E' di grande attualità, in questi mesi, un dibattito sul futuro dell'Unione europea incentrato - soprattutto - sul confronto fra i "federalisti" e coloro che i francesi chiamano souverainistes: fra coloro che ritengono auspicabile e/o indispensabile una sostanziale cessione di sovranità da parte degli Stati-membri nei confronti dell'Unione (specie alla vigilia dell'allargamento) e coloro i quali -- convinti che gli Stati-membri debbano conservare l'insieme delle loro prerogative attuali - combattono più o meno apertamente ogni ipotesi di "federalizzazione" ulteriore della nostra comunità.
Io sono una federalista convinta, tanto che il nome completo della lista radicale presentata alle elezioni europee del giugno 1999 era "Lista Emma Bonino per gli Stati Uniti d'Europa" . E mi sono preparata a questo nostro incontro provando a riflettere su una domanda che continuo a pormi senza trovare un risposta univoca, soddisfacente. La domanda essendo: ma i "nazionalismi regionali" (scusate l'ossimoro, ma non trovo una definizione più efficace: intendo ovviamente quei movimenti nazionalisti che hanno rimesso o rimettono in discussione gli assetti statuali presenti), costituiscono una spinta o un freno rispetto al federalismo su scala europea? Il processo di integrazione continentale trarrebbe nuovo impulso se nelle istituzioni comunitarie venisse dato più spazio alle realtà regionali?
Chi provasse a tracciare una mappa ideale dell'Unione in cui non comparissero più i 15 Stati bensi' il mosaico delle realtà regionali cosi' come esse oggi sono (con tutte le differenze che esistono fra un Land tedesco, che é un vero e proprio Stato, e una regione francese, che é poco più di una espressione geografico-amministrativa) scoprirebbe disarmonie e scompensi abbastanza sorprendenti.
Faccio due esempi che voi ed io conosciamo bene, la Catalogna e la regione italiana della Lombardia, due pezzi d'Europa cui per ragioni diverse le attuali istituzioni "vanno strette".
Comincio dalla Lombardia, cioé da una regione che - contando 9 milioni di abitanti, un PIL di 175 miliardi di dollari e una autonomia amministrativa che il nuovo assetto delle istituzioni regionali italiane ha reso vastissima - pesa oggettivamente più di svariati Stati-membri dell'Unione. Non hanno forse, realtà regionali come quella della Lombardia, il diritto di rivendicare una rappresentanza più forte in seno alla nostra comunità?
Veniamo alla Catalogna, cioé a una realtà europea che é stata determinante nel condizionare l'evoluzione istituzionale spagnola e costituisce oggi - in termini di specificità politica e culturale - una componente irrinunciabile della famiglia europea. Realtà peculiari, assimilabili alla cultura e ai partiti politici che si sono sviluppati qui in Catalogna, non dovrebberorivendicare uno status diverso e più "alto" in seno alla nostra comunità?
Ho volutamente fatto riferimento a due casi più lampanti di altri. Ma non dimentico altri esempi e non soltanto spagnoli e italiani: penso alla Scozia, ad alcuni Laender tedeschi, al Belgio dei Fiamminghi e dei Valloni. Penso cioé a tutta una serie di comunità di cittadini europei che possono effettivamente sentirsi insoddisfatti degli strumenti oggi a loro disposizione per inter-agire con le istituzioni comunitarie. E che manifestano puntualmente, alle volte giustamente, irritazione e/o frustrazione di fronte a decisioni "di Bruxelles" (si tratti della Commissione o del Consiglio, si tratti di pesca, di agricoltura, di banche, di aeroporti o altro ancora) concepite senza tenere sufficiente conto dello loro specificità.
Fin qui le ragioni che mi spingerebbero ad auspicare una riforma delle istituzioni comunitarie che desse più voce e più potere alle regioni. Verso l'apertura, insomma, di un cantiere istituzionale nel quale concepire nuovi spazi e nuovi meccanismi atti a valorizzare risorse - politiche, economiche e culturali - che l'attuale impianto comunitario rischia talvolta di mortificare.
