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Conferenza Federalismo
Partito Radicale Angiolo - 29 giugno 1996
VENTI REFERENDUM PER L'ALTERNATIVA.

di Angiolo Bandinelli

Il 5 gennaio 1996 otto furgoni scaricavano nelle cantine della

Corte di Cassazione oltre un centinaio di pesanti scatoloni.

Divisi per città, impilati in ordine impeccabile, contenevano i

moduli multicolori con le firme raccolte dalla Associazione dei

Comitati per i Referendum e dal Movimento dei Club Pannella-

Riformatori su venti quesiti intesi ad abrogare articoli,

paragrafi e comma di altrettante leggi: circa 11 milioni e mezzo

di firme sottoscritte ed autenticate, lungo l'arco dei novanta

giorni, ai tavoli dislocati nelle piazze o nelle segreterie

comunali, e corredate ciascuna della prescritta certificazione

elettorale. Prendendo a riferimento il referendum su cui era stato

raccolto il più alto numero di adesioni, Marco Pannella poteva

affermare che almeno 570.000 cittadini avevano firmato uno o più

tra i complicati quesiti.

Per tutto il giorno e la notte precedenti la consegna, nei capaci

sotterranei dell'Hotel Ergife un gruppo di militanti, romani ma

anche richiamati in fretta da altre città, aveva proceduto alle

ultime operazioni di controllo, "ripulitura", fotocopiatura (1) e

imballaggio di ogni singolo modulo, gli ultimi dei quali venivano

recapitati di ora in ora, fino all'ultimo minuto possibile, dai

trafelati militanti che li avevano raccolti per le strade della

capitale: "tavolinari", nella affettuosa terminologia del

movimento, "tavolinanti" secondo l'ultima incursione linguistica

del loro leader.

L'operazione era senza precedenti, per complessità, nella pur

ventennale storia referendaria. L'aver superato le tante

difficoltà non poteva non riempire di orgoglio ed euforia

promotori e militanti. Così, nel quadro di una collaudata

coreografia, i furgoni arrivarono alla sede della Corte di

Cassazione in corteo, preceduti dal leader riformatore e da altri

esponenti del Movimento su un'auto scoperta, e accompagnati dalla

Jazz Band di Carletto Loffredo con il suo strombettare festoso e

di scaramantica autoironia.

Una puntuale cronistoria dei novanta giorni della raccolta

dovrebbe fare spazio a una infinità di episodi di varia intensità

e curiosità (come gli escogitamenti, trucchi e invenzioni messi in

atto per far fronte a questo o a quell'"insuperabile" ostacolo o

problema organizzativo) e di iniziative, happenings, sortite quasi

quotidiane mirate a creare "eventi", quasi sempre poco costosi ma

di sicuro valore simbolico ed espressivo, atti a veicolare il

messaggio referendario presso il maggior numero di persone. E

valga ricordare in primo luogo il lungo "dialogo" polemico tra

Marco Pannella e il Presidente della Repubblica Oscar Luigi

Scalfaro, che sottoponeva a una platea di milioni di spettatori la

questione delle responsabilità che vanno attribuite, e competono,

al Presidente nel suo ruolo di garante istituzionale dei diritti

civili e politici del cittadino; "dialogo" che giungeva al suo

acme - o, diciamolo pure, al punto di massima, durissima frizione

- con il lungo digiuno della fame iniziato il 20 settembre e con

lo sciopero della sete (iniziato il 25 settembre e durato sei

giorni) del leader riformatore (2). Questa straordinaria polemica

aveva come suo epilogo l'avvio della raccolta delle firme per

l'impeachment dello stesso Scalfaro, in aperta denuncia delle sue

sempre più frequenti, estemporanee iniziative, esternazioni e

dichiarazioni che - secondo i promotori della grave iniziativa -

venivano configurando ormai una inaccettabile e pericolosa

fuoriuscita dalle forme e norme previste dalla Costituzione, nella

direzione di un costituzionalmente non previsto

semipresidenzialismo all'italiana. Ad un ambito di iniziative

mirate a bucare il muro dell'informazione appartiene poi la

spettacolare "conferenza stampa" dei militanti nudi (per non

parlare della distribuzione di marihuana in una piazza romana

nell'agosto 1995, durante la precedente raccolta di firme di cui

appresso parleremo). Sicuramente, per completare la cronaca, non

dovremo dimenticare i fitti rapporti intercorsi con un

disponibilissimo Ministero degli Interni perché sollecitasse le

segreterie comunali a non boicottare o trascurare la raccolta

delle firme ma a secondarla a termini di legge, e infine (o

sopratutto, direi) la trama dei comunicati, delle dichiarazioni,

delle quotidiane prese di posizione, dei chiarimenti e smentite

diffusi sopratutto da Marco Pannella a scandire i tempi e a

sottolineare l'evolversi delle situazioni con testi - affidati

alle agenzie o alla Radio Radicale - spesso di grande qualità

giornalistica e spessore politico.

