di Angiolo Bandinelli
Il 5 gennaio 1996 otto furgoni scaricavano nelle cantine della
Corte di Cassazione oltre un centinaio di pesanti scatoloni.
Divisi per città, impilati in ordine impeccabile, contenevano i
moduli multicolori con le firme raccolte dalla Associazione dei
Comitati per i Referendum e dal Movimento dei Club Pannella-
Riformatori su venti quesiti intesi ad abrogare articoli,
paragrafi e comma di altrettante leggi: circa 11 milioni e mezzo
di firme sottoscritte ed autenticate, lungo l'arco dei novanta
giorni, ai tavoli dislocati nelle piazze o nelle segreterie
comunali, e corredate ciascuna della prescritta certificazione
elettorale. Prendendo a riferimento il referendum su cui era stato
raccolto il più alto numero di adesioni, Marco Pannella poteva
affermare che almeno 570.000 cittadini avevano firmato uno o più
tra i complicati quesiti.
Per tutto il giorno e la notte precedenti la consegna, nei capaci
sotterranei dell'Hotel Ergife un gruppo di militanti, romani ma
anche richiamati in fretta da altre città, aveva proceduto alle
ultime operazioni di controllo, "ripulitura", fotocopiatura (1) e
imballaggio di ogni singolo modulo, gli ultimi dei quali venivano
recapitati di ora in ora, fino all'ultimo minuto possibile, dai
trafelati militanti che li avevano raccolti per le strade della
capitale: "tavolinari", nella affettuosa terminologia del
movimento, "tavolinanti" secondo l'ultima incursione linguistica
del loro leader.
L'operazione era senza precedenti, per complessità, nella pur
ventennale storia referendaria. L'aver superato le tante
difficoltà non poteva non riempire di orgoglio ed euforia
promotori e militanti. Così, nel quadro di una collaudata
coreografia, i furgoni arrivarono alla sede della Corte di
Cassazione in corteo, preceduti dal leader riformatore e da altri
esponenti del Movimento su un'auto scoperta, e accompagnati dalla
Jazz Band di Carletto Loffredo con il suo strombettare festoso e
di scaramantica autoironia.
Una puntuale cronistoria dei novanta giorni della raccolta
dovrebbe fare spazio a una infinità di episodi di varia intensità
e curiosità (come gli escogitamenti, trucchi e invenzioni messi in
atto per far fronte a questo o a quell'"insuperabile" ostacolo o
problema organizzativo) e di iniziative, happenings, sortite quasi
quotidiane mirate a creare "eventi", quasi sempre poco costosi ma
di sicuro valore simbolico ed espressivo, atti a veicolare il
messaggio referendario presso il maggior numero di persone. E
valga ricordare in primo luogo il lungo "dialogo" polemico tra
Marco Pannella e il Presidente della Repubblica Oscar Luigi
Scalfaro, che sottoponeva a una platea di milioni di spettatori la
questione delle responsabilità che vanno attribuite, e competono,
al Presidente nel suo ruolo di garante istituzionale dei diritti
civili e politici del cittadino; "dialogo" che giungeva al suo
acme - o, diciamolo pure, al punto di massima, durissima frizione
- con il lungo digiuno della fame iniziato il 20 settembre e con
lo sciopero della sete (iniziato il 25 settembre e durato sei
giorni) del leader riformatore (2). Questa straordinaria polemica
aveva come suo epilogo l'avvio della raccolta delle firme per
l'impeachment dello stesso Scalfaro, in aperta denuncia delle sue
sempre più frequenti, estemporanee iniziative, esternazioni e
dichiarazioni che - secondo i promotori della grave iniziativa -
venivano configurando ormai una inaccettabile e pericolosa
fuoriuscita dalle forme e norme previste dalla Costituzione, nella
direzione di un costituzionalmente non previsto
semipresidenzialismo all'italiana. Ad un ambito di iniziative
mirate a bucare il muro dell'informazione appartiene poi la
spettacolare "conferenza stampa" dei militanti nudi (per non
parlare della distribuzione di marihuana in una piazza romana
nell'agosto 1995, durante la precedente raccolta di firme di cui
appresso parleremo). Sicuramente, per completare la cronaca, non
dovremo dimenticare i fitti rapporti intercorsi con un
disponibilissimo Ministero degli Interni perché sollecitasse le
segreterie comunali a non boicottare o trascurare la raccolta
delle firme ma a secondarla a termini di legge, e infine (o
sopratutto, direi) la trama dei comunicati, delle dichiarazioni,
delle quotidiane prese di posizione, dei chiarimenti e smentite
diffusi sopratutto da Marco Pannella a scandire i tempi e a
sottolineare l'evolversi delle situazioni con testi - affidati
alle agenzie o alla Radio Radicale - spesso di grande qualità
giornalistica e spessore politico.
