"Stop Mgf. Proposte per un cambiamento"
Roma, Camera dei Deputati, 6 marzo 2001
Speaking points di Emma Bonino
Aprendo il 29 novembre scorso al Parlamento europeo la nostra prima Giornata internazionale contro le mutilazioni sessuali dissi chiaramente che la campagna internazionale che lanciavamo non sarebbe stato in nessun caso né mia (di Emma Bonino) né nostra (dei deputati europei): ripeto oggi che questa campagna appartiene di diritto, in primo luogo, alle molte donne, soprattutto africane - coraggiose e determinate - che hanno scelto di battersi per liberare le loro figlie e le loro nipoti dall'incubo di una tradizione che perpetua e legittima una violenza contro il corpo femminile tanto gratuita quanto degradante, non soltanto inutile ma deleteria per i danni fisici e psicologici che produce.
Per quanto mi riguarda, appartenendo ad una famiglia politica che crede fermamente nella indivisibilità e nella universalità dei diritti umani, sento il bisogno di ringraziare sia le iniziatrici di questo movimento, come la mia amica Olayinka, sia quelli "continuatrici" che come Kady Koita sono venute a difendere la loro causa anche in Europa, in seno alle comunità immigrate. Le ringrazio perché con il loro sostegno hanno offerto a noi l'occasione per amplificare e "globalizzare" una questione che merita di essere considerata come una priorità da chiunque difenda i diritti umani su scala internazionale.
Non dico questo per piaggeria verso i nostri ospiti. Lo dico con convinzione, all'indomani della preziosa lezione - civile e politica - che ho ricevuto nei giorni scorsi viaggiando da un capo all'altro dell'Africa e in particolare partecipando a Dar-es-Salam al quindicesimo congresso del "Comitato inter-africano sulle pratiche tradizionali", un'organizzazione che costituisce il naturale stato maggiore di questa nostra campagna internazionale.
La lezione di cui parlo sta nella storia stessa del movimento che si è sviluppato in 28 Paesi africani per lo sradicamento delle pratiche tradizionali. La lezione sta - per me che faccio politica da oltre 25 anni - nella esemplare capacità di mobilitazione di queste donne, che hanno saputo conquistare le coscienze di molte donne ma anche di tanti uomini che a vario titolo - medici, giuristi, leader religiosi - si sono riconosciuti in questa causa e hanno contribuito a farla avanzare in seno alla società e in seno alla classe politica. Al punto che la necessità di mettere fine alle pratiche dette tradizionali è già contenuta una bozza di "convenzione panafricana" che il prossimo vertice dei capi di Stato dell'Oua (l'Organizzazione per l'unità africana) potrebbe approvare fra pochi mesi.
E' di grande attualità in Europa e in particolare in Italia il dibattito sulle nuove vie che la cosiddetta cooperazione allo sviluppo deve battere, dopo decenni di delusioni e di fallimenti. Lo stesso presidente del Consiglio Giuliano Amato (che a questa nostra manifestazione ha aderito con grande sensibilità) ha appena lanciato un appello alle forze produttive del nostro Paese perché finanzino iniziative concrete per l'emancipazione delle nazioni più sfortunate del mondo in settori strategici come l'assistenza sanitaria e la formazione.
Ebbene, mi sembra difficile trovare oggi in Africa una causa più giusta e utile di quella di cui stiamo parlando; e altrettanto difficile mi sembra trovare in seno alla cosiddetta "società civile" africana un partner più meritevole di essere aiutato e insieme più affidabile di questa rete di organizzazioni tessuta in oltre 15 anni in ben 28 Paesi dal movimento contro le pratiche tradizionali. Perché allora non mettere a loro disposizione le nostre risorse e le nostre energie, anziché inseguire nuove chimere ?
Sono convinta che si tratterebbe, per di più, anche di un investimento politico saggio e lungimirante. E cercherò brevemente di spiegare perché. Le donne che per prime hanno denunciato le mutilazioni genitali come una sopraffazione inaccettabile hanno dovuto sfidare la riprovazione - se non addirittura il disprezzo - che sempre vengono riservati a chi cerca di scardinare una qualsiasi iniquità "socialmente accettata", puntualmente difesa dai custodi dell'ordine costituito come "elemento irrinunciabile della tradizione e della cultura nazionale". Peccato che si faccia appello alla tradizione sempre e soltanto per opprimere meglio, ami per aumentare gli spazi di libertà. So di che cosa parlo, perché in questa battaglia delle donne africane (e dei loro alleati) contro le mutilazioni mi sembra di riconoscere quello stesso potenziale rivoluzionario - rispetto al ruolo delle donne nella società - che ebbero in questa parte del mondo le battaglie per la legalizzazione del divorzio e dell'aborto.
Rivendicando il diritto all'integrità e alla dignità della propria persona - nonché a disporre del proprio corpo - le donne compiono un passo decisivo per affrancarsi dallo stato di soggezione in cui vivono, dal ruolo subalterno cui sono relegate. E una volta accortesi di potere cambiare un ordine costituito che sembrava immutabile - cioè l'egemonia maschile sulla società - le donne non tarderanno a combattere altri effetti disastrosi di questa storica egemonia: la cultura della violenza e dell'odio, la venerazione dei guerrieri e della guerra, la corruzione sistematica, il disprezzo dei diritti civili, delle leggi e in generale della libertà altrui.
Concludo esprimendo un auspicio: che donne - e uomini - come quelli che hanno saputo ribellarsi alla schiavitù delle "pratiche tradizionali" possano presto salvare alcuni Paesi africani dall'abisso di violenza, sofferenza e miseria in cui l'hanno sprofondata molti degli uomini che monopolizzano il potere, a tutte le latitudini.