Questa cronaca fornirebbe dettagli tecnici o semplici fioriture

impressionistiche ma anche, a nostro avviso, la base

indispensabile ad una complessiva indagine politica e storica

sulla problematica referendaria, su quello che essa rappresenta ed

ha rappresentato nella vicenda politica e istituzionale del paese

negli ultimi venti anni. Tale indagine non è stata ancora fatta, a

nostro avviso, in modo adeguato. E una ragione c'è. A tutt'oggi,

mentre l'intera impalcatura istituzionale nata nel 1945 viene

globalmente messa in discussione, la problematica referendaria è

vista ancora come elemento estraneo, anomalo e fuorviante, e ogni

suo riemergere viene accolto da critiche irriflessive, selvagge,

fino allo stravolgimento di oggettivi dati di verità e di

intelligenza dei fatti. Nemmeno in ipotesi si vuole ammettere che

l'impianto legislativo e gli stessi meccanismi di partecipazione

democratica del paese viaggiano da circa venti anni su due binari,

o poggiano su due pilastri, di pari o analogo valore istituzionale

e fors'anche funzionale, in un intreccio ormai inscindibile:

quello parlamentare/elettorale e quello referendario, cosicché

qualunque tentativo di separarli (e di prescindere dal secondo) è

scientificamente nullo e trova la sua matrice e giustificazione

solo in un interesse politico - sostanzialmente conservatore se

non reazionario - per il quale la via referendaria è estranea e

pericolosa rispetto al sistema e va dunque respinta ed espulsa,

pregiudizialmente. Se non si fa chiarezza su questo punto, come si

può pensare di dare un giudizio sui meccanismi che effettivamente

reggono la vita politica e civile in Italia?

Solo recentemente alcuni studiosi hanno avviato un corretto lavoro

di ricerca, inquadrando l'istituto referendario - entrato un po'

casualmente e senza entusiasmo nella nostra Costituzione del 1947

- nel contesto di una tendenza in crescita a livello mondiale, nei

più diversi Paesi. Altri sono arrivati a interpretare il più

generale processo, o vogliamo dire la frana o bradisisma che sta

portando al superamento del sistema partitocratico, come il

contrastato affacciarsi di un nuovo modello istituzionale che essi

definiscono appunto come "democrazia referendaria", avente al suo

centro, a fianco dei partiti, direttamente e in prima persona

l'"opinione pubblica", fluida e leggera protagonista di una vita

civile e politica circuitante in gran parte dentro il gioco, le

attrazioni, i misteri e anche gli inganni del sistema della

comunicazione di massa (il cui impatto incontrollabile e

sconvolgente non a caso la classe politica dei partiti ha per

decenni temuto, esorcizzato e cercato di bandire) (3).

Con quest'ultima interpretazione ci pare di poter particolarmente

concordare: la "accelerazione" referendaria, o persino la

"sfrenata utilizzazione" di questo strumento, è sintomo e/o causa

di un processo di più ampia dissoluzione, dagli esiti ancora

imprevedibili, delle vecchie forme di gestione della politica.

Sulla deriva istituzionale e sul ruolo che vi gioca la strategia

referendaria dei Riformatori trarremo qualche ulteriore

considerazione. Ma è bene non dimenticare come lo studio di queste

iniziative, nei loro aspetti anche tecnici, può fornire elementi

per una concreta, non astratta analisi degli strumenti

disponibili, delle vie e dei metodi effettivamente oggi

praticabili all'azione politica nel nostro Paese.

