Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 26 apr. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Emma Bonino
Partito Radicale Maria Federica - 8 settembre 2000
RIUNIONE COMITATO DI COORDINAMENTO DEI RADICALI
Roma, Ergife, 8 settembre 2000

Intervento di Emma Bonino

(Preambolo a braccio su clonazione a Strasburgo)

Ci sono oggi in Italia forze politiche che vogliono rimettere in discussione la laicità dello Stato: ci sono, ma non perseguono questo obiettivo con chiarezza, alla luce del sole, sfidando le conquiste civili (divorzio, aborto) determinate dall'elettorato. No [vi ricordate le istruzioni di Berlusconi ai suoi? Non azzardatevi a parlare di divorzio e aborto in campagna elettorale! ] No: la rimessa in discussione della laicità dello Stato avviene favorendo - da destra - e supinamente accettando - da sinistra - una autentica deriva, una sbandata clericale, proibizionista, segnata da toni oscurantisti ed episodi di intolleranza.

Noi abbiamo visto i segni premonitori di questa sbandata, e ce ne siamo preoccupati, agli inizi di quest'anno, quando era ancora aperto il dialogo fra noi radicali e Berlusconi e i più retrivi fra i vassalli del Polo - i Casini, i Buttiglione e qualcun altro - spaventati da un possibile ritorno dell'alleanza alla sua ispirazione liberale - si misero di traverso, dichiarando ai quattro venti che un'intesa con i radicali metteva ipso facto in pericolo quei valori cristiani di cui il Polo é portatore e di cui alcuni partitini satelliti di Forza Italia si ergono a guardiani.

Più tardi, fatto l'accordo fra Polo e Lega, nella trincea clericale sono venuti a schierarsi Bossi e le sue Camicie verdi che da mesi, con toni sempre più truculenti, agitano come un manganello la croce (non ancora celtica): contro i laici di tutti i tipi, con un astio particolare e inquietante per i massoni; contro i miscredenti di tutti i tipi, a cominciare dai musulmani; contro i diversi di tutti i tipi, a cominciare dagli omosessuali.

La sbandata clericaleggiante ha assunto periodicamente toni da vera e propria crociata, con appelli alla guerra santa contro una presunta "invasione islamica" che minaccerebbe il nostro paese: ieri era don Gelmini, un prete da combattimento, a chiamare a raccolta i buoni cristiani contro l'avanzata dei "Mori"; ma oggi é don Gianni Baget Bozzo, un prete che dovrebbe essere un raffinato intellettuale, a definire la Lega una muraglia naturale contro l'avanzata dell'Islam nel Nord Italia. Forse Baget Bozzo, non contento del suo ruolo di consigliere di Berlusconi e di Forza Italia, ambisce anche al ruolo di cappellano militare delle Camicie Verdi.

Su queste massicce dosi di intolleranza e xenofobia somministrate all'opinione pubblica nella delicatissima fase storica in cui l'Italia si misura con una crescita della sua popolazione immigrata, rapida quanto inevitabile, torneremo più avanti parlando di immigrazione.

Su un altro terreno il nuovo clericalismo, il proibizionismo, il "paternalismo di Stato", hanno cercato lo scontro con i laici - in termini meno grossolani, certo, ma altrettanto perentori. Pretendendo sempre di darci lezioni di etica.

Ricordate le dispute esplose attorno al caso di cronaca volgarmente detto dell'"utero in affitto"? Ricordate quando Rosy Bindi, ministro della Sanità in carica, pensò di mettere fine alle incertezze e alle paure destate dalle nuove tecniche di fecondità assistita chiedendo allo Stato (che nella nostra vita privata dovrebbe non entrare affatto o entrare in punta di piedi) di fare il necessario per annullare la sentenza di una giudice che pure aveva investito tutta se stessa nella ricerca della soluzione più equa ad una questione assai complessa?

Dissi allora e ripeto adesso, in questi giorni di battaglia sulla clonazione, che quando le cronache - e la scienza - ci mettono di fronte a situazioni insolite e impreviste bisogna lasciare spazio a riflessioni dettate dalla tolleranza e dall'apertura al nuovo piuttosto che rifugiarsi in dogmi e pregiudizi.