Altre considerazioni, tuttavia, inducono alla prudenza. La prima mi é ispirata dalla banale constatazione che gli esperti di ingegneria istituzionale chiamati a soddisfare le esigenze di nuovi soggetti, attualmente "federati" all'interno degli Stati-membri, si troverebbero di fronte a un numero non definito di "nuovi soggetti". Pur immaginando infatti criteri oggettivi di eleggibilità (cio' che consentirebbe di definire il numero delle regioni-Stato), nulla impedirebbe domani l'accesso delle regioni escluse oggi all'eleggibilità, e quindi la proliferazione di tali nuovi soggetti istituzionali. Faccio due esempi concreti. In Italia, il nuovo assetto istituzionale appena dato alle regioni apre scenari non del tutto prevedibili: difficile dire quante regioni-Stato italiane rivendicherebbero oggi (e quante potrebbero rivendicare domani) un loro status europeo. Ancora più difficile la questione si presenta in Francia, dotata com'é del più centralista fra i nostri Stati: ma che potrebbe, sotto la spinta del caso
Corsica, imboccare - sia pure timidamente - la strada del decentramento e delle autonomie.
E non ho nemmeno provato a pensare a quali e quante realtà regionali contengano i numerosi paesi-candidati che le varie fasi dell'allargamento aggiungeranno alla nostra famiglia.
L'accenno alla Corsica mi consente di introdurre una riflessione non più ingegneristica ma politica, e di grande delicatezza.
Chiunque guardi alla storia d'Europa degli ultimi decenni si accorge che non tutti i movimenti autonomisti e/o nazionalisti entrati in conflitto con gli Stati esistenti - anche movimenti legittimati da rivendicazioni sacrosante e da un forte consenso popolare - non tutti, dicevo - hanno dato vita come qui in Catalogna a delle success stories. Da una parte c'é la vostra epopea catalana, questo pacifico miracolo (che non ha peraltro finito di dare i suoi frutti, a mio giudizio) di cui potete essere giustamente ed ugualmente fieri voi catalani e i dirigenti spagnoli, e che costituisce una fonte di ispirazione per tutta l'Europa, che ha facilitato - dentro e fuori della Spagna - la costruzione di ampie e funzionali autonomie; dall'altra stanno lunghe e tragiche storie di altrettanto legittime rivendicazioni (penso al Paese Basco, all'Ulster, alla Corsica) che hanno invece imboccato la via della violenza e dell'incomprensione.
Ebbene, di fronte alle palesi difficoltà che incontrano - nel soluzionare questi conflitti - leader di grande esperienza e di collaudata fede democratica come quelli che hanno governato e governano la Spagna, il Regno Unito, la Francia, credo che l'Unione debba parlare ed agire con la massima prudenza. Evitando soprattutto di innescare dinamiche che possano in alcun modo complicare le crisi che già esistono.
Per quanto mi riguarda, libera come sono da responsabilità istituzionali, vorrei fare al riguardo qualche breve osservazione. Il contrasto stridente fra il "miracolo catalano" e le tragedie che ancora insanguinano lembi infelici di questa nostra opulenta Europa ci ricorda l'assoluta supremazia della politica nella gestione delle crisi complesse. Non basta che una causa sia giusta per essere vinta. Non basta distinguere fra il nazionalismo "sempre buono" del più debole e il nazionalismo "sempre cattivo" del più forte. Sono gli errori politici che possono rendere inesigibile anche la più sacrosanta delle rivendicazioni. Cosi' come sono le intuizioni politiche che possono sbloccare i conflitti più spinosi. Dopodiché tocca ai tecnici trasformare l'occasione in un successo.
Per ritornare al nostro tema e concludere. Io sono convinta che l'Europa comunitaria debba prima o poi misurarsi con chi riesce - come voi - a costruire realtà politiche, economiche e culturali nuove, a se stanti. Ma credo anche che questo "cantiere istituzionale" potrebbe essere meglio gestito in un contesto comunitario nel quale il mito/tabù dello Stato nazionale sia stato deicsamente ridimensionato. E' quanto mi auguro che avvenga al più presto, fin dall'ormai prossimo vertice di Nizza, se si sarà riusciti a iniettare dosi ragionevoli di federalismo nelle istituzioni dell'Unione europea. Se cosi' fosse, realizzare un assetto istituzionale che dia più spazio alle realtà oggi regionali apparirà non soltanto più facile, ma necessario.
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