Quando si è dovuto constatare, ad esempio, che le amministrazioni

comunali di tre quarti d'Italia sono del tutto inadeguate ad

offrire un sufficiente supporto all'esercizio dei diritti civili e

politici del cittadino, e che molte di esse addirittura possono

arrivare a censurare o a sabotare una iniziativa sgradita fino a

farle rischiare il fallimento; e che, dopo aver superato questi

ostacoli, la stessa iniziativa può ancora trovarsi alla mercé di

un servizio postale inaffidabile e incapace di garantire la

trasmissione dei dati in tempi reali; o che la RaiTV ("servizio

pubblico!") sistematicamente distorce la fattualità di un evento

politico (prima forse per inefficienza culturale e deontologica

che per spirito servile verso il potere, o i poteri "forti"),

diventa difficile prendere sul serio i discorsi e la saggistica

che proclamano, invocano e tratteggiano rivoluzioni o riforme

politiche di vario genere e portata: in queste condizioni

operative, il famoso ed auspicato partito "leggero" rischia di

essere ipotesi impraticabile, o comunque votata a una obbligata

strumentalizzazione da parte di strutture/soggetti spurie ed

eterodirette (i massmedia, la telematica); proprio come, fino a

ieri, il partito di massa si organizzava nelle sezioni finanziate

con poderose iniezioni di denaro pubblico o proveniente da

Tangentopoli (o magari attorno alle parrocchie...).

*****

Il pacchetto referendario sottoposto ad esame dalla Corte di

Cassazione (il procedimento sarà avviato a settembre e si

concluderà non prima della fine dell'anno, per essere seguito dal

giudizio, ben altrimenti complesso e inquietante, della Corte

Costituzionale) (4) era articolato su venti quesiti (5). La

raccolta iniziava il 6 ottobre 1995. Per motivi tecnico-

amministrativi, ad ogni singolo referendum era preposto un

Comitato (i venti erano poi riuniti in una Associazione),

diciannove dei quali emanazione di o legati al Movimento dei Club,

mentre quello per l'abrogazione del PRA era stato costituito da

Associazioni ed Enti di settore coordinati dal periodico

"L'Automobile" (come meglio vedremo più avanti).

Pochi giorni prima, il 30 settembre, era scaduto il termine utile

per la presentazione delle firme relative ad un precedente

"pacchetto" di 18 referendum (6). La campagna, nonostante ad un

certo punto si fosse giunti a ricominciare la raccolta daccapo

(facendone slittare l'inizio dal 12 maggio al 2 luglio) per

tentare in extremis, anche sacrificando le firme già acquisite, di

superare difficoltà, inerzia e apatia dei militanti e

dell'opinione pubblica, era fallita. Le firme sui moduli erano

260.000 circa, nonostante la clamorosa iniziativa messa in atto,

sia pure tardivamente, dal leader riformatore che il 27 agosto,

assieme ad altri militanti, distribuiva marihuana ai passanti in

una affollata piazza di Roma, riportando il tema droga al centro

dell'attenzione e provocando un immediato e consistente afflusso

di firmatari ai tavoli. Per dire con quali difficoltà ci si fosse

scontrati, ricordiamo solo che il 47,23 % dei Comuni aveva

boicottato in varie forme (tutte documentate in un ponderoso

dossier) l'iniziativa, cosicché solo poche migliaia erano le firme

ottenute in quelle che invece, nella normativa di legge, sono

indicate come la struttura di servizio primaria dell'istituto

referendario (i tavoli dislocati per le strade, dove i cancellieri

dei tribunali possono fare l'autenticazione, furono invenzione dei

radicali di venti anni fa, quando dovettero constatare per la

prima volta l'inaffidabilità sia tecnica che politica delle

amministrazioni locali, specialmente del sud; una troppo benevola

fiducia nella crescita del sistema-Italia aveva fatto sperare che

venti anni dopo la situazione fosse evoluta in meglio: ancora una

volta si doveva invece toccare con mano una manchevolezza che è

poco definire scandalosa).

