumenti con cui applicarli ? Non c'é dubbio. Ma é proprio per questo che bisogna difendere I diritti con crescente determinazione.

Consentitemi ancora una osservazione di metodo, che cerchero' di articolare nel mio intervento. A me pare che questo dibattito sul cosiddetto "diritto di intervento a scopo umanitario" sia reso più difficile (e sia distorto, in qualche misura) dal presupposto che gli interventi di cui si discute siano esclusivamente interventi a carattere militare. Dimenticando che, specialmente oggi - in tempi di mondializzazione, di villaggio globale realizzato - é possibile scavalcare in molti modi le frontiere nazionali e la cosiddetta sovranità degli Stati, senza fare ricorso alle armi: con gli strumenti dell'economia, della giustizia, della comunicazione. Anche - e qui parlo in virtù della mia esperienza da commissaria europea - con lo strumento dell'intervento umanitario puro e semplice, dunque disarmato.

L'ingerenza economica

Poiché non mi sembra questa la sede per una disamina sull'interdipendenza economica fra le varie regioni del mondo in tempi di globalizzazione, mi limitero' a qualche osservazione. Sulla tendenza assai diffusa, nel nord del mondo, ad applicare la logica della mondializzazione, cioé della caduta di ogni barriera, "secondo convenienza": invocandola come il bene supremo, unica fonte di sviluppo, quando si parla di merci, beni e mercati; respingendola o sospendendola quando si parla di uomini (vedi il dibattito sui flussi migratori) o quando si parla di principi e valori (vedi le ipocrisie correnti sul relativismo culturale o sulla democrazia come un lusso che non tutti I popoli possono permettersi).

Io credo invece che proprio I popoli che hanno la doppia fortuna di vivere nel benessere e in democrazia abbiano non solo il dovere morale, ma anche l'interesse a promuovere il pieno rispetto dei diritti umani anche nei paesi meno fortunati. Perché sono convinta, come il Nobel indiano per l'Economia Amartya Sen, che la libertà (condizione umana in cui si trova solo chi gode di tutti I diritti fondamentali) sia non già un elemento accessorio ma costitutivo dello sviluppo economico e sociale.

L'ingerenza umanitaria

Mi é capitato, da responsabile dell'azione umanitaria dell'Unione Europea, di sentirmi chiedere in che misura si possano conciliare l'azione umanitaria e la difesa dei diritti dell'uomo. E ogni volta ho risposto che l'azione umanitaria é in sé un modo per difendere, in situazioni d'emergenza, alcuni diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita e quello alla dignità della persona. Perché non c'é catastrofe umanitaria che non sia accompagnata - se non provocata - da violazioni massicce e deliberate dei diritti umani, diventate la regola nelle guerre dei nostri tempi.

La separazione artificiosa fra difesa dei diritti umani (spesso definita "politica di difesa dei diritti umani") e azione umanitaria (che si vuole per definizione "apolitica") deriva a sua volta da un pernicioso e collaudato espediente con cui la diplomazia ufficiale scarica sulle braccia delle organizzazioni umanitarie la gestione dei conflitti di cui essa non vuole o non sa occuparsi: salvo a biasimare gli umanitari, a posteriori, per non aver saputo cancellare quelle sofferenze umane che sono solo il sintomo più visibile di un contenzioso (ideologico, etnico, religioso etc.) che tocca alla politica e alla diplomazia affrontare e risolvere.

Ne traggo la conclusione che l'intervento umanitario si riduce spesso a una difesa dei diritti violati tardiva e limitata, incapace - da sola - di ristabilire la pienezza di tali diritti.

E mi chiedo (poiché assisto da anni a un dibattito tanto vivace quanto sterile sulla prevenzione dei conflitti): quanti conflitti si potrebbero prevenire o almeno circoscrivere attraverso una politica di difesa dei diritti umani puntuale, coerente e coraggiosa? Ecco una possibile forma di "ingerenza umanitaria preventiva", per contenere i conflitti e proteggerne le possibili vittime: un sistema internazionale di rapid alert riguardante violazioni gravi dei diritti umani. Sento già qualche voce levarsi per accusarmi di volere politicizzare l'azione umanitaria. Rispondo che il mio obiettivo é semmai quello di "umanizzare le relazioni internazionali", di invocare la nascita di una "diplomazia etica".

L'ingerenza mediatica

E poiché parliamo di "allerta rapida", é inutile nascondersi che nel mondo di oggi non c'é strumento più efficace della comunicazione di massa per risvegliare le coscienze e le cancellerie. Al punto che nessuna crisi, nessun dramma - per quanto grave - esiste veramente fino a quando non entra nei notiziari della CNN, della BBC e cosi' via. Anche questa é una forma, secondo me utilissima, di ingerenza. E' l'ingerenza benefica del testimone che, assistendo a un crimine, ne custodice la memoria e ne diffonde la conoscenza. Questo genere di ingerenza viene di solito esercitato dai media in collaborazione con gli operatori umanitari. Nei teatri di crisi, la ricerca della verità attuata dai media non sarebbe spesso possibile senza la collaborazione e la guida degli operatori umanitari, testimoni oculari dislocati sul terreno; e - viceversa - la testimonianza degli umanitari, indispensabile alla comunità internazionale per distinguere fra aggressore e aggredito, fra vittima e boia, rimarrebbe sepolta negli archivi

delle organizzazioni di volontariato se non si trasformasse in informazione circolante.

