di Barbara Spinelli(La Stampa, mercoledí 18 ottobre 1995)
PARIGI - La bomba terroristica che ha colpito ancora una volta Parigi, ieri sotto un tunnel della metropolitana poco lontano dal museo di Orsay, era stata questa volta annunciata, rivendicata in anticipo. Due giorni prima il Gruppo islamico armato, il Gia algerino, aveva diffuso un bollettino nel quale si minacciava mortalmente la Francia, si denunciava l'imminente incontro a New York fra Chirac e il presidente della giunta algerina Zeroual, e si comunicava che nuove "rappresaglie militari" avrebbero colpito, a causa del comportamento dell'Eliseo, "il cuore stesso della Francia e delle sue grandi città". L'integralismo terrorista ha in odio la metropoli occidentale, con le sue diversità, le sue indiscipline e i godimenti spuri, e cosí la bombola a gas è stata programmata per esplodere in un tunnel buio sotto il museo di Orsay, in un sotterraneo di tenebre sotto il tempio dell'arte moderna. La vettura sventrata, i corpi amputati delle due vittime piú gravi, le grida e il terrore che hanno fatto da sfond
o a questo nono attentato terroristico: questi gesti e simboli sono stati voluti perché i godimenti metropolitani, d'improvviso, si interrompessero nel sangue. Il Gia parla spesso di simili impuri piaceri, nei ciclostilati: "Ci impegniamo a non darvi respiro e a privarvi di ogni godimento, fin quando l'Islam avrà conquistato la Francia, con le buone maniere o con la violenza", aveva comunicato il 7 ottobre un capo del terrorismo islamico algerino, Djamel,Zitouni.
Smarrita, ma senza perdere la testa, la Francia si chiede ora come mai questo accanimento sulla propria persona, sul proprio corpo. Come mai questa guerra d'Algeria che si estende oltre il Mediterraneo, e trasforma la terra francese in una regione algerina. Come mai questo conflitto che sembra interminabile, fra ex colonizzati e ex colonizzatori, e che prolunga istericamente, dandole i colori dell'islamismo politico, la guerra d'indipendenza del Fronte dí liberazione nazionale (Fnl). Anche le democrazie occidentali si pongono queste domande, come sbigottite di fronte a un mistero, e tendono a consolarsi molto presto. Precipitosamente, si dicono che la Francia vive in un suo mondo a parte, che alla vigilia delle presidenziali algerine paga una sua storia speciale, e che l'incontro di Chirac con Zeroual è frutto appunto di questo romanzo, particolare, inimitabile, tra Parigi e Algeri. Viste in questa prospettiva, le bombe che insanguinano Parigi non appaiono piú quel che effettivamente sono, e cioè una
serie di attentati coscientemente antioccidentali, anti-europei e anti-giudeo-cristiani. Appaiono come il prodotto, quasi inevitabile, di quel che i tedeschi chiamano Sonderweg: di un cammino che è particolare alla Francia e non è paragonabile al cammino di nessun'altra nazione d'Occidente.
La realtà è probabilmente diversa tuttavia da queste descrizioni autorassicuranti. E' piú grave, illumina piú sinistramente sia la minaccia del terrore, sia la solitudine in cui è lasciata la Francia di Chirac. Perché anche questo colpisce, nella serie di attentati che dal mese di luglio feriscono i francesi: la loro solitudine internazionale, dilatata dalle campagne convulse contro gli esperimenti nucleari di Chirac; la mancata solidarietà dei principali alleati con le scelte di resistenza anti-terroristica dell'Eliseo, la comoda supposizione, infine, che la minaccia terroristica sia una sfida alla Francia soltanto, e non all'Occidente in quanto tale.