L'apertura della nuova campagna, la stessa decisione di aumentare

il numero dei referendum, vennero a lungo dibattute, e non senza

contrasti, nel Movimento. Si opponevano alla ripresa della

raccolta firme la depressione conseguente al fallimento appena

consumato, la stanchezza fisica dei volontari che assicuravano di

città in città i tavoli, la drammatica scarsità dei mezzi

finanziari - indispensabili quanto meno per corrispondere i

compensi ai funzionari di cancelleria, gli autenticatori che

prestavano la loro opera ai tavoli fuori orario d'ufficio - a

partire da quel fondamentale canale di autofinanziamento che è la

raccolta delle offerte ai tavoli (largamente praticata ovunque

tranne che al sud, in ossequio a pregiudizi e perplessità

moralistiche o di costume) e ovviamente l'inefficienza delle

segreterie comunali, sulle quali questa volta particolarmente si

confidava in considerazione di un previsto pesante calo di

militanza ai tavoli. Sempre viva e sofferta era poi la

consapevolezza dell'estrema difficoltà di perforare la

disinformazione dei massmedia e della stampa, dichiaratamente

politicizzati e schierati contro (mai come in questa occasione i

grandi quotidiani nazionali si meritavano la critica di essersi

trasformati, con i loro direttori e commentatori, in veri e propri

"giornali-partito"). La contrastata decisione venne presa

sopratutto facendo fiducia alle capacità di iniziativa e di

mobilitazione del leader, che continuamente veniva ammonendo circa

l'urgenza che il Movimento tornasse ad utilizzare, dopo anni di

scettico abbandono o di pigra dimenticanza, lo strumentario delle

iniziative nonviolente: fino al più rischioso digiuno e allo

sciopero della sete.

Il referendum passavano dunque da 18 a 20. L'aumento dei quesiti

rinfocolava critiche già peraltro rivolte ai radicali e ai

riformatori pannelliani: di aver inflazionato e snaturato la

logica referendaria con l'uso e l'abuso, tra l'altro, di quesiti

di ardua complessità tecnica, che la gente non può capire. Con la

sfida di portare a 20 i quesiti si dava una risposta, implicita o

esplicita, a queste critiche, dimostrando con i fatti e sul campo

che il movimento referendario considera non valide le osservazioni

rivoltegli sul piano istituzionale e teorico ed è maturo per

gestire politicamente i suoi passi; e che non è nemmeno vero che

la gente è stanca dei referendum e non sia in grado di distinguere

tra quesiti tecnici complessi, eccessivamente numerosi ecc.: la

responsabilità delle formulazioni difficili - ammonivano comunque

i Comitati e il Movimento - va addebitata alle passate sentenze

della Corte Costituzionale, che hanno stravolto la logica

originaria del meccanismo referendario costringendo i promotori ad

aggirare per questa via, certamente meno diretta, l'ostacolo,

senza però che l'escamotage abbia mai impedito alla gente di dare

risposte corrette e differenziate ai quesiti sottopostile anche in

"pacchetti" numerosi e fortemente articolati.

Una curiosità di qualche interesse: il referendum sul PRA fu

aggiunto per un casuale incontro tra mondi ed esigenze

lontanissime: un paio di settimane prima il periodico

"L'Automobile" aveva pubblicato un articolo in cui si esprimeva

l'opinione che per abrogare l'antiquata e vessatoria normativa sul

PRA non vi fosse ormai altro modo, vista l'opposizione a qualsiasi

sua riforma da parte delle lobbies burocratiche e dei partiti

collegati, se non il ricorso al referendum; una via che però la

rivista riteneva tecnicamente impraticabile per i suoi mezzi. La

questione venne casualmente riferita durante una delle affannose

riunioni di lavoro dei comitati e del Movimento, la notte

precedente alla data ultima utile per la presentazione dei quesiti

alla Corte di Cassazione. Quella stessa notte, con un giro di

telefonate, i responsabili del periodico venivano rintracciati e

interpellati se ritenessero possibile agganciare il loro quesito a

quelli del Movimento. In poche ore il quesito veniva messo a punto

e inserito nel pacchetto. "L'Automobile" avrebbe sponsorizzato il

suo progetto, pur dichiarandosi estraneo agli altri referendum e

alle ragioni politiche del Movimento dei Club, mentre Associazioni

ed Enti di categoria avrebbero dato un certo contributo sopratutto

mettendo a disposizione le sedi delle Agenzie automobilistiche. I

Club, a sua volta, assicuravano "know how" e strutture tecnico-

operative. Un accordo esemplare, per configurare un modello di

"partito-servizio" aperto, sostanzialmente federale (e

"federativo", cioè capace di aggregare, secondo l'intuizione dei

riformatori pannelliani, le sollecitazioni provenienti dalla

società civile senza sovrapposizioni di tipo ideologico e

giacobino).

