1. Cultura della pace e diritti umani
Seguo con grande interesse il prezioso lavoro che, soprattutto per merito dell'Unesco, ha portato l'Assemblea Generale dell'Onu all'adozione della "Dichiarazione e Programma d'azione su una Cultura della Pace", documento che ispira questo nostro incontro e costituisce un punto di riferimento per tutte le istituzioni e organizzazioni internazionali. Non é cosa facile coltivare la pianticella della pace in terre devastate dalla guerra, appellandosi a donne e uomini già coinvolti in conflitti laceranti.
Poiché sono qui in veste di eurodeputato, mi pare utile esporvi qualche riflessione riguardante non tanto quel che possono fare le istituzioni sovranazionali per sviluppare una cultura della pace, ma piuttosto quello che puo' fare l'azione politica. Convinta come sono che la politica o é cultura o non é. La cultura della pace, d'altra parte, é uno degli elementi dominanti nel "codice genetico" del mio partito, il Partito Radicale Transnazionale. Ma bisogna intendersi sul significato delle parole: per cultura della pace la mia famiglia politica intende il rispetto - se non il culto - della legalità, nell'ambito dello Stato di diritto, e per quanto riguarda il diritto internazionale delle norme contenute nei trattati e nelle convenzioni. A cominciare dalla Dichiarazione universale dei diritti della persona, promulgata mezzo secolo fa, da tutti sottoscritta e da molti sistemeticamente violata.
Intesa in questo modo, come cultura della legalità, la cultura della pace é l'unico strumento conosciuto e collaudato di prevenzione dei conflitti. Non sono cosi' ingenua, o cosi' ipocrita, da sognare un mondo senza conflitti. Cosi' come non sogno un mondo senza malfattori o senza ingiustizie. Ritengo invece che si possa costruire un mondo in cui si faccia di tutto per imporre, nella misura del possibile, il rispetto delle regole convenute: con le armi della politica e della diplomazia, in primo luogo, ma anche con l'uso della forza, quando non c'é più altro mezzo.
Non c'é conflitto contemporaneo che non sia accompagnato da violazioni massicce dei diritti umani, per la buona ragione che i crimini contro l'umanità - una volta conseguenza delle guerre - oggi sono lo scopo stesso della guerra. Ne discende che il rispetto dei diritti fondamentali della persona é la vera linea di demarcazione fra una condizione che puo' essere considerata di pace e una vastissima gamma di situazioni confluttuali che vanno fino alla guerra aperta.
Per questo io credo che mentre le istituzioni sovranazionali fanno benissimo a studiare ed applicare tutti i modi possibili per ripristinare i presupposti della convivenza civile dove questa non esiste più, alle forze politiche che hanno a cuore la pace incombe invece il dovere di costruire e difendere la convivenza civile quotidianamente. E l'esperienza mi insegna che questo obiettivo lo si persegue si' dotandosi di strumenti istituzionali sempre più adatti ai tempi - come il Tribunale penale internazionale permanente, che esiste solo sulla carta ma che metterà fine per sempre all'impunità in materia di crimini contro l'umanità - ma si persegue soprattutto difendendo accanitamente i diritti fondamentali della persona nella loro universalità e indivisibilità.
2. Cultura della pace e xenofobia
Sento già qualche voce mormorare che per un cittadino del Nord del mondo, opulento ed egoista, é facile ergersi a difensore di principi e regole che appaiono spesso, a chi abita il Sud del mondo, un lusso di dubbia utilità. Credo abbia risposto splendidamente a queste voci il Nobel indiano Amartya Sen, spiegando che le libertà individuali (specchio della legalità rispettata) sono non già un risultato bensi' un elemento costitutivo dello sviluppo. Io voglio attirare la vostra attenzione su una questione, quella della xenofobia ( che io chiamerei "intolleranza legalizzata") che meglio di altre dimostra come Nord e Sud vivano un destino sempre più intrecciato.
Non c'é oggi paese dell'Europa occidentale che, messo di fronte al fenomeno dei crescenti flussi migratori - incoraggiati dalle nostre economie ma temuti dalle nostre società - non conosca il fenomeno della xenofobia. Ci sono forze politiche che dell'intolleranza fanno la loro bandiera. Ma ci sono anche movimenti e partiti che, come il mio, si battono contro la xenofobia, per aiutare i nostri paesi a razionalizzare e a gestire questa profonda mutazione sociale; per garantire anche ai nostri "nuovi cittadini" la pienezza dei diritti, proteggendoli contro ogni discriminazione.
Ebbene, a rischio di farmi rimproverare la mia franchezza, debbo dire che il nostro compito sarebbe più facile se gli xenofobi di casa nostra non obiettassero, come già fanno, che la xenofobia gode di buona salute, perfino legislativa, proprio nelle regioni di provenienza dei "nuovi cittadini".
Di che cosa parlo? Della Costa d'Avorio che rischia una guerra civile per una legge xenofoba scritta su misura contro un leader politico cui si rimproverano antenati "stranieri". Parlo di Angola e Mozambico, paesi "rivoluzionari" i cui parlamenti hanno adottato leggi sulla nazionalità pesantemente discriminatorie. Parlo dei pogrom in Nigeria. Ma parlo anche di Sri Lanka, Indonesia, Cina e Tibet, Russia e Cecenia.
3. Le mutilazioni genitali femminili
vedi articolo in spagnolo di IPS
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