Questa cronaca fornirebbe dettagli tecnici o semplici fioriture
impressionistiche ma anche, a nostro avviso, la base
indispensabile ad una complessiva indagine politica e storica
sulla problematica referendaria, su quello che essa rappresenta ed
ha rappresentato nella vicenda politica e istituzionale del paese
negli ultimi venti anni. Tale indagine non è stata ancora fatta, a
nostro avviso, in modo adeguato. E una ragione c'è. A tutt'oggi,
mentre l'intera impalcatura istituzionale nata nel 1945 viene
globalmente messa in discussione, la problematica referendaria è
vista ancora come elemento estraneo, anomalo e fuorviante, e ogni
suo riemergere viene accolto da critiche irriflessive, selvagge,
fino allo stravolgimento di oggettivi dati di verità e di
intelligenza dei fatti. Nemmeno in ipotesi si vuole ammettere che
l'impianto legislativo e gli stessi meccanismi di partecipazione
democratica del paese viaggiano da circa venti anni su due binari,
o poggiano su due pilastri, di pari o analogo valore istituzionale
e fors'anche funzionale, in un intreccio ormai inscindibile:
quello parlamentare/elettorale e quello referendario, cosicché
qualunque tentativo di separarli (e di prescindere dal secondo) è
scientificamente nullo e trova la sua matrice e giustificazione
solo in un interesse politico - sostanzialmente conservatore se
non reazionario - per il quale la via referendaria è estranea e
pericolosa rispetto al sistema e va dunque respinta ed espulsa,
pregiudizialmente. Se non si fa chiarezza su questo punto, come si
può pensare di dare un giudizio sui meccanismi che effettivamente
reggono la vita politica e civile in Italia?
Solo recentemente alcuni studiosi hanno avviato un corretto lavoro
di ricerca, inquadrando l'istituto referendario - entrato un po'
casualmente e senza entusiasmo nella nostra Costituzione del 1947
- nel contesto di una tendenza in crescita a livello mondiale, nei
più diversi Paesi. Altri sono arrivati a interpretare il più
generale processo, o vogliamo dire la frana o bradisisma che sta
portando al superamento del sistema partitocratico, come il
contrastato affacciarsi di un nuovo modello istituzionale che essi
definiscono appunto come "democrazia referendaria", avente al suo
centro, a fianco dei partiti, direttamente e in prima persona
l'"opinione pubblica", fluida e leggera protagonista di una vita
civile e politica circuitante in gran parte dentro il gioco, le
attrazioni, i misteri e anche gli inganni del sistema della
comunicazione di massa (il cui impatto incontrollabile e
sconvolgente non a caso la classe politica dei partiti ha per
decenni temuto, esorcizzato e cercato di bandire) (3).
Con quest'ultima interpretazione ci pare di poter particolarmente
concordare: la "accelerazione" referendaria, o persino la
"sfrenata utilizzazione" di questo strumento, è sintomo e/o causa
di un processo di più ampia dissoluzione, dagli esiti ancora
imprevedibili, delle vecchie forme di gestione della politica.
Sulla deriva istituzionale e sul ruolo che vi gioca la strategia
referendaria dei Riformatori trarremo qualche ulteriore
considerazione. Ma è bene non dimenticare come lo studio di queste
iniziative, nei loro aspetti anche tecnici, può fornire elementi
per una concreta, non astratta analisi degli strumenti
disponibili, delle vie e dei metodi effettivamente oggi
praticabili all'azione politica nel nostro Paese.
