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Conferenza ERA
Partito Radicale Giorgio - 4 agosto 1998
4965, 1-Ago-98, 14:31, I-----, 24076, Pr.Bruxelles, BE, Bruxelles
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Partito Radicale: verso il Congresso di rifondazione o di rilancio

Seminario di Roma, Hotel Ergife, 30 e 31 luglio 1998

relazione di Olivier Dupuis

Schematicamente tre sono, mi sembra, i possibili scenari per una rifondazione e/o un rilancio del partito. Ma prima ancora di entrare nel merito della discussione su ciascun di loro, credo che sia metodologicamente più corretto tentare di capire cosa vogliamo fare, qual è la centralità politica che vogliamo dare alla nostra azione politica in Italia e nel mondo. E', secondo me, questo il tema centrale del nostro incontro. E a questo proposito mi sembrano centrali le relazioni e comunicazioni di Angiolo Bandinelli, Valter Vecellio, Rita Bernardini, Carmelo Palma e di altri compagni su "democrazia e informazione, regime e ostracismo, rivoluzione liberale, ...".

Scenari possibili:

a) si mantiene, pure con forme statutarie nuove, l'articolazione tra il partito transnazionale e un soggetto politico italiano;

b) si passa a una riunificazione dei due soggetti con sostanziosi cambiamenti statutari: "il partito 'unificato' della rivoluzione liberale mondiale"

c) si ritorna alla forma del partito "a doppia tessera", mantenendo, seppure in una forma attenuata, la caratteristica transpartita.

Intanto credo sia doveroso farvi un rapido quadro delle iniziative in corso sulle attuali priorità politiche del partito e su alcune altre priorità possibili.

Le campagne

1. Libertà per il Tibet

Il Dalai Lama è ormai tutto concentrato su di una strategia che punta all'apertura di negoziati con le autorità di Pechino. Da notizie da lui stesso date, e recentemente confermate da Jiang Zemin, esistono - al momento - alcuni canali di discussione. E', ovviamente, difficile dire a che livello e su quale argomento vertono questi contatti.

Rispetto quindi a un anno fa, quando l'avevo presentato come lo scenario più probabile sul quale lavorava la classe dirigente tibetana, abbiamo oggi non soltanto la conferma che questa strategia sia quella ufficiale delle autorità tibetane ma che questa è in primo luogo la strategia del Dalai Lama e, conseguentemente, una spiegazione particolarmente attendibile del cambiamento del loro atteggiamento nei nostri confronti avvenuto un anno e mezzo fa.

In questo contesto è ovviamente assai difficile, se non quasi impossibile, individuare un proseguimento della strategia che è stata la nostra. Dobbiamo - e lo ammetto molto volentieri - trovare una risposta a una domanda alla quale non sono riuscito a rispondere finora. L'unica iniziativa - ma che non costituisce in nessun caso una strategia alternativa - è quella di sostenere Voice of Tibet, la cui funzione mi sembra fondamentale intanto per dar un minimo di supporto concreto in primo luogo ai tibetani residenti nel Tibet ma anche ai tibetani della diaspora e ai simpatizzanti della causa del Tibet nel mondo (abbiamo tutti ben presente l'immolazione del tibetano a New Delhi due mesi fa e poi quella del cittadino francese).

Cosa fare su questo fronte. Attraverso il Tibet-fax è stata lanciata una sottoscrizione che ha avuto, finora, pochi risultati. Credo che, anche con Radio Radicale, andrebbe studiato quale tipo di apporto, anche più strutturato, si potrebbe dare a Voice of Tibet (il cui costo annuo si aggira sui 150 milioni di lire), ivi compreso sulla questione del progetto che è stato depositato due anni fa presso la Commissione europea e che è tuttora bloccato per via di enormi resistenze politiche.

Ci sono poi una serie di richieste fatte all'Unione europea (rappresentante speciale dell'UE per il Tibet, liberazione dei prigionieri di coscienza, ...) sulle quali dobbiamo continuare a lavorare. Però anche queste iniziative non costituiscono in sé l'iniziativa, o un'iniziativa, all'altezza della posta in gioco.