Ancora una volta, la campagna referendaria scatenava uno scontro

politico aspro e complesso, anche se solo parzialmente filtrato

fino all'opinione pubblica in virtù del boicottaggio

dell'informazione. Ripercorrerne gli episodi è, in questa sede,

impossibile. Noi accenneremo ai due temi di maggior spessore. Il

primo è se i massmedia fossero o no tenuti a dare spazio di

informazione alla campagna. Dagli avversari, e dagli stessi

"operatori" del settore - direttori o giornalisti - si ribatteva

che fino al momento in cui le firme non siano state depositate e

il referendum convalidato dalla Cassazione e dalla Consulta, non

godendo ancora il Comitato promotore di una veste

costituzionalmente riconosciuta e garantita la sua è iniziativa di

carattere tutt'affatto privato, nei confronti della quale non vale

l'invocato obbligo: i Riformatori, insomma, pretendevano solo

"propaganda" indebita e a buon mercato. La risposta era limpida ed

esauriente: di una iniziativa politica di tale portata, promossa

non da sconosciuti ma da un soggetto politico di tutto rispetto,

che investiva contenuti di amplissimo interesse pubblico e per i

quali già da tempo era avvertita l'urgenza di riforme, i massmedia

avevano un evidente dovere giornalistico di dare ampia e adeguata

notizia, e la RaiTV - in più - di farla anche oggetto di

approfondimento tematico, magari in forma di contraddittorio

nell'uno o l'altro di quei "contenitori" che sono solitamente

messi a disposizione degli argomenti più frivoli e banali. Altro

che "propaganda"!

Ma il confronto più serrato era quello che si accendeva, come già

accennato, sul ruolo spettante al Capo dello Stato quale garante

dei diritti civili e politici dei cittadini; sopratutto quando ci

si trovi di fronte ad un Capo dello Stato che ritiene di poter

intervenire giorno dopo giorno sui più disparati, delicati e

controversi argomenti, sistematicamente prendendo posizione su

specifici temi e su una determinata linea, pro o contro

determinati protagonisti dell'attualità, inserendosi in ogni modo

nel vivo del confronto politico. Da agosto ai primi di dicembre

'96 il confronto fu, per tono e contenuti, assai aspro. I Comitati

chiedevano ripetutamente, anche attraverso clamorose iniziative (i

digiuni, lo sciopero della sete ricordati) che il Capo dello Stato

intervenisse per sollecitare dalla Rai il rispetto dei compiti di

servizio pubblico continuamente disattesi o violati. Il Presidente

rinviava la questione alla Commissione di Vigilanza parlamentare;

ma continuava a tacere anche quando questa, il 29 settembre,

inaspettatamente dava ragione ai Comitati attestando che nei

comportamenti della Rai c'era stata "offesa alla verità". Le due

questioni restavano, e restano, aperte, ma era non ultimo merito

della campagna l'averle portate alla ribalta del dibattito

politico e dell'opinione pubblica piegando l'informazione a darne

un sia pur minimo riscontro.

***

"In nessun'altra democrazia, Svizzera a parte, vi è stata una

pressione tanto significativa del fenomeno referendario sul

sistema decisionale partitico-parlamentare come in Italia". Così

scrive P.V. Uleri (7). Sempre secondo Uleri, che respinge il

giudizio di Bobbio per il quale la prassi referendaria non avrebbe

determinato una "ulteriore democratizzazione della nostra

società", i mutamenti verificatisi grazie al fenomeno referendario

hanno invece "dato vita a un processo di democratizzazione

politica, intesa qui come ampliamento delle facoltà e delle

modalità di partecipazione dei cittadini a decisioni politiche in

una liberaldemocrazia di massa". Sembrerebbe però che questo

graduale ampliamento della partecipazione alla democrazia si

configuri come un naturale portato delle istituzioni e del loro

benefico, positivo e univoco operare nella direzione indicata. Per

Marcello Fedele il processo non è invece così lineare; Fedele pone

in maggior rilievo la pressione volontaristica, squisitamente

politica, con la quale un determinato soggetto (il partito

radicale di Marco Pannella) ha reiteratamente caricato l'ordigno

referendario per letteralmente scagliarlo contro il sistema

politico. Noi, magari perché parte in causa e dunque portati a

dare peso agli aspetti "soggettivi" di cui crediamo si debba

necessariamente sempre nutrire l'accadere politico, ci sentiamo

più vicini a questa interpretazione (o forse semplice coloritura).

