Humanitarian Affairs Review
What can Business bring to Balkan Reconstruction?
La Maison de l'Europe, Brussels, Tuesday, Oct. 3, 2000
Emma Bonino Speaking Notes
La tempestività (di cui mi congratulo) con cui questa conferenza si svolge rispetto agli avvenimenti in corso in Serbia, destinati a influenzare l'immediato futuro dell'intera area balcanica, rende il nostro compito particolarmente difficile.
Piuttosto che azzardare previsioni, preferisco limitarmi a qualche osservazione, non senza tuttavia ricordare che per oltre dieci anni io ho sostenuto (né sono stata la sola) che Milosevic e il suo regime non potevano concorrere alla soluzione di alcun problema balcanico poiché erano parte integrante (quando non la radice) di tutti i principali problemi della regione.
Una cosa é evidente. Se la Serbia - come tutto sembra indicare - fosse effettivamente governata da una leadership democraticamente eletta, rispettosa dello Stato di diritto e del diritto internazionale non ci sarebbero più "crisi senza via d'uscita": né in Kosovo, né in Montenegro, né nella Vojvodina. Le tensioni non finirebbero certo overnight. Ma se le principali forze politiche presenti in ognuno di questi territori agissero in maniera responsabile e trasparente, se fossero diposte a mettere in discussione le rispettive utopie etnico-politiche - i più nefasti progetti di riconquista e quelli irredentisti perseguiti con l'uso della violenza - allora si' la comunità internazionale (e l'Unione europea in primo luogo) potrebbe finalmente dedicarsi a gettare le fondamenta della ricostruzione, politica ed economica, dell'area balcanica.
Perché una seconda cosa che a me pare evidente fin dai tempi in cui, commissaria responsabile degli aiuti umanitari, partecipavo a conferenze internazionali indette per ricostruire questa o quell'area balcanica.
Al centro del Patto di Stabilità che noi europei abbiamo lanciato l'anno scorso, con molte buone intenzioni e con enormi risorse finanziarie, c'é stato fino a oggi un "buco nero", corrispondente ai confini della Serbia, che ha impedito al Patto stesso di produrre gli effetti sperati. Conoscevamo tutti una semplice verità, che abbiamo preferito tacere, in attesa degli eventi: era difficile, probabilmente impossibile, innescare un qualche processo di integrazione e/o un circolo virtuoso di democrazia-legalità-sviluppo in una regione come a Balcani al cui cuore stava un regime che non produceva democrazia, né legalità né sviluppo, e invece esportava violenza, illegalità e miseria.
Tutto questo lo sapevamo noi politici, ma ancor più chiaramente lo percepivano le sensibili antenne di cui é dotata comunità del business. Che ha continuato a tenersi a debita distanza. D'altra parte, quale mai progetto capace di indurre sviluppo su scala regionale - a cominciare da quelli infrastrutturali / strade, ferrovie, telecomunicazioni - poteva essere messo in cantiere prescindendo dalla Serbia?
Nei Balcani - diciamo anche questa verità - l'Unione Europea ha fatto ricorso fino a oggi più allo strumento dell'assistenzialismo (necessario e opportuno, beninteso) che non a interventi capaci di produrre empowering presso i nostri partner, di dare a loro gli strumenti e il know how per dotarsi di uno stato di diritto e creare un'economia di mercato.
Sono fiorite invece, in questa situazione di impasse che prevale da oltre un decennio, la cultura dell'anti-Stato e forme criminali di economia, basate su ogni sorta di traffico: la droga, le armi, il contrabbando diffuso, il commercio di esseri umani destinati ad alimentare l'immigrazione illegale o la prostituzione. Insomma, mentre stenta ancora a decollare l'integrazione propugnata dal nostro "Piano di stabilità" (e non certo per colpa di mister Hombach), si é sviluppata con la velocità e la pervasività di un tumore maligno l'attività - essa si' integrata, in tune con le dinamiche della globalizzazione - delle varie mafie che agiscono nell'area balcanica e dentro i confini dell'Unione europea.
Parlo di un fenomeno che supera ampiamente I confini del "buco nero" costituito dalla Serbia. Non é questa la sede più adatta per emettere sentenze sommarie, ma sappiamo tutti che il tumore maligno di cui parlo, lungi dall'essere combattuto come dovrebbe, gode invece in quasi tutti i paesi balcanici - in diversa misura e a diversi livelli - di forti complicità. Ci sono situazioni, che tutti conosciamo, in cui l'anti-Stato é più forte e meglio organizzato dello Stato che dovrebbe combatterlo.
Non dico questo per moralismo a buon mercato ma perché con questa realtà l'Ue dovrà, prima o poi, fare i conti. E li farà meglio se, con l'aiuto degli eventi in atto, si potrà mettere mano non soltanto al necessario rilancio del Patto di Stabilità ma anche alla definizione di una chiara prospettiva politico-istituzionale per l'insieme dei Balcani: riconoscere a tutti i popoli della regione il diritto, se vorranno e quando esisteranno le condizioni per farlo, di aderire alla nostra comunità.
Solo quando questa prospettiva sarà aperta e la ricostruzione apparirà possibile, solo allora, credo, si potrà chiedere a imprenditori e investitori di assumersi il ragionevole rischio di prendere parte alla rinascita di questo pezzo d'Europa.
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