2. Democrazia per la Cina

Sono tra coloro che sono convinti che i cambiamenti in corso in Cina non sono altro che concessioni del potere e che non implicano quindi nessun passo in direzione della costruzione di uno Stato di diritto, del riconoscimento ai cinesi dei loro diritti. In altre parole, su una cosa questo potere non intende minimamente mollare: sul fatto che il potere è solo e solamente suo, ovvero del partito comunista. Anche in questa chiave va, credo, letta la moltiplicazione degli arresti, a cominciare da quelli dei militanti del Partito Democratico Cinese.

Per quanto ci riguarda credo che il maggior capitale, quanto meno potenziale, che abbiamo è la figura di Wei Jingsheng. Come prospettato da Marco durante gli incontri avuti nel maggio scorso credo che una delle nostre priorità su quel fronte dovrebbe essere la preparazione - con il coinvolgimento di Wei - di un'iniziativa nonviolenta in Cina. La nostra riflessione su questo tema potrebbe anche essere - credo - utilmente collegata con quella, abbozzata di seguito, sull'idea della "rifondazione" di una Lega Anticomunista Internazionale.

3. Antiproibizionismo

Su questo punto vi rimando, per l'essenziale, alla relazione di Marco Cappato.

Molto rapidamente mi sembra che potremmo concentrarci su:

- campagna per le dimissioni di Pino Arlacchi;

- processi per le azioni di disobbedienza civile;

- proposta di legge di iniziativa popolare e/o petizione (da abbinare ad una eventuale raccolta sulla questione "abolizione del servizio di leva" e sull'"incriminazione di Milosevic") per l'apertura di centri di distribuzione controllata di eroina;

- petizione mondiale via internet per la declassificazione dell'hashish nelle tabelle ONU.

Rispetto al come sviluppare quanto deciso dal Cora nella sua mozione finale di Parigi, credo che la cosa più concreta sarebbe quella di lavorare insieme, Cora e Partito, nei prossimi giorni alla definizione delle iniziative per le prossime settimane e mesi.

4. Tribunale internazionale

Il rischio può essere quello di gestire una cosa che, essendo stata ottenuta, non ha più una carica rivoluzionaria. E' una valutazione che dobbiamo avere molto presente, anche a fronte delle valutazioni molto serie che ci dicono che, al momento, non è per niente sicuro che 60 Stati firmino e poi ratifichino il Trattato di Roma. Esiste un rischio, di una certa consistenza, che gli Stati Uniti si mobilitino per tentare di bloccare l'entrata in vigore del Trattato, facendo pressione su una serie di Paesi amici (vedere le recenti dichiarazioni dello speaker del Senato, Helms).

D'altra parte, una grossa iniziativa a favore della ratifica, oltre a confermare il ruolo di Non c'è Pace e del Partito su quel fronte, potrebbe anche consentire di rientrare nei parlamenti in quanto partito, e di tentare una operazione di iscrizione su più o meno larga scala di parlamentari e ridare, in questo modo, consistenza al motto del partito "lo stesso testo di legge, nello stesso giorno, in più parlamenti". Una tale iniziativa potrebbe essere anche utilmente usata per spingere su una eventuale approvazione di una risoluzione da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni unite sulla moratoria.

In estrema sintesi credo che dobbiamo in qualche modo rovesciare la logica e tentare di ragionare non a partire dal processo di ratifica ma a partire dal come il Partito potrebbe usare la questione della ratifica per rilanciare un processo di radicamento della sua presenza nei parlamenti, nei governi, tra i "civil servant" di quanti più Paesi nel mondo.

Verso una corte universale dei diritti umani ?

