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di Boris Bianchieri
"O Bonino, o Migone"
Per la prima volta nella storia della repubblica gli italiani che lavorano nelle Organizzazioni Internazionali - dall'Onu alla Commissione europea, dall'Unesco alla Banca mondiale e alle altre 200 istituzioni che costellano il Pianeta - sono stati chiamati a Roma per discutere la politica dell'Italia nei confronti di quelle organizzazioni e dei loro funzionari. La nostra opinione pubblica sa poco di loro: vivono in gran parte all'estero e sono al servizio di organismi che perseguono fini internazionalistici, ma hanno un ruolo importante anche per gli interessi del nostro Paese. Bene hanno fatto Palazzo Chigi e la Farnesina a rivolgere l'attenzione a questo patrimonio sottovalutato.
Peccato che la discussione sulla legge finanziaria abbia costretto alcuni maggiori responsabili politici a star lontano dai dibattiti. Peccato anche che agli incitamenti che tutti si sono scambiati per una coerente azione di sotegno alla presenza italiana nei posti internazionali non corrisponda poi uguale chiarezza quando un'occasione favorevole si presenta.
Si rende vacante tra poco l'incarico di Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, un posto di grande rilievo politico e di alta visibilità. L'Italia é tra i maggiori contributori e ha titolo per occuparlo. Il governo ha presentato ufficialmente a Kofi Annan la candidatura del presidente della Commissione esteri del Senato, Migone, che é stata - mi si dice - accolta con interesse. Poi vi ha aggiunto la candidatura di Emma Bonino. Ora, si sa che presentare due candidati é come non presentarne nessuno. Oltretutto, se il governo italiano non é in grado di sceglierne uno non si vede perché dovrebbe esserne capace Kofi Annan.
L'uno e l'altro nome sono di tutto rispetto. L'uno e l'altro godono di credito negli ambienti internazionali. Decida il governo quale dei due ha maggiori probabilità di riuscita. Non gli mancano i mezzi per accertarlo. Ma non dia l'impressione - all'indomani di una iniziativa che mira a portare a trasparenza e serietà in questa materia - che le nostre candidature a posti di cosí grande rilievo sono solo il frutto di complesse logiche di politica interna.