Quando si è dovuto constatare, ad esempio, che le amministrazioni
comunali di tre quarti d'Italia sono del tutto inadeguate ad
offrire un sufficiente supporto all'esercizio dei diritti civili e
politici del cittadino, e che molte di esse addirittura possono
arrivare a censurare o a sabotare una iniziativa sgradita fino a
farle rischiare il fallimento; e che, dopo aver superato questi
ostacoli, la stessa iniziativa può ancora trovarsi alla mercé di
un servizio postale inaffidabile e incapace di garantire la
trasmissione dei dati in tempi reali; o che la RaiTV ("servizio
pubblico!") sistematicamente distorce la fattualità di un evento
politico (prima forse per inefficienza culturale e deontologica
che per spirito servile verso il potere, o i poteri "forti"),
diventa difficile prendere sul serio i discorsi e la saggistica
che proclamano, invocano e tratteggiano rivoluzioni o riforme
politiche di vario genere e portata: in queste condizioni
operative, il famoso ed auspicato partito "leggero" rischia di
essere ipotesi impraticabile, o comunque votata a una obbligata
strumentalizzazione da parte di strutture/soggetti spurie ed
eterodirette (i massmedia, la telematica); proprio come, fino a
ieri, il partito di massa si organizzava nelle sezioni finanziate
con poderose iniezioni di denaro pubblico o proveniente da
Tangentopoli (o magari attorno alle parrocchie...).
*****
Il pacchetto referendario sottoposto ad esame dalla Corte di
Cassazione (il procedimento sarà avviato a settembre e si
concluderà non prima della fine dell'anno, per essere seguito dal
giudizio, ben altrimenti complesso e inquietante, della Corte
Costituzionale) (4) era articolato su venti quesiti (5). La
raccolta iniziava il 6 ottobre 1995. Per motivi tecnico-
amministrativi, ad ogni singolo referendum era preposto un
Comitato (i venti erano poi riuniti in una Associazione),
diciannove dei quali emanazione di o legati al Movimento dei Club,
mentre quello per l'abrogazione del PRA era stato costituito da
Associazioni ed Enti di settore coordinati dal periodico
"L'Automobile" (come meglio vedremo più avanti).
Pochi giorni prima, il 30 settembre, era scaduto il termine utile
per la presentazione delle firme relative ad un precedente
"pacchetto" di 18 referendum (6). La campagna, nonostante ad un
certo punto si fosse giunti a ricominciare la raccolta daccapo
(facendone slittare l'inizio dal 12 maggio al 2 luglio) per
tentare in extremis, anche sacrificando le firme già acquisite, di
superare difficoltà, inerzia e apatia dei militanti e
dell'opinione pubblica, era fallita. Le firme sui moduli erano
260.000 circa, nonostante la clamorosa iniziativa messa in atto,
sia pure tardivamente, dal leader riformatore che il 27 agosto,
assieme ad altri militanti, distribuiva marihuana ai passanti in
una affollata piazza di Roma, riportando il tema droga al centro
dell'attenzione e provocando un immediato e consistente afflusso
di firmatari ai tavoli. Per dire con quali difficoltà ci si fosse
scontrati, ricordiamo solo che il 47,23 % dei Comuni aveva
boicottato in varie forme (tutte documentate in un ponderoso
dossier) l'iniziativa, cosicché solo poche migliaia erano le firme
ottenute in quelle che invece, nella normativa di legge, sono
indicate come la struttura di servizio primaria dell'istituto
referendario (i tavoli dislocati per le strade, dove i cancellieri
dei tribunali possono fare l'autenticazione, furono invenzione dei
radicali di venti anni fa, quando dovettero constatare per la
prima volta l'inaffidabilità sia tecnica che politica delle
amministrazioni locali, specialmente del sud; una troppo benevola
fiducia nella crescita del sistema-Italia aveva fatto sperare che
venti anni dopo la situazione fosse evoluta in meglio: ancora una
volta si doveva invece toccare con mano una manchevolezza che è
poco definire scandalosa).