Sia l'alto funzionario del Consiglio d'Europa, che abbiamo di recente incontrato, sia Niccolò Figà Talamanca, hanno concordato che questo potrebbe costituire un obiettivo da perseguire dopo il successo del Tribunale. Sempre secondo loro, diverse possono essere le strade da percorrere.

a) la "federazione" o l'articolazione delle Corti esistenti (l'americana, l'africana e l'europea). Tra le controindicazioni la mancanza tutt'oggi di una Corte asiatica.

b) l'estensione della competenza della Corte europea ad altre zone geografiche. Tra le controindicazioni la maggiore sembra quella della differenza degli standard di Paesi non europei e il rischio di un abbassamento del livello della Corte (già oggi la Corte europea dei diritti umani si confronta con un processo di questo tipo con l'adesione dei Paesi dell'Europa centrale e orientale).

c) la creazione di una Corte universale ex novo, sul modello di quello che è stato fatto col Tribunale internazionale.

Se riteniamo che quest'idea possa essere sviluppata credo che la prima cosa da fare sarebbe quella di farne l'oggetto di un seminario nel quale coinvolgere una serie di "specialisti".

5. Abolizione della pena di morte

In apertura della riflessione su questo nostro obiettivo prioritario, mi sembra utile ricordare alcune delle tappe istituzionali e politiche che abbiamo conseguito negli ultimi anni.

- risoluzione dell'Assemblea generale sull'istituzione di una moratoria universale delle esecuzioni (dicembre 1994);

- risoluzione del PE (16 giugno '96) che chiede all'Assemblea generale delle Nazioni unite l'istituzione di una moratoria universale delle esecuzioni;

- risoluzione ACP-UE (26 settembre '96) per l'istituzione da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni unite di una moratoria universale delle esecuzioni capitali;

- risoluzione del PE (20 febbraio '97) che chiede alla Commissione Diritti dell'Uomo delle NU di approvare una risoluzione a favore dell'abolizione della pena di morte;

- risoluzione dell'Assemblea paritetica UE/ACP (20 marzo '97) che chiede l'istituzione di una moratoria universale delle esecuzioni capitali da parte dell'Assemblea generale delle NU del 1997;

- risoluzione della Commissione dei Diritti umani (aprile '97) nella quale l'abolizione della pena di morte viene considerata come un ulteriore allargamento della sfera dei diritti fondamentali;

- risoluzione del PE (13 giugno '97) che chiede - tra l'altro - all'Assemblea generale delle NU del 1997 di istituire una moratoria universale delle esecuzioni capitali;

- risoluzione della Commissione dei Diritti umani (aprile 1998) nella quale viene indicata in una risoluzione sulla moratoria nell'Assemblea generale dell'ONU, il prossimo passo verso l'abolizione della pena di morte;

- risoluzione del PE (17 giugno 1998);

- documento dell'UE (28 giugno 1998) sull'abolizione della pena di morte come priorità dell'Unione;

- presa di posizione della presidenza austriaca (15 luglio 1998) nella quale viene ribadito che l'UE appoggerà l'iniziativa italiana all'Assemblea generale dell'ONU;

- mozione del Senato italiano che impegna il Governo italiano a prendere l'iniziativa alle Nazioni unite nel 1998 o, al massimo, nel 1999;

- appello di 443 parlamentari di 48 Paesi a favore dell'istituzione della moratoria nel 1998.

Per quanto riguarda la strategia del partito su questo fronte, questa è stata definita in modo molto chiaro, preciso e approfondito due mesi fa (a maggio), durante una riunione della giunta del partito. Questa puntava all'approvazione, quest'anno, di una risoluzione sull'istituzione della moratoria universale da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni unite.

Questa strategia è stata comunicata a tutti gli iscritti e simpatizzanti (oltre 60.000 soggetti), il 28 maggio attraverso una lettera personalizzata del Tesoriere e del Segretario:

"(...) Su un altro nostro fronte, ormai storico, del Partito Radicale, quello della abolizione universale della pena di morte, i prossimi mesi potrebbero vedere il conseguimento di un importante successo. Dopo la mancata approvazione alla Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1994, per soli 8 voti, di una risoluzione sull'istituzione di una moratoria universale delle esecuzioni capitali, ma dopo l'approvazione nel 1997 e del 1998 di una risoluzione simile alla Commissione dei Diritti Umani di Ginevra, crediamo siano maturate le condizioni per "ritentare" il confronto all'Assemblea Generale di New York, con consistenti possibilità di ribaltare l'esito del 1994.