Scegliendo di incontrare il generale Zeroual, a poco meno di un mese dalle presidenziali algerine, Chirac ha manifestato una determinazione politica forte, contro l'integralismo. Nei fatti, ha accettato l'immagine che il candidato Zeroual trasmette di se stesso: l'immagine di baluardo, necessario, contro una violenza che ha già fatto 40 mila morti in Algeria, per mano del Gia e del Fronte islamico di salvezza (Fis). Al tempo stesso, nei giorni scorsi, Chirac ha visitato le periferie piú manipolate dal terrorismo algerino (la periferia di Lione in particolare, a Vaulx-en-Velin) dove si addensa l'immigrazione magrebina che il governo vuol staccare dal magnete terrorista, anti-integrazionista. Tutte queste azioni sono appunto osservate con distacco dalle capitali europee, come se le città d'occidente non fossero egualmente minacciate dalle loro periferie violente, e dal nuovo fascismo che questa violenza integralista suscita. Il gesto di Chirac nei confronti di Zeroual -giustificato politicamente e non s
olo realpoliticamente- non darebbe ai francesi questo senso di solitudine e di assedio, se l'Unione Europea in quanto tale l'avesse fatto proprio, e avesse incontrato il presidente algerino nello stesso spirito. Una europeizzazione della resistenza -o una sua occidentalizzazione- aumenterebbe il numero delle capitali minacciate ma opporrebbe almeno una internazionale della resistenza, all'internazionale del terrore, dell'odio anti-occidentale, della guerra anti-metropoli diffusa in tutto il mondo per Internet, per videocassette.
Dice giustamente il cancelliere Kohl che l'unificazione europea "sarà una questione di vita o di morte, nel ventunesimo secolo". Ma è una questione di vita o di morte anche in questo fine secolo, che ha visto gli europei inesistenti in tutte le guerre degli Anni Novanta: nelle guerre balcaniche, come nelle guerre del fanatismo islamico che prendono in ostaggio le periferie malate d'Occidente e le grandi città di Francia. Ha poco senso infatti rifugiarsi nel prossimo millennio, e rinviare una solidarietà e una unificazione che è opportuna qui, ora. Ha poco senso dirsi che la Francia ha una sua natura speciale, un suo "Sonderweg" da percorrere. Qualunque Paese è destinato a sperimentare lo stesso cammino, solo che mostri un poco piú di determinazione, e decida di mettere in atto i valori etici in cui pretende, ipocritamente, di credere ancora.
Anche l'Italia ha le sue periferie che possono esser monopolizzate da forze oscure, e sarebbe minacciata come la Francia se solo i suoi governanti mostrassero un po' meno viltà, una certa lungimiranza, e non s'impauris-sero alla sola idea di ricevere -come è accaduto nei giorni scorsi Salman Rushdie condannato a morte dalla fatwah iraniana. Anche la Germania o il Belgio o gli stati Uniti diverrebbero bersagli sistematici, se smettessero di accogliere i capi del Gia o del Fis, regalando loro l'attributo di rifugiati politici. D'altronde gli Stati Uniti sono già bersaglio: le filippiche di Farrakhan contro i matrimoni interrazziali, contro l'uguaglianza fra uomini e donne, contro gli ebrei e la civiltà cristiana; le sue perorazioni in favore di scuole separate fra bianchi e neri, di una nazione islamica a parte, di una scarcerazione dei detenuti di colore, di una esenzione fiscale per i neri, ricordano da vicino le campagne islamiste e le pulizie etniche delle metropoli, propagandate dall'integralismo isla
mico in Algeria o Europa.
La Francia non abita un mondo a parte. E' appena un po' piú europea, appena un po' piú decisa e dunque piú vulnerabile di altre nazioni del vecchio continente. Il suo destino prefigura quello dell'Italia o della Germania, anche se queste ultime si bendano gli occhi e decidono di non trarne conseguenza alcuna. Parigi somiglia solo esteriormente a Londra esposta al terrorismo dell'Ira, negli Anni Settanta. Somiglia assai piú a Israele, quando Tel Aviv resisteva -sola- a un terrorismo che già allora era internazionale. Con i suoi corpi amputati, con i suoi tunnel anneriti da fumi mortali, con i boati che squarciano le metropolitane e scaraventano nell'aria i cittadini come fossero stracci, la Francia è oggi l'Israele d'Europa. E' l'anima ebraica e occidentale di un continente che è minacciato dalle proprie pusillanimità, prima ancora che dalle bombe dei terroristi.