L'apertura della nuova campagna, la stessa decisione di aumentare
il numero dei referendum, vennero a lungo dibattute, e non senza
contrasti, nel Movimento. Si opponevano alla ripresa della
raccolta firme la depressione conseguente al fallimento appena
consumato, la stanchezza fisica dei volontari che assicuravano di
città in città i tavoli, la drammatica scarsità dei mezzi
finanziari - indispensabili quanto meno per corrispondere i
compensi ai funzionari di cancelleria, gli autenticatori che
prestavano la loro opera ai tavoli fuori orario d'ufficio - a
partire da quel fondamentale canale di autofinanziamento che è la
raccolta delle offerte ai tavoli (largamente praticata ovunque
tranne che al sud, in ossequio a pregiudizi e perplessità
moralistiche o di costume) e ovviamente l'inefficienza delle
segreterie comunali, sulle quali questa volta particolarmente si
confidava in considerazione di un previsto pesante calo di
militanza ai tavoli. Sempre viva e sofferta era poi la
consapevolezza dell'estrema difficoltà di perforare la
disinformazione dei massmedia e della stampa, dichiaratamente
politicizzati e schierati contro (mai come in questa occasione i
grandi quotidiani nazionali si meritavano la critica di essersi
trasformati, con i loro direttori e commentatori, in veri e propri
"giornali-partito"). La contrastata decisione venne presa
sopratutto facendo fiducia alle capacità di iniziativa e di
mobilitazione del leader, che continuamente veniva ammonendo circa
l'urgenza che il Movimento tornasse ad utilizzare, dopo anni di
scettico abbandono o di pigra dimenticanza, lo strumentario delle
iniziative nonviolente: fino al più rischioso digiuno e allo
sciopero della sete.
Il referendum passavano dunque da 18 a 20. L'aumento dei quesiti
rinfocolava critiche già peraltro rivolte ai radicali e ai
riformatori pannelliani: di aver inflazionato e snaturato la
logica referendaria con l'uso e l'abuso, tra l'altro, di quesiti
di ardua complessità tecnica, che la gente non può capire. Con la
sfida di portare a 20 i quesiti si dava una risposta, implicita o
esplicita, a queste critiche, dimostrando con i fatti e sul campo
che il movimento referendario considera non valide le osservazioni
rivoltegli sul piano istituzionale e teorico ed è maturo per
gestire politicamente i suoi passi; e che non è nemmeno vero che
la gente è stanca dei referendum e non sia in grado di distinguere
tra quesiti tecnici complessi, eccessivamente numerosi ecc.: la
responsabilità delle formulazioni difficili - ammonivano comunque
i Comitati e il Movimento - va addebitata alle passate sentenze
della Corte Costituzionale, che hanno stravolto la logica
originaria del meccanismo referendario costringendo i promotori ad
aggirare per questa via, certamente meno diretta, l'ostacolo,
senza però che l'escamotage abbia mai impedito alla gente di dare
risposte corrette e differenziate ai quesiti sottopostile anche in
"pacchetti" numerosi e fortemente articolati.
Una curiosità di qualche interesse: il referendum sul PRA fu
aggiunto per un casuale incontro tra mondi ed esigenze
lontanissime: un paio di settimane prima il periodico
"L'Automobile" aveva pubblicato un articolo in cui si esprimeva
l'opinione che per abrogare l'antiquata e vessatoria normativa sul
PRA non vi fosse ormai altro modo, vista l'opposizione a qualsiasi
sua riforma da parte delle lobbies burocratiche e dei partiti
collegati, se non il ricorso al referendum; una via che però la
rivista riteneva tecnicamente impraticabile per i suoi mezzi. La
questione venne casualmente riferita durante una delle affannose
riunioni di lavoro dei comitati e del Movimento, la notte
precedente alla data ultima utile per la presentazione dei quesiti
alla Corte di Cassazione. Quella stessa notte, con un giro di
telefonate, i responsabili del periodico venivano rintracciati e
interpellati se ritenessero possibile agganciare il loro quesito a
quelli del Movimento. In poche ore il quesito veniva messo a punto
e inserito nel pacchetto. "L'Automobile" avrebbe sponsorizzato il
suo progetto, pur dichiarandosi estraneo agli altri referendum e
alle ragioni politiche del Movimento dei Club, mentre Associazioni
ed Enti di categoria avrebbero dato un certo contributo sopratutto
mettendo a disposizione le sedi delle Agenzie automobilistiche. I
Club, a sua volta, assicuravano "know how" e strutture tecnico-
operative. Un accordo esemplare, per configurare un modello di
"partito-servizio" aperto, sostanzialmente federale (e
"federativo", cioè capace di aggregare, secondo l'intuizione dei
riformatori pannelliani, le sollecitazioni provenienti dalla
società civile senza sovrapposizioni di tipo ideologico e
giacobino).