Dissi allora e ripeto oggi che la "maternità surrogata" (cioé il diritto a essere madre senza gravidanza) legittimata dal Tribunale di Roma é una pratica prevista a titolo gratuito nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove migliaia di bambini hanno avuto in questo modo diritto ad una vita del tutto normale. Capisco le difficoltà per la morale cattolica codificata ad accettare fattispecie nuove come questa (o come quelle legate alla clonazione terapeutica) ma mi chiedo: é soluzione moralmente più accettabile quella di stimolare - tramite il proibizionismo - un "turismo sanitario" che, come ai tempi dell'aborto clandestino, ci faccia commettere i peccati all'estero?

Lo stesso approccio, se mi é consentito per un breve momento l'integralismo cattolico a quello ambientalista, viene spontaneo di fronte alla miscela di paternalismo e proibizionismo con cui vengono spesso accolte le innovazioni nel campo delle biotecnologie.

Le potenzialità rivoluzionarie della genetica - potenzialità straordinarie anche sul fronte della tutela ambientale - vanno governate in un quadro di regole, poche e certe. Garantire i cittadini-consumatori é doveroso, ma demonizzare gli organismi geneticamente modificati (tanto più se si perseguono anche secondi fini protezionistici, come avviene nell'agroalimentare) impedisce un dibattito aperto su questi temi e penalizza la ricerca europea, già fortemente in ritardo rispetto a quella americana.

Io mi guardo bene dal celebrare come positiva qualsiasi scoperta scientifica. Ma altrettanto bene mi guardo dal nutrire nei confronti della scienza (come ai tempi di Galileo) una istintiva sfiducia, quella ossessione - per intenderci - a porre sotto tutela gli scienziati della vita che contraddistingue tanti moralisti.

Un'altra pagina assai scoraggiante, premonitrice del disorientamento - per non dire del complesso di inferiorità - di cui soffrono molti laici italiani é quella che riguarda il minuetto politico eseguito attorno al Gay Pride. Confesso che non ho avuto in quei giorni il coraggio di intervenire. Non certo per pusillanimità, ma piuttosto per lo sconcerto: stentavo infatti a credere, e stento ancora oggi, che bisognasse aspettare il 2000 per interrogarsi sul diritto degli omosessuali a essere considerati cittadini come tutti gli altri o sul diritto di Roma ad essere considerata, anche durante l'anno giubilare, la capitale di uno Stato laico.

Altrettanto incredula ho assistito all'alluvione di inchiostro e di opinioni - e soprattutto di autoflagellazioni laiche - suscitata dal grande raduno giovanile di Tor Vergata. Perché mai un grande raduno di credenti dovrebbe provocare l'invida di un laico? L'unica spiegazione - razionale ma un po' miseranda - é che scene come quelle di Tor Vergata tolgono il sonno a chi guarda alle folle calamitate dal pontificato di Giovanni Paolo II non già come a folle di credenti ma come a folle di elettori.

Nessuno quanto noi radicali lavora nel concreto sulla linea dei valori di riferimento della Chiesa contemporanea. Le nostre battaglie all'ONU, per una moratoria della pena di morte e per la creazione di una "giustizia senza frontiere" che giudichi i crimini contro l'umanità, sono battaglie fortemente sostenute anche da Papa Wojtila. E lo stesso accadeva quando ci battevamo, quasi vent'anni fa, contro lo sterminio per fame. E colgo l'occasione per ricordare ai neo-clericali che fu proprio al termine di una delle nostre marce di Pasqua - da Porta Pia a san Pietro - dedicate a questa campagna, che Marco Pannella ed io fummo ricevuti dal Papa, a dispetto del fatto che eravamo allora, come oggi, quegli stessi radicali che chiedono l'abrogazione del Concordato.

Ai nuovi clericali, di destra e di sinistra, alla ricerca del consenso elettorale dei cattolici, voglio ricordare che siamo una forza politica laica che ha ampiamente dimostrato di poter collaborare col mondo dei credenti sulle cose e sui valori senza perdere né l'identità né la bussola.