C'é chi definisce "incestuosa" questa cooperazione fra I media e le organizzazioni umanitarie. Io credo, al contrario, che solo con la "testimonianza attiva" di giornalisti e volontari si riesce - in situazioni di crisi complesse come quelle di questi ultimi anni - a raggiungere quel livello di mobilitazione dell'opinione pubblica senza il quale la politica e la diplomazia tendono a "dimenticare" anche i conflitti più drammatici.

C'é anche chi parla di "pornografia del dolore", quando gli schermi televisivi ci mostrano delle immagini raccapriccianti, insostenibili, degli orrori che la guerra produce quando prende a bersaglio le popolazioni civili. Ma io mi chiedo: dove sta il vero scandalo? Nelle immagini insopportabili di quella realtà o non piuttosto in quella realtà e nel fatto che noi (come ci ricordano le immagini) non facciamo abbastanza per impedirla?

La controprova di quel che dico viene dalla palese allergia che gli odierni signori della guerra - piccoli e grandi, balcanici o africani - manifestano non soltanto nei confronti del diritto internazionale, del diritto umanitario nonché dei diritti umani, ma anche nei confronti di ogni sorta di testimone. Le guerre di oggi, sistematicamente scandite da crimini contro l'umanità, sono guerre "a porte chiuse", la cui strategia prevede l'espulsione preventiva di operatori umanitari e giornalisti. E non é un caso che entrambe queste categorie paghino puntualmente un tributo in vite umane per guadagnarsi il diritto di rimanere sul terreno.

L'ingerenza giudiziaria

A queste che sono ingerenze di fatto, si é aggiunta nell'ultimo decennio una forma sempre più accettata di "ingerenza di diritto", sfociata nel 1998 a Roma nella conferenza diplomatica nel corso della quale 120 Stati membri delle Nazioni Unite hanno approvato lo Statuto di una erigenda Corte Penale Internazionale Permanente, abilitata a giudicare i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra e il genocidio. Perché venisse sancito e formalizzato su scala planetaria questo diritto d'ingerenza giudiziaria, c'é voluto il crollo del Muro di Berlino, la proliferazione di conflitti locali sempre più atroci e la nascita - sulla falsariga dei tribunali creati a Norimberga e Tokyo dopo la seconda guerra mondiale - di due tribunali ad hoc per decisione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: nel 1993 quello istituito all'Aja per giudicare I crimini commessi nella ex-Jugoslavia; nel 1994 quello creato ad Arusha per giudicare I crimini commessi in Rwanda.

Nel caso del tribunale per la ex-Jugoslavia, per la prima volta non sono i vincitori a giudicare i vinti, ma é la comunità degli Stati che impone ai "vincitori" di rendere conto del loro operato nel momento stesso in cui depongono le armi. Né la pace né la vittoria garantiscono più l'impunità.

Il nuovo Tribunale penale permanente non sarà operativo fino a quando il Trattato di Roma non sarà ratificato da almeno 60 parlamenti dei 120 paesi firmatari: e in due anni non si sono ancora raggiunte 20 ratifiche. E non é questa la sola nuvola sull'orizzonte del futuro tribunale. (possibile digressione)

Ad ogni buon conto, la principale novità che questo Tribunale prima o poi introdurrà é la sua funzione di deterrente nei confronti di chiunque - capo di Stato in carica o semplice capobanda - pianifichi o metta in pratica crimini contro l'umanità. L'esistenza infatti di una giustizia senza frontiere, in funzione parmanente toglie al criminale di guerra la speranza dell'impunità nel momento stesso in cui egli commette il delitto.

Basta pensare per un momento al numero di "casi" che una simile corte - se già esistesse - avrebbe potuto istruire in questi ultimi anni ai quattro angoli del mondo: da Timor alla Sierra Leone, dalla Cecenia alla Colombia, da Sri Lanka al Congo. Per non citare che le tragedie più note.

L'ingerenza militare

E veniamo infine al "diritto di ingerenza" nella sua accezione militare: in altre parole al diritto di usare la forza come estremo rimedio (quando tutte le altre forme di ingerenza sono fallite) per impedire o interrompere il compiersi di un crimine contro l'umanità. Sul piano etico non credo ci siano dubbi sulla necessità, per l'intero genere umano, che sia fissato e rispettato il confine fra la barbarie e la coesistenza civile. A cominciare da quelle aree del mondo, come l'Europa, che indicano come propri valori fondanti la pace, il pieno rispetto dei diritti fondamentali, la coabitazione fra diversi. E' ben per questo che ho personalmente invocato fin dai primi anni Novanta l'uso della forza contro Milosevic e il suo regime, che hanno riprodotto nel cuore dell'Europa gli orrori dei massacri, delle persecuzioni etniche, degli stupri di massa.