Anche rispetto a questa battaglia, è necessario investire energie umane e denaro per convincere il maggior numero di paesi, entro il prossimo 20 Agosto, a sponsorizzare l'iscrizione della moratoria all'ordine del giorno dell'Assemblea Generale. Occorrono almeno 100 milioni perché il nostro "partito dell'ONU" sia in grado di provocare la mobilitazione internazionale necessaria perché la moratoria venga discussa e approvata dalle Nazioni Unite. (...)"

A partire da questa scelta politica sono stati contattati, da fine maggio in poi, i ministri degli esteri dei 64 paesi - sia direttamente, sia via gli ambasciatori a Bruxelles e a New York - che hanno cosponsorizzato quest'anno la risoluzione di Ginevra. A queste sollecitazioni hanno finora risposto l'Unione europea, attraverso una presa di posizione ufficiale della presidenza austriaca, alcuni Stati membri (Lussemburgo, Spagna, Austria, Irlanda) nonché altri 13 Stati che si sono detti pronti a cosponsorizzare e sostenere l'iniziativa durante la prossima sessione dell'Assemblea generale (Azerbaijan, Armenia, Cipro, Ecuador, Georgia, Lichtenstein, Lituania, Malta, Paraguay, San Marino, Slovacchia, Uruguay, Venezuela).

"Basta" a questo punto convincere il Governo italiano - al quale viene unanimemente riconosciuta la leadership su questo fronte -, il ministro degli esteri, di iscrivere all'ordine del giorno della prossima Assemblea generale la questione della moratoria. E' ciò su cui stiamo lavorando in questi giorni con varie iniziative in corso (lettera aperta a Dini, telegrammi, fax, ...) e altre che dovremo individuare.

6. Esperanto

La situazione della battaglia esperantista ha riscontrato e riscontra non poche difficoltà. Non mi dilungo sulle difficoltà che riscontriamo nel contesto in cui ci muoviamo. Sapete tutti delle resistenze, diffidenze e anche delle dichiarate opposizioni che ci vengono contrapposte ogni qual volta tentiamo di inserire la questione della comunicazione in un contesto politico-istituzionale. Così è stato alle Nazioni unite, dove l'Ecosoc ha bocciato, dopo due anni, l'inserimento di questo punto nella loro agenda. Al PE, sia per i contatti preesistenti, sia - forse - per la maggior apertura di quella istituzione, le cose sono andate un po' meglio ma non al punto di poter dare la rilevanza politica che avremmo voluto dare alla questione. Al momento si è ottenuto solamente un dibattito in Commissione istituzionale e, se non ci sono ripensamenti, si dovrebbe ottenere la pubblicazione del documento presentato da Gianfranco Dell'Alba come documento di lavoro.

Ci sono poi difficoltà di altro tipo, quelle provenienti dalle scelte politiche operate in questi ultimi anni dall'ERA, scelte che hanno portato questa associazione a definire obiettivi politici e statutari in sempre crescente contrasto con quelli del partito. Recentemente, nel corso del suo ultimo congresso, l'ERA ha definito come sua priorità politica per i prossimi anni la lotta per "la costituzione di una 'repubblica' transnazionale degli esperantisti".

Dal punto di vista del processo di rifondazione del partito, l'ERA si è consapevolmente allontanata dallo scenario prospettato dagli organi del partito, ovvero da quello scelto dal CORA al termine del suo congresso a Parigi nel giugno scorso, scenario che ha come obiettivo, con la scadenza del congresso del partito, la ricongiunzione delle varie forze in un unico soggetto politico. L'ERA ha, invece, preso un'altra via, quella di costituirsi in O.N.L.U.S. (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale) e di "chiedere al Partito Radicale formale Patto di federazione o altro accordo di azione collaborativa".

7. Altre possibili iniziative

a. Kosovo

Secondo me il disegno di Milosevic è molto chiaro. Arrivare con una politica di pulizia etnica, come quella attuata in precedenza in Croazia e in Bosnia, a imporre alla comunità internazionale l'ineluttabilità di una spartizione del Kosovo. Le azioni militari sono, da questo punto di vista, molto indicative del Kosovo che a Milosevic interessa (principalmente la parte nord-orientale del Kosovo, quella delle miniere, dei principali monasteri e che confina con il Montenegro).