Ancora una volta, la campagna referendaria scatenava uno scontro
politico aspro e complesso, anche se solo parzialmente filtrato
fino all'opinione pubblica in virtù del boicottaggio
dell'informazione. Ripercorrerne gli episodi è, in questa sede,
impossibile. Noi accenneremo ai due temi di maggior spessore. Il
primo è se i massmedia fossero o no tenuti a dare spazio di
informazione alla campagna. Dagli avversari, e dagli stessi
"operatori" del settore - direttori o giornalisti - si ribatteva
che fino al momento in cui le firme non siano state depositate e
il referendum convalidato dalla Cassazione e dalla Consulta, non
godendo ancora il Comitato promotore di una veste
costituzionalmente riconosciuta e garantita la sua è iniziativa di
carattere tutt'affatto privato, nei confronti della quale non vale
l'invocato obbligo: i Riformatori, insomma, pretendevano solo
"propaganda" indebita e a buon mercato. La risposta era limpida ed
esauriente: di una iniziativa politica di tale portata, promossa
non da sconosciuti ma da un soggetto politico di tutto rispetto,
che investiva contenuti di amplissimo interesse pubblico e per i
quali già da tempo era avvertita l'urgenza di riforme, i massmedia
avevano un evidente dovere giornalistico di dare ampia e adeguata
notizia, e la RaiTV - in più - di farla anche oggetto di
approfondimento tematico, magari in forma di contraddittorio
nell'uno o l'altro di quei "contenitori" che sono solitamente
messi a disposizione degli argomenti più frivoli e banali. Altro
che "propaganda"!
Ma il confronto più serrato era quello che si accendeva, come già
accennato, sul ruolo spettante al Capo dello Stato quale garante
dei diritti civili e politici dei cittadini; sopratutto quando ci
si trovi di fronte ad un Capo dello Stato che ritiene di poter
intervenire giorno dopo giorno sui più disparati, delicati e
controversi argomenti, sistematicamente prendendo posizione su
specifici temi e su una determinata linea, pro o contro
determinati protagonisti dell'attualità, inserendosi in ogni modo
nel vivo del confronto politico. Da agosto ai primi di dicembre
'96 il confronto fu, per tono e contenuti, assai aspro. I Comitati
chiedevano ripetutamente, anche attraverso clamorose iniziative (i
digiuni, lo sciopero della sete ricordati) che il Capo dello Stato
intervenisse per sollecitare dalla Rai il rispetto dei compiti di
servizio pubblico continuamente disattesi o violati. Il Presidente
rinviava la questione alla Commissione di Vigilanza parlamentare;
ma continuava a tacere anche quando questa, il 29 settembre,
inaspettatamente dava ragione ai Comitati attestando che nei
comportamenti della Rai c'era stata "offesa alla verità". Le due
questioni restavano, e restano, aperte, ma era non ultimo merito
della campagna l'averle portate alla ribalta del dibattito
politico e dell'opinione pubblica piegando l'informazione a darne
un sia pur minimo riscontro.
***
"In nessun'altra democrazia, Svizzera a parte, vi è stata una
pressione tanto significativa del fenomeno referendario sul
sistema decisionale partitico-parlamentare come in Italia". Così
scrive P.V. Uleri (7). Sempre secondo Uleri, che respinge il
giudizio di Bobbio per il quale la prassi referendaria non avrebbe
determinato una "ulteriore democratizzazione della nostra
società", i mutamenti verificatisi grazie al fenomeno referendario
hanno invece "dato vita a un processo di democratizzazione
politica, intesa qui come ampliamento delle facoltà e delle
modalità di partecipazione dei cittadini a decisioni politiche in
una liberaldemocrazia di massa". Sembrerebbe però che questo
graduale ampliamento della partecipazione alla democrazia si
configuri come un naturale portato delle istituzioni e del loro
benefico, positivo e univoco operare nella direzione indicata. Per
Marcello Fedele il processo non è invece così lineare; Fedele pone
in maggior rilievo la pressione volontaristica, squisitamente
politica, con la quale un determinato soggetto (il partito
radicale di Marco Pannella) ha reiteratamente caricato l'ordigno
referendario per letteralmente scagliarlo contro il sistema
politico. Noi, magari perché parte in causa e dunque portati a
dare peso agli aspetti "soggettivi" di cui crediamo si debba
necessariamente sempre nutrire l'accadere politico, ci sentiamo
più vicini a questa interpretazione (o forse semplice coloritura).