Si dovrà per questo parlare di stravolgimento dell'istituto verso

fini non contemplati dall'originario disegno istituzionale? Sembra

certo che l'istituto del referendum è in qualche misura

contraddittorio con l'impianto di fondo della Costituzione

repubblicana, sostanzialmente rappresentativo, escludente cioè un

esercizio popolare diretto dei poteri e delle funzioni politico-

istituzionali. Il referendum venne inserito in forme ambigue, non

ben chiare nemmeno ai costituenti. A lungo, infatti, restò

inattuato, per essere al massimo evocato come minaccia strumentale

dall'una o dall'altra delle parti politiche, a seconda degli

interessi contingenti. Opportunamente Uleri ricorda come

socialisti e comunisti furono i suoi maggiori oppositori, temendo

che esso potesse essere, "nelle mani di future minoranze

conservatrici, uno strumento di freno e di ostacolo alla azione

'riformatrice' di una loro eventuale maggioranza di governo".

Venne tirato fuori della naftalina e concesso come merce di

scambio, perché fosse utilizzato nel 1974 da quelle parti del

mondo cattolico che pensavano di liquidare per questa via la legge

sul divorzio promossa dai radicali.

Come mai, successivamente, proprio i radicali hanno accelerato il

volano referendario fino all'attuale parossismo? Quale progetto

politico, o forse quale "cultura" è all'origine di questa loro

interpretazione, che qualcuno potrebbe definire "evolutiva" e

molti apertamente giudicano eversiva? Per capirlo, è necessario

fare una lettura più ampia dell'iniziativa politica globale del

Movimento dei Club Pannella-Riformatori. Con il loro drammatico

crescendo, le campagne dal 1993 al 1996 rappresentano, per il

Movimento, un consapevole sforzo posto in essere per suscitare una

radicale accelerazione, propositiva e di contenuti, verso una

democrazia tendenzialmente bipartitica, dell'alternativa prima

ancora che dell'alternanza (poiché liberalismo è innanzitutto

nell'alternanza, nel confronto di idee e di programmi, nel

coinvolgimento della società e delle forze politiche in un

dibattito quanto più aperto e duro possibile). E' questa la sua

risposta alla crisi politica e istituzionale ormai in atto. Se si

considerano i temi dei due ultimi "pacchetti", si vedrà come i

diversi referendum si distendano su tre filoni, ben distinguibili

anche se legati da un disegno unitario: alcuni dei quesiti possono

definirsi come di impronta "liberale" (ad es. quelli relative alle

leggi elettorali o quelli sulla giustizia), altri hanno un

carattere decisamente "liberista" e toccano settori chiave

dell'economia in una logica di moderno mercato (come quelli sulle

licenze e gli orari commerciali, o quelli sulle trattenute

sindacali e contro l'intermediazione sindacale nei patti in

regola), mentre sul terzo gruppo (ad es., obiezione di coscienza)

sventola quella bandiera libertaria che da sempre Pannella ritiene

debba essere stabilmente recuperata alla cultura e ad una politica

modernamente riformatrici. Il tutto dovrà poi essere interpretato

alla luce della più ampia esperienza del "movimento" (con la

minuscola) radicale. Il Movimento dei Club, con le sue forme di

associazionismo federale per Club autonomi e autogestiti e con le

sue iniziative, opera sul terreno italiano; ma una grandissima

parte dei contenuti che esso agita viene dalle campagne di quel

Partito Radicale "transnazionale e transpartito" che continua a

volare tra Bruxelles, New York e Mosca (con lo statuto di NGO di

prima categoria delle Nazioni Unite!) nonostante l'universale

scienza politica decreti nonsenso o, al massimo, ossimoro

letterario l'esistenza di un partito "transnazionale", e che si

occupa di ONU e di Europa federale, di Tribunale Internazionale

per i crimini contro l'umanità e di abrogazione della pena di

morte, di lingua internazionale, di Tibet, di AIDS e cose

analoghe. Non si afferra il fenomeno referendario prescindendo da

questo contesto; perché esso è sì strumento anche di "politica

politicante" ma in primis, e sopratutto nelle intenzioni dei suoi

promotori, tassello di un più ampio sforzo di ricerca teorica -

oltreché di iniziativa politica - sulle strutture possibili e

auspicabili di una società liberale nelle condizioni determinate

dal mutamento epocale dei valori in corso, dalla crisi degli Stati

nazionali, dall'avvento della società globale, ecc. Vi è, in

questo reticolo progettuale, l'ambizione di dare vita ad un vero e

proprio laboratorio dell'innovazione politica, spaziante su

diversi livelli, dal nazionale a quelli internazionali, sentiti

come inscindibili.