C'è poi un altro dato che dobbiamo mettere al centro della nostra riflessione: quello della lotta per la democrazia in Serbia e l'indispensabilità di rimuovere Milosevic per creare le premesse perché questa possa ritornare a essere perseguibile.

C'è poi l'urgenza imposta dalla situazione in loco. Sono già oltre 150.000 i profughi kosovari nei paesi confinanti. Oltre questi ci sono altre migliaia di profughi all'interno del Kosovo (alcune fonti parlano di oltre 200.000). Di fronte a questa drammatica situazione (che rischia di aggravarsi ulteriormente nei prossimi giorni) non c'è da parte della comunità internazionale nessuna risposta politica né umanitaria adeguata.

In questo quadro mi sembra che, intanto, potremmo partire con una campagna di raccolta firme su un testo di petizione indirizzato al Presidente e alla Procuratrice generale del Tribunale dell'Aja, chiedendo l'immediata incriminazione di Milosevic, raccogliendo firme ovviamente in Italia ma facendo anche un grosso sforzo su internet.

Ci sono poi delle altre proposte che mi hanno comunicato alcuni compagni. Tra queste, una azione a Pristina il 15 agosto. Senza entrare nel merito di questa o di altre che verrano fuori durante il nostro incontro, credo sia importante avere ben presente che la nostra lotta non è per "la difesa" dei kosovari ma per la democrazia e la libertà dei kosovari e ... dei serbi. Se questo è vero la nostra lotta non può non avere come bersaglio principale la caduta del regime di Milosevic, attraverso una battaglia per la sua incriminazione che comporti, anche da parte della comunità internazionale, un definitivo disconoscimento di questo personaggio.

b. abolizione del servizio civile e militare di leva

Su iniziativa di Matteo Mecacci abbiamo iniziato un lavoro di istruzione di una possibile campagna per l'abolizione del servizio di leva, sia militare che civile.

Credo - ma Daniele Capezzone vi dirà molto di più e molto meglio - che questa campagna possa assumere nella nostra più generale battaglia contro lo Stato burocratico una valenza di primissima importanza. Le proposte di riforme che potrebbero essere già adottate quest'anno dal Parlamento italiano sono in effetti molto indicative dell'importanza in termini di potere e di statalizzazione dell'intera società che è venuto a rappresentare il servizio civile (molto più di quello militare). Non ho, personalmente, nessun dubbio quanto alla necessità di abbatterlo del tutto. Sono altrettanto convinto che, per ragioni prevalentemente di opportunità, conviene a questo punto richiedere anche la soppressione del servizio militare di leva. Questo, in effetti, rischia di essere mantenuto, seppure in dimensioni ridotte, per consentire - appunto - una fortissima espansione del servizio civile.

Credo che una tale battaglia ci consentirebbe anche di sviluppare iniziative sul fronte del mercato del lavoro e della "perversione" del concetto di società civile, di volontariato, ...

c. Società dell'informazione

Successivamente al "convegno lungo un mese" sono stati approntati 6 progetti di legge (consultabili sul web dei riformatori) ed è stata approvata su iniziativa dei deputati radicali una risoluzione da parte del PE, risoluzione però abbastanza annacquata rispetto al nostro progetto iniziale. Nel frattempo è passato - sempre al PE - un rapporto che ha fatto proprio il riconoscimento della firma digitale per le petizioni al PE (rapporto Santini).