Si dovrà per questo parlare di stravolgimento dell'istituto verso
fini non contemplati dall'originario disegno istituzionale? Sembra
certo che l'istituto del referendum è in qualche misura
contraddittorio con l'impianto di fondo della Costituzione
repubblicana, sostanzialmente rappresentativo, escludente cioè un
esercizio popolare diretto dei poteri e delle funzioni politico-
istituzionali. Il referendum venne inserito in forme ambigue, non
ben chiare nemmeno ai costituenti. A lungo, infatti, restò
inattuato, per essere al massimo evocato come minaccia strumentale
dall'una o dall'altra delle parti politiche, a seconda degli
interessi contingenti. Opportunamente Uleri ricorda come
socialisti e comunisti furono i suoi maggiori oppositori, temendo
che esso potesse essere, "nelle mani di future minoranze
conservatrici, uno strumento di freno e di ostacolo alla azione
'riformatrice' di una loro eventuale maggioranza di governo".
Venne tirato fuori della naftalina e concesso come merce di
scambio, perché fosse utilizzato nel 1974 da quelle parti del
mondo cattolico che pensavano di liquidare per questa via la legge
sul divorzio promossa dai radicali.
Come mai, successivamente, proprio i radicali hanno accelerato il
volano referendario fino all'attuale parossismo? Quale progetto
politico, o forse quale "cultura" è all'origine di questa loro
interpretazione, che qualcuno potrebbe definire "evolutiva" e
molti apertamente giudicano eversiva? Per capirlo, è necessario
fare una lettura più ampia dell'iniziativa politica globale del
Movimento dei Club Pannella-Riformatori. Con il loro drammatico
crescendo, le campagne dal 1993 al 1996 rappresentano, per il
Movimento, un consapevole sforzo posto in essere per suscitare una
radicale accelerazione, propositiva e di contenuti, verso una
democrazia tendenzialmente bipartitica, dell'alternativa prima
ancora che dell'alternanza (poiché liberalismo è innanzitutto
nell'alternanza, nel confronto di idee e di programmi, nel
coinvolgimento della società e delle forze politiche in un
dibattito quanto più aperto e duro possibile). E' questa la sua
risposta alla crisi politica e istituzionale ormai in atto. Se si
considerano i temi dei due ultimi "pacchetti", si vedrà come i
diversi referendum si distendano su tre filoni, ben distinguibili
anche se legati da un disegno unitario: alcuni dei quesiti possono
definirsi come di impronta "liberale" (ad es. quelli relative alle
leggi elettorali o quelli sulla giustizia), altri hanno un
carattere decisamente "liberista" e toccano settori chiave
dell'economia in una logica di moderno mercato (come quelli sulle
licenze e gli orari commerciali, o quelli sulle trattenute
sindacali e contro l'intermediazione sindacale nei patti in
regola), mentre sul terzo gruppo (ad es., obiezione di coscienza)
sventola quella bandiera libertaria che da sempre Pannella ritiene
debba essere stabilmente recuperata alla cultura e ad una politica
modernamente riformatrici. Il tutto dovrà poi essere interpretato
alla luce della più ampia esperienza del "movimento" (con la
minuscola) radicale. Il Movimento dei Club, con le sue forme di
associazionismo federale per Club autonomi e autogestiti e con le
sue iniziative, opera sul terreno italiano; ma una grandissima
parte dei contenuti che esso agita viene dalle campagne di quel
Partito Radicale "transnazionale e transpartito" che continua a
volare tra Bruxelles, New York e Mosca (con lo statuto di NGO di
prima categoria delle Nazioni Unite!) nonostante l'universale
scienza politica decreti nonsenso o, al massimo, ossimoro
letterario l'esistenza di un partito "transnazionale", e che si
occupa di ONU e di Europa federale, di Tribunale Internazionale
per i crimini contro l'umanità e di abrogazione della pena di
morte, di lingua internazionale, di Tibet, di AIDS e cose
analoghe. Non si afferra il fenomeno referendario prescindendo da
questo contesto; perché esso è sì strumento anche di "politica
politicante" ma in primis, e sopratutto nelle intenzioni dei suoi
promotori, tassello di un più ampio sforzo di ricerca teorica -
oltreché di iniziativa politica - sulle strutture possibili e
auspicabili di una società liberale nelle condizioni determinate
dal mutamento epocale dei valori in corso, dalla crisi degli Stati
nazionali, dall'avvento della società globale, ecc. Vi è, in
questo reticolo progettuale, l'ambizione di dare vita ad un vero e
proprio laboratorio dell'innovazione politica, spaziante su
diversi livelli, dal nazionale a quelli internazionali, sentiti
come inscindibili.