Così, quando (e se) sarà chiamato a votare sui venti quesiti o su

quelli che la Corte Costituzionale, con interpretazione non meno

"evolutiva" del proprio ruolo e dei propri poteri, non avrà

cassato (o "scippato" secondo la terminologia pannelliana), il

Paese si troverà dinanzi ad una scelta di fondo che investirà in

termini non equivocabili il suo futuro, se divenire un Paese

liberale, liberista ed anche un po' libertario, o restare impalato

ad un destino neoconsociativo gestito da forze variamente

immobiliste, conservatrici e sostanzialmente antieuropee.

N O T E

1) Queste operazioni hanno ciascuna una diversa funzione: la

"ripulitura" è necessaria per controllare che ogni firma sia stata

raccolta nelle forme debite, con l'autentica, le firme e i timbri

richiesti, e quindi consentire, nel pieno rispetto della legge, la

correzione degli eventuali errori rilevati; la fotocopiatura serve

a costituire un indirizzario che, debitamente computerizzato,

verrà successivamente utilizzato come punto di riferimento

politico ed organizzativo. Questa tecnica è essenziale, in una

logica di partito "leggero", aperto e articolato.

2) Altri 37 giorni di digiuno venivano poi accumulati da alcuni

dirigenti del Movimento, fino alla "conferenza stampa" dei nudi al

Teatro Flaiano di Roma, il 21 novembre. Ma una cronaca di tutte le

iniziative, anche parlamentari, della campagna ci porterebbe fuori

dei limiti di questo articolo.

3) Si veda: DEMOCRAZIE E REFERENDUM, a cura di M.Caciagli e

P.V.Uleri, pp.439, Laterza 1994 [Si tratta della più completa e

indispensabile trattazione comparata della problematica

referendaria]; Marcello Fedele, DEMOCRAZIA REFERENDARIA (L'Italia

dal primato dei partiti al trionfo dell'opinione pubblica),

pp.178, Donzelli ed. 1994; M.Calise, DOPO LA PARTITOCRAZIA

(L'Italia tra modelli e realtà), pp.173, Einaudi 1994.

4) Credo ancora manchi uno studio sul comportamento della Corte

Costituzionale dinanzi al trend referendario, sulle sue risposte

alle sollecitazioni di questo "anomalo" istituto, sulla funzione

di ristrutturazione e rimodellazione assunta (secondo alcuni, con

una forma surrettizia di interventismo politico, schierato a

difesa del "sistema" partitocratico) rispetto alle sue forme.

5) Per l'elenco completo, vedasi la scheda allegata.

6) Impossibile, in questa sede, ripercorrere la catena delle

iniziative referendarie che dal 1993 scandiscono la vita politica

italiana segnandone tappe fondamentali (basti ricordare il

referendum sulla legge elettorale per il senato e quanto ne è

seguito). Per un primo approccio, vedasi il testo di Caciagli e

Uleri sopra citato.

7) Vedi, di P.V.Uleri, il saggio sulla situazione italiana a pag.

390 del volume cit., passim.

TABELLA DEI 20 REFERENDUM

RACCOLTI TRA IL 6 OTTOBRE 1995 E IL 4 GENNAIO 1996

1) SISTEMA ELETTORALE CAMERA DEI DEPUTATI (T.U. delle leggi per

l'elezione della Camera dei Deputati, approvato con Decr. Pres.

Rep. 30 marzo 1957 n.261, nel testo risultante dalle successive

integrazioni e in particolare dalla Legge 4 agosto 1993 n.277):

Abolizione della residua quota proporzionale, per giungere a un

sistema a turno unico, nella direzione indicata dal referendum

popolare dell'aprile 1993 sulla elezione per il Senato;

2) DROGHE LEGGERE (Decr. Pres. Rep. 9 ottobre 1990 n.309):

Regolamentazione della coltivazione, vendita e consumo della

canapa indiana, ed esclusione dei suoi derivati dal novero delle

sostanze illegali;

3) CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA (Legge 24 marzo 1958

n.195): Riforma del sistema elettorale per i membri togati del

CSM, considerato come responsabile primario degli abusi e della

politicizzazione dell'istituto;