Sulle questioni che ci dividono, così come al tempo del divorzio, noi ci ostiniamo a chiedere al mondo cattolico e alla chiesa l'apertura - comunque e sempre - di grandi dibattiti pubblici, che coinvolgano le coscienze nella ricerca di verità e di giustizia, contro ogni ipocrisia.

Noi siamo la prova vivente che si può essere laici e fare politica da laici senza sentire, nei confronti dei credenti, complessi di sorta: né di superiorità né tanto meno di inferiorità, come invece é accaduto nel corso di questa estate, durante lo sconcertante dibattito innescato da Giuliano Amato su una presunta superiorità dei valori cristiani rispetto a quelli laici.

Amato ritiene che la vecchia Dc e il vecchio Pci furono "grandi scuole di etica". Mi permetto di dissentire. E credo invece che per un laico l'unica palestra di etica nella quale agire - e parlo di etica politica in particolare - siano le istituzioni.

Lo so. Il credente ha la grande risorsa della fede, con i suoi parametri e le sue certezze. Ma queste risorse rischiano di essere inutili quando si cerca non già la via individuale verso il paradiso ma soluzioni praticabili e funzionali per la vita associata su questa terra, nel quadro di leggi di uno Stato di diritto: che da una parte é tenuto a salvaguardare i diritti di tutti, anche della più minuscola delle minoranze; e dall'altro agisce immerso nella globalità dei rapporti internazionali, che richiedono anch'essi la massima osservanza dei diritti del cittadino e della persona. Forse che la "Dichiarazione universale dei diritti umani" approvata dalle Nazioni Unite mezzo secolo fa non é già una eccellente "carta dei valori", condivisibile da parte dell'intero consorzio umano, senza distinzione alcuna?

Nella determinazione dei valori della convivenza civile la laicità (che é cosa diversa dal laicismo, anch'esso una forma pericolosa di fondamentalismo) é molto più utile della fede, perché a differenza della fede - che può sempre spingere a condannare l'altro e il diverso - la laicità ha il dovere di salvaguardare le ragioni di tutti e ciascuno. Non é questione di determinare la superiorità o l'inferiorità di questo o quel principio, né di "rimettersi in discussione" oggi o domani. Per quel che mi ha insegnato la mia esperienza politica essere laico significa mettersi sempre in discussione, senza peraltro che questo significhi sentirsi deboli o sfiduciati, o disarmati di fronte all'uomo di fede e alle sue certezze.

E per finire su questo dibattito estivo. L'affermazione che una società di individui abbia bisogno di un tessuto connettivo a me sembra pretestuosa. Una società di individui realizzati, liberi, é ricca di un forte tessuto connettivo etico, di diritto. Altrimenti é una società incompiuta. Contrapporre l'individuo, il soggetto, alla società - caricando su questo tutte le nequizie e attribuendo a quella tutti i valori - é frutto del peggiore e più reazionario dei sociologismi. L'odio per l'individuo é il comune denominatore di tutti fondamentalismi, ideologici e religiosi.

La cultura occidentale ha fra le sue doti quella di avere promosso la liberazione dell'individuo: liberazione non già dalla fede, dalla religiosità, dall'amore, dalla responsabilità verso gli altri ma - al contrario - da tutto ciò che impedisce l'esplicazione di questi valori.

Seconda parte

Essere laici é un grande vantaggio (se non una necessità) anche per affrontare al riparo dalle utopie la più vistosa delle mutazioni in atto nella società italiana - la crescita della popolazione immigrata: al riparo dall'utopia buonista dell'accoglienza incondizionata e al riparo dall'utopia proibizionista, che nei segmenti più preoccupati dell'opinione pubblica coltiva demagogicamente l'illusione che si possa dire basta all'immigrazione (o basta alla globalizzazione, o basta alla criminalità, o basta alla droga, e via illudendo).

Noi radicali non vediamo la società multietnica/multiculturale/multireligiosa né come un paradiso da conquistare né come un inferno da evitare. Laicamente vediamo questa mutazione scritta nel nostro futuro di provincia d'Europa, obbligata a rinunciare a una "anomalia" che ha mantenuto la percentuale della popolazione straniera residente in Italia ferma più o meno al due per cento del totale, mentre la media dei 15 Stati membri dell'Unione é vicina al 5 per cento (più del doppio), con punte del 9 per cento in Germania, Belgio, Austria.