Così, quando (e se) sarà chiamato a votare sui venti quesiti o su
quelli che la Corte Costituzionale, con interpretazione non meno
"evolutiva" del proprio ruolo e dei propri poteri, non avrà
cassato (o "scippato" secondo la terminologia pannelliana), il
Paese si troverà dinanzi ad una scelta di fondo che investirà in
termini non equivocabili il suo futuro, se divenire un Paese
liberale, liberista ed anche un po' libertario, o restare impalato
ad un destino neoconsociativo gestito da forze variamente
immobiliste, conservatrici e sostanzialmente antieuropee.
N O T E
1) Queste operazioni hanno ciascuna una diversa funzione: la
"ripulitura" è necessaria per controllare che ogni firma sia stata
raccolta nelle forme debite, con l'autentica, le firme e i timbri
richiesti, e quindi consentire, nel pieno rispetto della legge, la
correzione degli eventuali errori rilevati; la fotocopiatura serve
a costituire un indirizzario che, debitamente computerizzato,
verrà successivamente utilizzato come punto di riferimento
politico ed organizzativo. Questa tecnica è essenziale, in una
logica di partito "leggero", aperto e articolato.
2) Altri 37 giorni di digiuno venivano poi accumulati da alcuni
dirigenti del Movimento, fino alla "conferenza stampa" dei nudi al
Teatro Flaiano di Roma, il 21 novembre. Ma una cronaca di tutte le
iniziative, anche parlamentari, della campagna ci porterebbe fuori
dei limiti di questo articolo.
3) Si veda: DEMOCRAZIE E REFERENDUM, a cura di M.Caciagli e
P.V.Uleri, pp.439, Laterza 1994 [Si tratta della più completa e
indispensabile trattazione comparata della problematica
referendaria]; Marcello Fedele, DEMOCRAZIA REFERENDARIA (L'Italia
dal primato dei partiti al trionfo dell'opinione pubblica),
pp.178, Donzelli ed. 1994; M.Calise, DOPO LA PARTITOCRAZIA
(L'Italia tra modelli e realtà), pp.173, Einaudi 1994.
4) Credo ancora manchi uno studio sul comportamento della Corte
Costituzionale dinanzi al trend referendario, sulle sue risposte
alle sollecitazioni di questo "anomalo" istituto, sulla funzione
di ristrutturazione e rimodellazione assunta (secondo alcuni, con
una forma surrettizia di interventismo politico, schierato a
difesa del "sistema" partitocratico) rispetto alle sue forme.
5) Per l'elenco completo, vedasi la scheda allegata.
6) Impossibile, in questa sede, ripercorrere la catena delle
iniziative referendarie che dal 1993 scandiscono la vita politica
italiana segnandone tappe fondamentali (basti ricordare il
referendum sulla legge elettorale per il senato e quanto ne è
seguito). Per un primo approccio, vedasi il testo di Caciagli e
Uleri sopra citato.
7) Vedi, di P.V.Uleri, il saggio sulla situazione italiana a pag.
390 del volume cit., passim.
TABELLA DEI 20 REFERENDUM
RACCOLTI TRA IL 6 OTTOBRE 1995 E IL 4 GENNAIO 1996
1) SISTEMA ELETTORALE CAMERA DEI DEPUTATI (T.U. delle leggi per
l'elezione della Camera dei Deputati, approvato con Decr. Pres.