4) ENEL (Legge 6 dicembre 1962 n.1643): Abrogazione del monopolio

pubblico sulla produzione e la vendita di energia elettrica;

5) GOLDEN SHARE (Decr.Legge 31 maggio 1994 n.332, convertito in

legge dalla Legge 30 luglio 1994 n.474): Abolizione della

possibilità, ancor oggi concessa allo Stato, di gestire in forme

surrettizie le aziende pubbliche anche dopo che siano state

privatizzate;

6) GUARDIA DI FINANZA (Legge 25 maggio 1970 n.352 e successive

modificazioni): Smilitarizzazione del corpo, per riqualificare

professionalmente i finanzieri in un efficiente servizio

dell'Amministrazione fiscale dello Stato, non distratto dai suoi

compiti istituzionali e meno soggetto alla corruzione;

7) PATTI IN DEROGA (Legge 8 agosto 1992 n.359): Eliminazione

dell'obbligo dell'assistenza delle organizzazioni sindacali nella

stipula dei contratti di locazione in deroga alla legge sull'equo

canone;

8) OBIEZIONE DI COSCIENZA (Legge 15 dicembre 1972 n.772): Per il

riconoscimento dell'obiezione come diritto soggettivo perfetto,

non sottoponibile al vaglio discrezionale di una autorità

inquirente.

9) CACCIA (Art. 842 Cod. Civ. approvato con R. Decr. 16 marzo 1942

n.262, comma 1 e 2): Abolizione della norma che consente ai

cacciatori di entrare nei fondi privati senza autorizzazione del

proprietario;

10) CARRIERE DEI MAGISTRATI (Legge 20 dicembre 1973 n.831):

Abrogazione delle norme che regolano in forma automatica le

carriere dei magistrati, senza concorsi e controlli di rendimento;

11) RESPONSABILITA' CIVILE DEL MAGISTRATO (Legge 13 aprile 1988

n.117): Per consentire l'azione diretta nei confronti del

magistrato nel caso si voglia far valere la sua responsabilità

civile;

12) ABORTO (Legge 22 maggio 1978 n.194): Abolizione del monopolio

delle strutture pubbliche ed estensione dell'interruzione

volontaria della gravidanza anche alle strutture sanitarie

private, e per liberare medici e donne dall'obbligo di

dichiarazioni false affidando la decisione dell'aborto alla

libertà e responsabilità della donna;

13) RAI (Legge 6 agosto 1990 n.223): Limitazione della pubblicità

sulle reti televisive pubbliche, per togliere loro il carattere

commerciale e restituirle alle loro funzioni;

14) SISTEMA ELETTORALE SENATO (Decr. Legisl. 20 dicembre 1993

n.533): Abolizione della quota proporzionale, per eleggere tutti i

senatori con il sistema uninominale maggioritario anglosassone;

15) RITENUTA D'ACCONTO (Decr. Pres. Rep. 29 settembre 1973 n.600):

Abrogazione dell'obbligo per i datori di lavoro di operare la

trattenuta d'acconto sugli stipendi dei dipendenti, e per

consentire a tutti i cittadini di ricevere interamente i propri

guadagni e versare direttamente le loro imposte allo Stato;

16) ORDINE DEI GIORNALISTI (Legge 3 febbraio 1963 n.69):

Soppressione dell'Ordine, per consentire a tutti i cittadini

l'esercizio della libertà di stampa;

17) SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE (Legge 23 dicembre 1978 n.833):

Per consentire al cittadino una effettiva libertà di scelta tra

l'iscrizione al Servizio Sanitario pubblico o ad una assicurazione

privata;

18) SCUOLA ELEMENTARE (Decr. Legisl. 16 aprile 1994 n.297):

Abrogazione della obbligatorietà del cosiddetto "modulo" dei tre

maestri, per assicurare la libertà di insegnamento e la

possibilità di altre forme di organizzazione didattica;

19) INCARICHI EXTRAGIUDIZIARI AI MAGISTRATI (Regio Decr. 30

gennaio 1941 n.12): Abrogazione delle norme che consentono ai

magistrati di assumere incarichi lucrosi al di fuori della loro

funzione;

20) P.R.A. (Regio Decreto Legge n.436, 15 marzo 1927, convertito

nella Legge n.510 del 19 febbraio 1928): Abrogazione del Pubblico

Registro Automobilistico, inutile e costoso doppione di quello

funzionante presso la Motorizzazione Civile.

 
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