Credo che si tratti di un tema che possa diventare una priorità del partito. Dobbiamo concepire - e questa riunione può fornirci delle valutazioni importanti in merito - i luoghi per definire una strategia politica comune ai vari soggetti che hanno lavorato finora su questo fronte (Lista, Agorà, Partito).

d. Lega anticomunista internazionale

Più volte in questi ultimi mesi Marco è tornato, a partire - ma non solo - dalle sue analisi sul postcomunismo, sull'opportunità di "ricreare" una Lega anticomunista internazionale. A me sembra un'idea molto importante sulla quale dobbiamo riflettere. Non manchiamo di "esempi", di come l'internazionale socialista e molti dei partiti nazionali che ne sono membri; partiti comunisti "rifondati" o no, si oppongono ferocemente o "stroncano" le nostre iniziative, sia sul fronte "democrazia" sia sui nostri fronti per la libertà del Tibet, della democrazia in Cina nonché su Cuba o, su altre iniziative seppure più marginali, come quelle sul Vietnam, sull'Angola, sulla Corea del Nord, ... o come tentano di re-impostare in chiave anti-americana altre nostre iniziative, a cominciare da quelle sul Tribunale o sull'abolizione della pena di morte.

Avendo ben presente il rischio di cadere nell'accademismo, credo che dovremmo però riflettere sulle origini del comunismo, sulla natura del dibattito e della lotta che ci fu tra il menscevismo e il bolscevismo. Sono personalmente convinto che questa lotta e questo dibattito erano del tutto estranei alla concezione del potere e dello Stato e che vertevano soltanto sui mezzi per poterlo conquistare. Il menscevismo, tornato vittorioso sul bolscevismo - sicuramente non per merito suo - con la caduta del Muro di Berlino, oggi incarnato dall'Internazionale Socialista, non è certo diverso da quello della fine del Secolo scorso. Gli apporti che ha integrato sono per lo più di matrice cattolica (comunitarismo alla Mounier o alla Tony Blair) e non certo di matrice liberale.

e. federalismo europeo

Sono personalmente sempre più convinto che in assenza di un rilancio della battaglia per gli Stati uniti d'Europa, sul modello di quella degli anni '86-'88, la cosa più utile e, potenzialmente, più dirompente, è quella di creare un nucleo di politica estera davvero comune, attraverso una progressiva "comunitarizzazione" dei rapporti diplomatici dei Paesi dell'Unione, lavorando anche in questo modo all'indebolimento progressivo delle varie 'farnesine' nazionali e, con la costruzione di strumenti comuni per attuare le politiche dell'UE.

- Diplomazia comune

In base alla prassi internazionale in materia di rapporti diplomatici (Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961) ci sono ampi spazi per concepire un nuovo Trattato di Schengen sulla Diplomazia comune nel quale una serie di Paesi membri dell'UE decidano di affidare alle delegazioni della Commissione il compito di rappresentarli esclusivamente in una serie di paesi terzi.

- Corpo europeo

L'abbiamo visto in Croazia, in Bosnia, in Somalia, in Ruanda, in Albania. Lo vediamo di nuovo oggi in Kosovo. L'Europa, l'Unione europea manca di una politica estera comune. Però, quand'anche riesce a definire una politica, mancano gli strumenti per poterla attuare o per poterla attuare in tempi utili. In questo contesto, la creazione di un corpo europeo di peace keeping e di peace making non può essere vista come la chiave per risolvere il problema centrale, quello dell'assenza di Europa, dell'assenza di politica estera, nonché più in generale, della deriva sempre più ademocratica dell'UE, però può essere un elemento che faccia venire meno uno degli alibi usati dall'UE e dagli Stati membri per giustificare le loro non-politiche. La nostra riflessione su questo punto andrebbe, per ovvie ragioni, collegata con quella sull'abolizione della leva.

- Per l'adesione della Georgia all'UE

Un po' al di là dei confini entro i quali i mass media si muovono si trova una zona che già negli anni '90-'93 avevamo individuato come potenzialmente centrale: la regione transcaucasica. In questa regione, un paese - la Georgia - ha, sin d'ora, tutte le caratteristiche per essere considerato un possibile futuro membro dell'Unione. Anche perché riveste un ruolo strategico per l'Unione europea, credo che una campagna per una sua rapida adesione potrebbe essere anche l'occasione per sviluppare ulteriormente un concetto che avevamo già sottilineato durante l'aggressione irachena contro il Kuwait, ovvero l'importanza e la legittimità degli interessi economici nella definizione e l'attuazione di una politica estera.

 
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