Rep. 30 marzo 1957 n.261, nel testo risultante dalle successive
integrazioni e in particolare dalla Legge 4 agosto 1993 n.277):
Abolizione della residua quota proporzionale, per giungere a un
sistema a turno unico, nella direzione indicata dal referendum
popolare dell'aprile 1993 sulla elezione per il Senato;
2) DROGHE LEGGERE (Decr. Pres. Rep. 9 ottobre 1990 n.309):
Regolamentazione della coltivazione, vendita e consumo della
canapa indiana, ed esclusione dei suoi derivati dal novero delle
sostanze illegali;
3) CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA (Legge 24 marzo 1958
n.195): Riforma del sistema elettorale per i membri togati del
CSM, considerato come responsabile primario degli abusi e della
politicizzazione dell'istituto;
4) ENEL (Legge 6 dicembre 1962 n.1643): Abrogazione del monopolio
pubblico sulla produzione e la vendita di energia elettrica;
5) GOLDEN SHARE (Decr.Legge 31 maggio 1994 n.332, convertito in
legge dalla Legge 30 luglio 1994 n.474): Abolizione della
possibilità, ancor oggi concessa allo Stato, di gestire in forme
surrettizie le aziende pubbliche anche dopo che siano state
privatizzate;
6) GUARDIA DI FINANZA (Legge 25 maggio 1970 n.352 e successive
modificazioni): Smilitarizzazione del corpo, per riqualificare
professionalmente i finanzieri in un efficiente servizio
dell'Amministrazione fiscale dello Stato, non distratto dai suoi
compiti istituzionali e meno soggetto alla corruzione;
7) PATTI IN DEROGA (Legge 8 agosto 1992 n.359): Eliminazione
dell'obbligo dell'assistenza delle organizzazioni sindacali nella
stipula dei contratti di locazione in deroga alla legge sull'equo
canone;
8) OBIEZIONE DI COSCIENZA (Legge 15 dicembre 1972 n.772): Per il
riconoscimento dell'obiezione come diritto soggettivo perfetto,
non sottoponibile al vaglio discrezionale di una autorità
inquirente.
9) CACCIA (Art. 842 Cod. Civ. approvato con R. Decr. 16 marzo 1942
n.262, comma 1 e 2): Abolizione della norma che consente ai
cacciatori di entrare nei fondi privati senza autorizzazione del
proprietario;
10) CARRIERE DEI MAGISTRATI (Legge 20 dicembre 1973 n.831):
Abrogazione delle norme che regolano in forma automatica le
carriere dei magistrati, senza concorsi e controlli di rendimento;
11) RESPONSABILITA' CIVILE DEL MAGISTRATO (Legge 13 aprile 1988
n.117): Per consentire l'azione diretta nei confronti del
magistrato nel caso si voglia far valere la sua responsabilità
civile;
12) ABORTO (Legge 22 maggio 1978 n.194): Abolizione del monopolio
delle strutture pubbliche ed estensione dell'interruzione
volontaria della gravidanza anche alle strutture sanitarie
private, e per liberare medici e donne dall'obbligo di
dichiarazioni false affidando la decisione dell'aborto alla
libertà e responsabilità della donna;
13) RAI (Legge 6 agosto 1990 n.223): Limitazione della pubblicità
sulle reti televisive pubbliche, per togliere loro il carattere
commerciale e restituirle alle loro funzioni;
14) SISTEMA ELETTORALE SENATO (Decr. Legisl. 20 dicembre 1993
n.533): Abolizione della quota proporzionale, per eleggere tutti i
senatori con il sistema uninominale maggioritario anglosassone;
15) RITENUTA D'ACCONTO (Decr. Pres. Rep. 29 settembre 1973 n.600):
Abrogazione dell'obbligo per i datori di lavoro di operare la
trattenuta d'acconto sugli stipendi dei dipendenti, e per
consentire a tutti i cittadini di ricevere interamente i propri
guadagni e versare direttamente le loro imposte allo Stato;
16) ORDINE DEI GIORNALISTI (Legge 3 febbraio 1963 n.69):
Soppressione dell'Ordine, per consentire a tutti i cittadini
l'esercizio della libertà di stampa;
17) SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE (Legge 23 dicembre 1978 n.833):
Per consentire al cittadino una effettiva libertà di scelta tra
l'iscrizione al Servizio Sanitario pubblico o ad una assicurazione
privata;
18) SCUOLA ELEMENTARE (Decr. Legisl. 16 aprile 1994 n.297):
Abrogazione della obbligatorietà del cosiddetto "modulo" dei tre
maestri, per assicurare la libertà di insegnamento e la
possibilità di altre forme di organizzazione didattica;
19) INCARICHI EXTRAGIUDIZIARI AI MAGISTRATI (Regio Decr. 30
gennaio 1941 n.12): Abrogazione delle norme che consentono ai
magistrati di assumere incarichi lucrosi al di fuori della loro
funzione;
20) P.R.A. (Regio Decreto Legge n.436, 15 marzo 1927, convertito
nella Legge n.510 del 19 febbraio 1928): Abrogazione del Pubblico
Registro Automobilistico, inutile e costoso doppione di quello
funzionante presso la Motorizzazione Civile.