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Federalismo Servizio - 14 ottobre 1994
Dastoli su revisione Maastricht

NOTA SULL'APPLICAZIONE E SULLA REVISIONE DEL TRATTATO DI MAASTRICHT

di Pier Virgilio DASTOLI

Bruxelles, ottobre 1994

1. Per quanto riguarda la realizzazione del trattato di Maastricht, l'Italia dovrebbe confermare senza ambiguità la sua volontà di veder avviata la terza fase dell'UEM, alle condizioni ed alle scadenze previste dallo stesso trattato, anche se cioè avesse come conseguenza una temporanea esclusione dell'Italia dal primo gruppo di paesi.

Vi è un punto fondamentale da sottolineare nell'analisi del documento della CDU (su questo punto il documento è molto ambiguo): la distinzione fra i paesi che non vogliono e quelli che non possono. L'idea di Amato che la decisione sul passaggio alla terza fase (con la moneta unica e la Banca centrale) è eminentemente politica e non economica deve essere ora rilanciata e rafforzata. L'attuale governo italiano darebbe una risposta che ne rafforzerebbe la credibilità e le capacità negoziali a livello europeo se annunciasse ora la sua volontà di chiedere ai suoi partners dell'Unione di prendere la decisione sul passaggio alla terza fase all'inizio del 1997 (cioè a ratifiche di Maastricht-2 concluse: si saranno nel frattempo svolte le elezioni britranniche !) e di chiedere ai suoi partners di preannunciare questa decisione al più presto: i mercati finanziari e l'economia europea ne sarebbero certamente avvantaggiati, come lo furono all'annuncio dell'obiettivo 1992. Anche la discussione sulla finanziaria sarebbe c

aratterizzata dalla dichiarata volontà del governo di accelerare l'UEM e di voler far parte del gruppo dei paesi che lo vogliono.

2. Non mi soffermo sugli altri aspetti della realizzazione di Maastricht (cittadinanza, da ampliare, PESC e AIG da comunitarizzare, protocollo sociale da applicare), per passare alle questioni istituzionali:

* credo che al centro del negoziato del 1996 debba essere posta innanzitutto la questione della "governabilità" dell'Europa.

E' un concetto che è capito dai cittadini, più di qualunque discorso sui poteri democratici del PE ed è la cosa più importante da fare (l'esperienza istituzionale della discussione sul Libro Bianco e sulla politica estera dovrrebbe insegnarlo). Del resto è sulla governabilità degli Stati nazionali che si vincono le elezionoi (Berlusconi docet).

Il problema non è quello, molto modesto, di fare un'opera di maquillage nei rapporti istituzionali fra l'attuale Commissione (dandole un po' più di poteri di gestione e riconoscendole un maggior ruolo di suppporto economico-amministrativo nella PESC e nella politica commerciale), l'attuale Consiglio ed il PE, ma quello di porre con forza sul tappeto il fatto che l'Europa (quella "grande" e quella del "cerchio più ristretto" o del "magnete" della CDU) ha bisogno di un sistema - fortemente politico - di governo a livello europeo. Questo vuol dire avviare nel 1996 la definizione di tale sistema (che dovrà coinvolgere le procedure di elezione, la composizione e la presidenza dell'attuale Commissione; la procedura elettorale uniforme del PE; la composizione e le funzioni del Consiglio dei Ministri.

Non si tratta di rafforzare il sistema burocratico-amministrativo europeo (anche se un apparato amministrativo all'Esecutivo europeo dovremo pur darglielo) ma di creare un Esecutivo dell'Unione europea forte, con poteri limitati ma reali (more powers to do less dicono giustamente i pragmatici federelisti inglesi), e non di perpetuare l'operazione deleteria avviata con l'AUE e proseguita con il trattato di Maastricht, che era basata sul principio opposto (less powers to do more).

Se si riconosce la centralità della questione della "governabilità" (evidentemente sovranazionale) dell'Europa, le soluzioni "costituzionali" possono essere trovate con relativa facilità, collegandole all'esigenza di accompagnare la creazione del sistema di governo europeo con un sistema politico realmente europeo (ad esempio con una procedura elettorale uniforme che preveda, in "comunità di spirito" con il diritto di elettorato passivo, una quota di deputati europei in una lista europea e la possibilità per i partiti europei di scegliere un capo-lista - o un ticket, come negli USA - che sia contemporaneamente il candidato alla presidenza dell'Unione, cioè dell'Esecutivo europeo).

* per quanto riguarda il Consiglio, esso deve riacquistare un ruolo ed una dignità di autorità politico-legislativa.

Dunque la delegificazione (conseguenza primaria di una corretta gerarchia delle norme) deve riguardare non solo il PE (e qui cade male l'autocritica di Hänsch, che lascia presupporre che sia il PE a volersi occupare di questioni di dettaglio, come i fanalini di coda dei trattori e non il fatto che il trattato obbliga il Consiglio a consultarci su tutto, pena la decadenza della decisione del Consiglio: v. sentenza iso-glucosio, ed il PE a dare il suo parere su tutto) ma anche il Consiglio.