Per questo, quando la Nato ha deciso di intervenire contro la ex-Jugoslavia (per impedire la realizzazione dei piani di Milosevic in Kossovo) ho ritenuto giusto che qualcuno agisse per assistere un popolo in pericolo e ho ritenuto che la Nato esercitasse il diritto (che é anche un dovere) di "ingerenza umanitaria". E ho salutato come positivo - pensando a quel Tribunale penale permanente di cui abbiamo appena parlato - il fatto che per la prima volta nella storia una serie di crimini contro l'umanità venisse interrotta in corso d'opera e I suoi reponsabili incriminati "in flagrante".

Certo, non ho difficoltà ad ammettere che le Nazioni Unite avrebbero avuto più titolo per intervenire a protezione del Kossovo: ma sono abbastanza realista da rendermi conto che, finché I meccanismi di intervento previsti dalla Carta dell'Onu resteranno quasi paralizzati da un sistema che attribuisce il diritto di veto ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, nessuno avrà il diritto di biasimare un'iniziativa come quella presa dalla Nato per il Kossovo, decisa da governi legittimi e responsabili a favore di un "popolo in pericolo".

Per queste stesse ragioni ho invocato a lungo l'intervento - tardivo, purtroppo - dell'Onu a Timor Est. Per queste stesse ragioni ho stigmatizzato il silenzio imbarazzato con cui le istituzioni europee e i singoli governi hanno assistito alle fasi più drammatiche della guerra in Cecenia: che cosa chiedevo? Non certo il bombardamento di Mosca e San Pietroburgo, ma semplicemente che si esigesse dalla Russia quel che esigiamo da tutti I nostri partner, cioé il rispetto delle convenzioni internazionali e in particolare di due principi sacrosanti:

la proporzionalità fra la minaccia subita (gli attacchi terroristici) e la risposta scatenata (civili massacrati e Grozny rasa al suolo);

nonché il mantenimento ininterrotto dell'accesso umanitario alle vittime civili del conflitto.

L'Unione europea ha preferito tacere per non mettere in imbarazzo un partner del calibro - politico ed economico - che ha la Russia. Rafforzando cosi', presso I dirigenti russi, la convinzione che la diplomazia occidentale considera la difesa dei diritti umani come un optional, una questione da agitare "solo nelle circostanze opportune".

Perdonatemi, a questo riguardo, una breve testimonianza personale, quale militante di una organizzazione non governativa (il Partito Radicale Transnazionale) cui le Nazioni Unite hanno concesso lo status di osservatore presso la Commissione dei diritti umani. Ebbene, noi abbiamo ritenuto nostro dovere civile, nel maggio scorso, offrire qualche minuto del nostro tempo di parola a un rappresentante eletto del parlamento ceceno, perché potesse rivolgersi alla comunità delle Nazioni Unite. Sapete come ha reagito il governo di Mosca? Esigendo la nostra cacciata dalle Nazioni Unite: il ritiro (o almeno sospensione) dello status di osservatore al Partito Radicale Transnazionale. La questione (bisognerebbe dire "il processo") sarà discussa il prossimo 27 luglio a Ginevra. Per questo vi chiedo di esprimerci la vostra solidarietà firmando l'appello che ho portato con me oggi a Madrid.

Che bisogna fare per contrastare il ritorno alla barbarie cui assistiamo? Una cosa da fare, sul piano internazionale, certamente c'é: una revisione della nozione-tabù della cosiddetta sovranità nazionale, per fare posto invece alle nozioni di sovranità del diritto e di sovranità dei diritti dell'individuo. Sono in buona compagnia, se é vero che il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, nel gennaio scorso, indicando il "muro" della sovranità nazionale come l'ostacolo principale che impedisce alla sua organizzazione di difendere efficacemente sia il proprio prestigio sia i diritti violati, ha auspicato un superamento di questo tabù dicendo (cito):"Una evoluzione nel nostro modo di intendere lasovranità degli Stati e degli individui sarà accolta da alcuni con diffidenza, con scetticismo, forse con ostilità eppure tale evoluzione resta un barlume di speranza alla fine del Xxmo secolo". (fine citazione)

Alla voce di Kofi Annan si aggiunge quella di un uomo - un protagonista del secolo - cui é difficile dare lezioni di etica, Giovanni Paolo II. Il quale ha detto (cito) :"I crimini contro l'umanità non possono in alcun caso essere considerati come affari interni di una nazione Quando I civili soccombono sotto i colpi dell'aggressore e gli sforzi della politica non arrivano a nulla, diventa legittimo e perfino necessario impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l'aggressore." (fine citazione)

PAGE 10

PAGE 1

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail