INTERVISTA A DELORS
di Arturo Guatelli
(Il Corriere della Sera, 11-11-1994)
La Francia è in fibrillazione. Le elezioni presidenziali sono in programma nel 1995, primo turno il 23 aprile, secondo turno il 7 maggio. E'vero, mancano ancora sei mesi, ma il microcosmo politico non sta più nella pelle. A destra le candidature si moltiplicano, le rivalità escono brutalmente allo scoperto: il gollista Jacques Chirac s'è già dichiarato, ma un altro gollista di razza, Edouard Balladur, vorrebbe fargli lo sgambetto per sostituirlo, e i liberali, giustamente, non intendono fare da spettatori passivi al duello fratricida Chirac-Balladur. A sinistra c'è meno confusione, ma più incertezza: nessuno è in grado di dire se Jacques Delors scenderà in campo per difendere i colori del socialismo, i suoi legittimi dubbi sono diventati orinai un gioco di società.
Edito da Odile Jacob, è uscito in questi giorni un libro-intervista di Jacques Delors il cui titolo - » L'unité d'un homme - anticipa il pensiero del suo autore, un personaggio che ha sempre fatto dell'onestà intellettuale e della coerenza politica le sue armi migliori. Ieri mattina, negli ovattati saloni dell'Hotel Lutétia, Delors ha voluto incontrare un drappello di giornalisti francesi e stranieri. E' stato un colloquio istruttivo, un serrato scambio di idee che non ha appagato tutte le curiosità dei presenti, ma che può essere facilmente trasformato in intervista collettiva. L'intervista di un » candidato possibile alla successione di Mitterrand.
- Signor Delors, considerato l'attuale momento politico, le sue confessioni a Dominique Wolton danno l'impressìone di essere il programma di un candidato alle elezioni presidenziali del 1995. E' un'impressione giusta o sbagliata?
- » Vi sembrerà strano, ma il progetto di questo libro risale al 1991. Ho ceduto volentieri alle insistenza di Odile Jacob soprattutto perché il mio confessore era Dominique Wolton, un sociologo le cui interviste a Raymond Aron e al cardinale Jean-Marie Lustigier avevano suscitato la mia ammirazione. Ma non si tratta di un programma. Molto più semplicemente, il libro vuole essere la testimonianza di qualcuno che ha ricoperto incarichi modesti, ma che è stato partecipe anche di avvenimenti importanti .
- Cosa dobbiamo dedurre, che sarà o non sarà candidato?
- » Al di là del dovere di riserva che mi impone il ruolo di presidente della Commissione europea, posso dirvi che non sono giunto ancora al termine della mia riflessione. Su quella che sarà la mia decìsione pesano elementi politici e personali. Chiedere il voto dei francesi è una responsabilità che non deve essere assunta con leggerezza. Comunque, se la mia decisione fosse negativa, il primo a esserne informato sarebbe Henri Emmanuelli, il segretario del Partito socialista .
- Cosa ha provato leggendo sul » Nouvel Observateur l'appassionata dichiarazione di voto in suo favore di Michel Rocard?
- » Con Michel Rocard sono amico da più di trent'anni. Abbiamo condiviso sogni, speranze e delusioni andando quasi sempre d'accordo. La nostra amicizia si nutre di stima e di rispetto reciproci. Se in questi giorni ci fossimo opposti, uno contro l'altro, avremmo dato uno spettacolo indegno. Lasciamo questo primato alla destra .
- Leggendo il suo libro-intervista sembra quasi che lei voglia riconciliare Mendès-France con Mitterrand...
- » Se fossi un giovane con l'autorità morale di Mendès-France e l'abilità politica di Mitterrand, siatene certi, sarei destinato a una carriera folgorante .
- Cosa si aspetta, signor Delors, da queste elezioni presidenziali?
- » Non credo alle elezioni-miracolo. Non credo che ogni sette anni la Francia abbia appuntamento con il proprio destino. Diffido di quei candidati che promettono con la bacchetta magica la rottura, la nuova frontiera, le soluzioni radicalmente alternative. Io sono un ingegnere sociale e so quanto grandi siano le reticenze e le resistenze al cambiamento. Noi dobbiamo aiutare la società perché sì muova da sola, perché gli attori di ogni trasformazione siano i cittadini .
- Annunciando la sua candidatura, Chirac ha detto che i francesi dovranno nuovamente esprimersi per referendum prima di aderire, nel 1997 o nel 1999, alla moneta unica europea. Lei cosa ne pensa?
- » Che io sappia, il presidente della Repubblica e il capo del governo non hanno fatto finora conoscere questa intenzione. Ma se un giorno qualcuno che abbia precise responsabilità politiche dovesse realmente esprimersi in questi termini, bisognerà ricordare alla Francia che ha già ratificato il Trattato di Maastricht e che le leggi internazionali hanno la prevalenza, anche in Francia, sulle leggi nazionali. Non voglio dire di più, non voglio alimentare una polemica che potrebbe avere ripercussioni sui mercati valutari e soprattutto sul franco .
- Lei è uno dei difensori più credibili dell'Unione economica e monetaria dell'Europa, ma non tutti i francesi sono d'accordo con lei...
- » I francesi devono smettere d'avere paura dell'Europa. Oggi, per mantenere o migliorare il loro livello di vita non possono che affidarsi all'Europa. E' sbagliato pensare che l'Europa sia l'antitesi della Francia. Quanto alla moneta unica europea, bisogna guardarla come il mezzo migliore per garantire la stabilità monetaria dell'Europa senza la quale nessun progresso economico e sociale è possibile .
- Signor Delors, come giudica il famoso rapporto della Cdu tedesca in base al quale è necessario procedere in fretta verso la moneta unica europea attraverso la formazione di un nucleo duro che abbia al centro l'asse franco-tedesco?
- » A mio parere, quel rapporto contiene un duplice messaggio: la fedeltà della Germania all'Europa e l'invito rivolto alla Francia di non perdere tempo. Questi due aspetti del rapporto sono molto importanti. Sarebbe sbagliato non tenerne conto .
- Lei ha sempre dato la precedenza all'iniziativa sociale rispetto all'azione politica. Perché?
- » Per riuscire politicamente, è necessario partire dalla conoscenza delle realtà sociali. Se noi ignorassimo il principio di solidarietà, finiremmo per costruire delle società dove i due terzi dei cittadini vivrebbero bene, avrebbero lavoro e tempo libero, mentre un terzo sarebbe lasciato ai bordi della strada. Col risultato che questo terzo finirebbe per ribellarsi, farebbe irruzione nei bei quartieri per sfasciare tutto. Li chiameremmo nuovi barbari, senza pensare che sono il frutto del nostro egoismo .
- Il 26 gennaio lei tornerà da Bruxelles. Se non dovesse essere candidato alla presidenza della Repubblica, cosa le piacerebbe fare?
- » Ho in mente di scrivere due libri, uno sul maggio '68 e l'altro, insieme al mio amico Giorgio Ruffolo, sui nuovi modelli di Sviluppo .
Arturo Guatelli