Dunque una composizione del Consiglio che si basi non già sugli Stati nella loro proiezione esterna, ma sugli Stati-ordinamento con formule che possono variare dalla composizione tipo Bundesrat (i rappresentanti dei governi dei Länder) o tipo Senato americano (eletti direttamente, con un equilibrio fra paesi piccoli e paesi grandi che serva a bilanciare l'equilibrio attuato in seno al PE) o con una delegazione designata dai parlamenti nazionali (la nuova composizione del Consiglio deve dare una risposta alle velleità del Comitato delle Regioni di volersi trasformare in una terza camera, introducendo invece il principio che gli Stati "regionalizzati" o federali: ora sono 6 su 12, domani saranno 8 su 16; possano inviare nel Consiglio rappresentanti degli enti costituzionali ad un livello inferiore a quello statuale).

* I nuovi rapporti tra Consiglio e Esecutivo devono guidare a soluzione la questione della comitatologia.

Bisogna avviare una riforma che porti alla soppressione dei comitati (tutti o quasi), applicando anche qui il principio di sussidiarietà. Ci sono atti legislativi che richiedono atti esecutivi a livello europeo per garantire la necessaria coerenza e la solidarietà europea: questi atti esecutivi devono essere lasciati al pieno potere dell'Esecutivo europeo, fatto salvo il potere di controllo, a posteriori, dell'autorità legislativa (o, se del caso, della Corte di Giustizia o della Corte dei Conti). Ci sono atti legislativi che consentono o addirittura esigerebbero una fase esecutiva delegata (dall'Esecutivo europeo ? dall'autorità legislativa, cioè dal PE e dal Consiglio ? Se ne puo' discutere con tranquillità, sopratutto da parte dei "comunitari" perché, nella misura in cui il PE interviene con un potere di codecisione, viene salvaguardata la difesa dell'interesse europeo) alle amministrazioni ad un livello inferiore a quello comunitario (dunque nazionale o regionale).

Mi sembra di ricordare che quest'idea del legame fra sussidiarietà e comitatologia fosse stata avanzata dai tedeschi nella discussione sulla sussidiarietà e mi si dice che il governo tedesco vorrebbe rilanciarla ora, di fronte all'impasse fra Consiglio e PE. Oltre alla telefonia vocale si bloccheranno ora i programmi Socrates, Jeunesse pour L'Europe, Leonardo ed il PE potrebbe bloccare i finanziamenti ai comitati in sede di bilancio.

* Per quanto riguarda il PE, dopo aver ricordato la questione della procedura elettorale uniforme, mi sembra che la fase iniziale delle procedura di codecisione permetta di guardare con maggior tranquillità all'idea di estenderla a tutti gli atti legislativi (quelli veramente legislativi !), sottraendo all'esame del PE (ma anche del Consiglio) gli atti di natura esecutiva.

Un altro punto mai preso in considerazione: il PE è l'unico parlamento del mondo democratico-occidentale dove tutti gli atti di legislazione ordinaria (emendamenti a regolamenti e direttive; voto di regolamenti e direttive; pareri conformi; preiniziative legislative, ecc.) richiedono non già l'ordinaria maggioranza assoluta dei presenti (assortita eventualmente da un quorum), ma la straordinaria maggioranza assoluta dei membri. E' una regola che non solo perpetua all'infinito la coabitazione talvolta contronatura fra socialisti e PPE, ma appesantisce inutilmente i negoziati all'interno del PE ed in definitiva tutta la procedura legislativa.

* Ci sono tre atti "straordinari" (la programmazione pluriannuale delle entrate e delle uscite: è una proposta del rapporto Spinelli sulle risorse proprie adottato dal PE nell'aprile 1981; le modifiche della "costituzione europea" e le nuove adesioni; per non citare le dichiarazioni di guerra dell'Unione europea, quando ci sarà, pienamente compiuta, la dimensione europea della difesa: ma allora non ci saranno più guerre !) che richiedono procedure "straordinarie" tali da coinvolgere direttamente il PE ed i parlamenti nazionali (o meglio delegazioni dell'uno e degli altri). Si tratterebbe di istituire una sorta di "congresso di Versailles", chiamato a decidere con maggioranze doppiamente qualificate (ma pur sempre maggioranze). Sono gli unici casi nei quali credo sia opportuno coinvolgere a livello europeo i parlamenti nazionali.

* per quanto riguarda la procedura di convocazione e di negoziato nel 1996, ti mando una mia nota che sto facendo circolare nel PE (ma non solo nel PE), che introduce il principio della codecisione costituzionale (di fatto).

Si tratta di una richiesta presentata dal PE nell'ottobre 1985 e reiterata dallo stesso PE durante le fasi preparatoria e di vero e proprio negoziato del trattato di Maastricht.

 
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