Assisteremo a un flusso ininterrotto e prolungato di immigrati verso tutti i paesi prosperi d'Europa e del mondo intero.

E' questo il futuro cui l'Italia deve prepararsi, con leggi chiare e gli strumenti per applicarle, un futuro reso prevedibile dal fatto che così vogliono la globalizzazione nel suo insieme e lo sviluppo dei singoli paesi più avanzati;

anche perché l'immigrazione é una delle soluzioni più immediate ed efficaci per chi voglia lottare contro la povertà individualmente, senza aspettare la provvidenza divina o quella del Fondo Monetario Internazionale.

E' questo il futuro cui dovrebbero preparare l'Italia e gli italiani quei leader e quei partiti politici che si dichiarano impazienti di governarci ma che assistono indulgenti a quei rigurgiti di intolleranza e xenofobia che possono spostare percentuali non irrilevanti di voti.

E' questo il futuro cui dovrebbero preparare l'Europa quei leader e quei partiti politici che tessono le lodi della mondializzazione ma pretenderebbero una globalizzazione a compartimenti-stagno, invocando cioé totale libertà di circolazione per i beni e i servizi dei paesi sviluppati ma pretendendo allo stesso tempo di non smantellare, nei confronti dei paesi in via di sviluppo, né le barriere protezionistiche contro le loro merci né le barriere anti-immigrazione contro i loro cittadini.

Per fortuna c'é un africano laico alla guida delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che nel luglio scorso ha dimostrato di saper sintetizzare le esigenze contrapposte del Nord e del Sud del mondo lanciando una iniziativa - Global Compact si chiama - che indica nove principi capaci di garantire le esigenze del libero mercato, della protezione ambientale e del rispetto di standard accettabili per i lavoratori. Elaborati sotto l'egida dell'ONU nel corso di lunghissime trattative cui hanno partecipato imprese (nazionali e multinazionali), organizzazioni dei lavoratori e gruppi ambientalisti, i principi in questione si ispirano a tre documenti "storici" delle Nazioni Unite: la Dichiarazione universale sui diritti umani e le dichiarazioni rispettivamente elaborate al vertice di Rio sull'ambiente del 1992 e al vertice sociale di Ginevra del 1995.

La preoccupazione principale di Kofi Annan, convinto che solo la liberalizzazione del commercio può, nell'immediato, alleviare la povertà nel sud del mondo, é di contrapporre scelte politiche realistiche all'integralismo anti-globalizzazione nato a Seattle e che rischia effetti controproducenti. Permettetemi di chiudere citando Kofi Annan. "Conosco le preoccupazioni che animano coloro che hanno dato vita alle proteste di Seattle, ma non credo che l'unico modo per rispondere a queste preoccupazioni sia quello di fermare la globalizzazione, che ritengo peraltro non possa essere fermata. Né sono sicuro che possa dare risultati positivi il semplice riversare sulla spalle del sistema commerciale globale l'onere di rispettare l'ambiente, i diritti umani e standard di lavoro accettabili." (fine della citazione)

Da qui l'idea di "Global Compact", di ripartire cioé l'onere di rispettare queste regole fra i vari attori della globalizzazione, con l'Organizzazione delle Nazioni Unite in veste di osservatore e garante "globale".

Non posso chiudere senza giocare d'anticipo nei confronti di chi vedesse questo mio omaggio a Kofi Annan come una manovra per facilitare una mia ipotetica carriera all'ONU, di cui parlano i giornali di oggi. Ho già detto che non intendo fare commenti al riguardo e lo confermo. Una sola cosa vorrei tuttavia segnalare agli appassionati di beghe politiche italo-italiane: ciò di cui si discute in questi giorni a New York, per trovare un buon successore a Sadako Ogata, non sono le ambizioni di questo o quell'italiano, norvegese o canadese. Si sta cercando, per quel che ne so, di vedere se l'Unione Europea, che é di gran lunga il principale finanziatore del sistema ONU, intenda esprimere o no una candidatura europea al posto di Alto Commissario ONU per irifugiati.

PAGE 1

PAGE 14

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail